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lunedì 21 maggio 2012

CONOSCENZA, COMPETENZA, FORMAZIONE E MEDIA


di Giuseppina D’Auria

Appare sempre più evidente il ruolo che i media esercitano nella percezione della realtà, nella costituzione di atteggiamenti e valori, nella formazione nel suo insieme: è nei media che si modellano e si sviluppano le immagini del reale, del sé, le appartenenze culturali.
I media mettono in crisi le nostre abitudini di pensiero, la nostra concezione del mondo, provocano nella struttura dei linguaggi e nel rapporto con il reale una rottura totale con quanto fino ad oggi ha costituito i nostri punti di riferimento abituali.
Nella tecnologia dell'educazione i nuovi media digitali sono entrati da tempo risultando per essa strumenti di straordinario sviluppo poiché sollecitano la nascita di nuovi spazi cognitivi e valorizzano molteplici forme comunicative che includono testi scritti e testi orali, immagini fisse e in movimento, suoni e musica, gesti e altre forme non verbali di comunicazione.
Tuttavia oggi si avverte la tendenza a restringere l'accezione di tale termine alla comunicazione mediata da uno schermo, sia esso quello di un televisore come quello di un computer.
La forma assunta dalla multimedialità è allora di tipo ipertestuale, giungendo così a modalità comunicative che vengono definite ipermediali e che integrano ipertestualità e multimedialità.
Da non sottovalutare il rapporto esistente tra formazione e multimedia applicati, con particolare riferimento alla formazione a distanza che nasce e si fonda sull'informatica e sulla sua utilizzazione per la formazione lavorativa ma, soprattutto, come si effettua la costruzione di un multimedia e quali sono le caratteristiche che esso deve possedere per essere ritenuto efficace.
Ovviamente parlando di formazione a distanza è necessario distinguerla e dalla formazione - on line, specificando che esistono similitudini e differenze fra le due modalità, e sulle innovazioni che la seconda ha introdotto nel vecchio modo di concepire l'apprendimento che da cronotopico, grazie all'intervento dei multimedia, diventa multimodale, annulla le distanze spazio - temporali offrendo a tutti l'opportunità di seguire un corso e apprenderne i contenuti.
Uno degli strumenti più utilizzati dalla formazione - on line, è l'ipertesto: le sue caratteristiche, le sue funzioni e il suo utilizzo, hanno permesso, insieme agli altri strumenti della formazione multimediale, lo spostamento dell'attenzione dalle applicazioni "system - based" ad altre denominate "user - based" o per meglio specificare dal "computer tutor" al "computer tool".
Il primo -computer tutor- viene visto come un sostituto dell'insegnante, che ha il controllo del processo di apprendimento, propone quesiti e valuta l'adeguatezza delle risposte; il secondo - computer tool- rinuncia a controllare le risposte diventando un utensile per l'espressione e l'organizzazione personale della conoscenza, agendo da amplificatore cognitivo.
Quindi si passa da una concezione dei media (il personal computer) impersonale ad una concezione degli stessi come amplificatori della conoscenza, caratteristica per cui questi vengono applicati sempre più nei contesti formativi, diventando elementi di trasformazione delle modalità di formazione.
Ecco quindi l'input alla base dell'interesse per i media e la loro applicazione in ambito formativo, riportato nelle argomentazioni qui di seguito, che partendo dal rapporto tra informazione e formazione giungono all'analisi piuttosto dettagliata del ruolo dei media nella formazione, in particolare del personal computer, della formazione on - line e di conseguenza di uno degli strumenti di formazione on - line, quale quello dell'ipertesto, a cui si è data particolare importanza, poiché con esso è stato creato il progetto di un percorso di formazione a distanza per docenti sulla "Educazione alla cooperazione nella scuola".  I processi educativi sono coinvolti dalle innovazioni tecnologiche già esistenti e di largo uso tra cui l'informatica, anche se è da verificare quanto ci sia di vero nell'intenzione della scuola di prestare attenzione allo sviluppo tecnologico, quello informatico in particolare di cui ci si chiede se sia effettivamente in grado di fornire risposte alle esigenze formative dei docenti.
D'altra parte ai docenti e agli allievi si chiede oggi di possedere una certa alfabetizzazione informatica che non consiste solo nell'imparare le nuove tecniche, bensì nella conoscenza di nuovi paradigmi di strutturazione della realtà[1]. L'informatica è,infatti, presente oggi, nei programmi d'insegnamento della scuola, che va puntualizzando i propri obiettivi e rinnovando le proprie metodologie.
In questa prospettiva l'informatica può a buon diritto essere considerata fonte di rinnovamento, poiché consente, attraversare le discipline con il suo nuovo linguaggio, e di evidenziarne le nuove strutture e i nuovi modelli.
L'informatica ha portato la tecnologia al centro della vita dell'uomo; infatti, aumenta la complessità dei sistemi sociali che devono fare i conti con l'informatica, complessità che per essere gestita richiede nuove competenze aumentando la vulnerabilità dei soggetti e dei gruppi sociali meno qualificati e delle strutture ad essi collegate.
Certo è che la nostra è la civiltà dell'informazione; con questo non si vuole promuovere a  qualunque costo l'impiego dell'informatica nell'educazione didattica, poiché se il computer viene impiegato come un giocattolo per nascondere i veri problemi della scuola, le sue carenze, i suoi insuccessi, il suo impiego sarà catastrofico. Invece se viene utilizzato come strumento di ausilio per docenti e alunni, facendo riflettere i primi sul loro ruolo e tramite (tra computer e alunni), potrà avere un utilizzo vantaggioso.
L'informatica, infatti, sarà sempre più presente in tutte le discipline come metodo e strumento d'analisi e interpretazione dei dati che permetterà di analizzare i problemi in modo diverso che nel passato.
Tutte le discipline saranno toccate dall'informatica la cui introduzione nel campo dell'educazione didattica porterà a sviluppare la logica, la coerenza e la creatività, comprendendone la funzione e non soltanto imparando ad utilizzare il computer che è solo uno degli strumenti d'espressione dell'informatica stessa.
Da quanto fin qui detto, si evince la necessità di dare un'educazione al pensiero informatico impostando un insegnamento sui principi e utilizzando linguaggi di programmazione o metodi didattici idonei allo scopo.
"Uno degli obiettivi di ogni formazione è quello di permettere a ciascuno, in ogni momento, di far la somma delle sue conoscenze, affinare le proprie ipotesi, analizzare i propri processi e sormontare le proprie difficoltà"[2]
Entriamo così nel campo dell'euristica, intesa come metodo di scelta, e del suo apprendimento.
Nella vita di tutti i giorni, noi facciamo costantemente appello, senza saperlo, all'euristica.
Un esempio può essere quando per tradurre o capire un testo, si tiene conto del contesto e si sceglie un dato senso di una data parola, piuttosto che un altro, in funzione d'ipotesi, piste.
Si sceglie un'euristica piuttosto che un'altra, una pista piuttosto che un'altra, in funzione sia
della situazione sia della propria esperienza personale.
Grazie al loro ruolo centrale ed all'estensione delle loro funzioni le scienze e le tecnologie della conoscenza hanno saputo creare un nuovo legame tra uomo e natura, società e cultura, produzione e rappresentazione[3]. Il potere di queste tecnologie va molto al di là dello stesso dominio tecnologico; i loro strumenti operativi sono infatti i mezzi dell'informatica, dell'elettronica e delle telecomunicazioni, ma le loro radici affondano nello sviluppo della conoscenza umana. In tal senso le nuove tecnologie appaiono legate contemporaneamente all'universo della produzione ed a quello della comunicazione; i loro mezzi di espressione sono la macchina, il linguaggio e il pensiero.
La società postindustriale è sempre meno caratterizzata dai processi di produzione e di distribuzione di oggetti materiali e sempre più dalla diffusione degli strumenti e delle tecnologie della conoscenza. Essa appare essenzialmente rivolta alla produzione di oggetti immateriali, simbolici capaci a loro volta di modificare l'universo dei bisogni, dei valori, degli orientamenti culturali che determinano l'azione umana. Ed è proprio all'interno di questa prospettiva che l'uomo ed il suo sapere si pongono al centro della società postindustriale.
Il sapere è oggi il principale fattore di creazione della ricchezza e questo costituisce un evento né inatteso né recente. Al contrario rappresenta l'ultimo anello di un lungo processo evolutivo. "In realtà - scrive Antonio Pilati[4] - …l'impiego intensivo della conoscenza come fattore produttivo non è una prerogativa esclusiva del novecento o del secondo dopoguerra: dall'esperienza pratica dei cacciatori preagricoli alle technai degli artigiani greci sino ai segreti tramandati nei mestieri medievali, il sapere - tecnico, organizzativo, previsionale - ha sempre svolto una funzione di primo piano nella trasformazione della natura".
Il problema è capire per quali ragioni in alcuni momenti il peso della conoscenza è più incisivo. L'idea di un sistema produttivo fondato sui due perni della potenza cognitiva e della rapidità di connessione è oggi messa in pratica con clamore dalla Net Economy, ma almeno da un terzo di secolo era delineata da sociologi ed esperti di organizzazione che ne intravedevano sintomi incipienti in alcuni segmenti delle economie avanzate. "È lungo l'elenco di autori che da un lato identificano quale cardine dell'assetto sociale o economico qualche elemento legato alla costellazione cognitiva e dall'altro assumono tale fatto come una novità eclatante, una cesura drastica tra il passato che non lo contiene ed il futuro che lo vedrà completamente sviluppato (il presente ha in genere uno statuto ambiguo, di annuncio o di indizio).
In una prospettiva generale ciò che appare sempre più vitale e decisivo è la possibilità di applicare le capacità intellettuali alla ricerca, alla scoperta, all'invenzione e alla diffusione di soluzioni. I modelli organizzativi emergenti tendono infatti a privilegiare soluzioni che, da un lato, aiutino a fronteggiare l'instabilità dell'ambiente, la frammentazione dei mercati, la moltiplicazione dei soggetti e, dall'altro, siano in grado di sfruttare le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.
In questo contesto, scrive Lipari[5] matura anche l'esigenza di riorganizzare le attività ed i luoghi della formazione secondo una rinnovata logica dell'apprendimento. Si tenta di superare una nozione di adattamento meccanico dell'individuo all'organizzazione per approdare ad approcci centrati sull'esperienza concreta che gli attori contribuiscono a realizzare. In questo senso la conoscenza e la competenza tendono a configurarsi come situated knowledge, cioè come risultato delle occasioni di learning by doing che consentono l'affinamento e la messa in pratica di capacità intuitive.
La donna e l'uomo, scrive Varchetta, "ritornano" al centro degli eventi di coscienza, conoscenza e apprendimento, così come dentro il corso effettivo della loro vita …L'apprendimento lungo questa prospettiva diviene così motore e territorio della nostra identità, trasformandosi dall'apprendimento "in cui siamo", teatro di una soggettualità passiva e "esposta" all'ambiente, all'apprendimento "che noi siamo", con un soggetto capace di condizionare e guidare la propria relazione con il mondo"[6].
I temi dell'apprendimento organizzativo e, più in particolare, quelli legati alle competenze, alle conoscenze tacite, alle comunità di pratiche, al valore delle forme intuitive del sapere diventano così motivi dominanti del rinnovamento della cultura e delle pratiche formative. L'apprendere (letteralmente afferrare e far proprio un oggetto in un contesto relazionale), come osserva Lipari, diventa il concetto cruciale a partire dal quale non solo si rivaluta la dimensione soggettiva di chi partecipa a un evento rendendosi protagonista di una dinamica in cui agiscono altri soggetti, ma mette anche in luce la rilevanza dell'interazione, dello scambio, del dialogo, dell'apprendere insieme.
Queste riflessioni sono connesse al fatto che non si può conoscere da soli. Se conoscere …è imparare dalla realtà, si può imparare dalla realtà solo interrogandosi sul senso dei fatti e solo aprendosi a una dimensione intersoggettiva della conoscenza. In questo senso si collabora insieme ad altri e ad altre a costruire un significato comune, condiviso del significato del lavoro. Conoscere è necessariamente scambiare con gli altri. Coevoluzione è il processo con il quale specie interdipendenti tendono a evolvere generando nuove capacità[7].
Se infatti la competenza è riferita a un individuo, indipendentemente dal contesto in cui utilizzarla, essa non è altro che un attributo del soggetto che la possiede… Se invece la competenza è riferita agli individui e a ciò che fanno in contesti di azione organizzata, il problema della delimitazione del concetto assume altra rilevanza e complessità[8].  In questo caso l'intreccio tra dimensioni relazionali multiple che coinvolgono nello stesso tempo, gli individui, le regole e le procedure, i valori ed i linguaggi, "genera un campo cognitivo e di esperienze la cui specificità (e per molti versi unicità) da un lato …modifica e accresce le conoscenze e le esperienze degli individui, dall'altro alimenta il sapere collettivo dei gruppi e dello stesso ambiente organizzativo di contenuti il cui valore è vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell'organizzazione[9].
A partire da queste considerazioni, l'ottica delle competenze esercita importanti conseguenze sul versante di una prospettiva generale sul lavoro e sulla formazione. Si tratta come scrive Claudia Montedoro, di dare corpo ad una prospettiva concreta e praticabile di apprendimento lungo tutto l'arco della vita (lifelong learning), che si pone con sempre maggior vigore come esigenza propria delle organizzazioni produttive, della vita economica e sociale, delle stesse istituzioni formative e degli individui. Dalla esigenza "semplice" di apprendere per lavorare con competenza, la visuale si amplia fino a ricomprendere in sé il rendere possibile, nella società della conoscenza disegnata dall'emergere della learning economy, il perseguimento di una realizzazione piena di sé da parte di chiunque, affermando il diritto all'apprendimento come esigenza centrale dei soggetti individuali e sociali, chiave di accesso ad una cittadinanza piena nel mondo contemporaneo[10].
La centralità della conoscenza, secondo Giuseppe Varchetta, ha importato nell’esperienza organizzativa problematiche di stile, di modalità distintive, un particolare modo di sentire e agire l’organizzazione. L’organizzazione attraverso il metodo delle competenze invita a costruire professionalità composite, lontane dalla grigia, perpetua, inossidabile prevedibilità della posizione di ruolo dell’organizzazione tayloristica. Non si tratta di vaghezza e di imprecisione quanto di una apertura concreta alla integrazione interfunzionale, alla trasversalità, alla possibilità di costruire reti di professionalità articolata.
La vita delle donne e degli uomini è da sempre una “frase infinita”. L’esperienza di lavoro dell’organizzazione taylorista aveva per i più creato per così dire una frattura, due mondi: le ore del non lavoro collocate dentro una “frase infinita” e le ore del lavoro sovente immerse in cesure, in coazioni a ripetere, senza spazio per l’ascolto e l’inatteso di forme indefinite e, come tali, da narrare. Il metodo delle competenze … può ora rompere questo confine tra il tempo del non lavoro e quello del lavoro, superando quella distanza che probabilmente per la nostra quotidianità è stata la più grande tragedia della modernità. Noi veniamo così restituiti, lungo la traccia dell’enigma contenuto nelle competenze, ad una possibile sola pulsione, capace di con-fondere non lavoro e lavoro e restituirci alfine ad un nostro possibile infinito[11].




[1] Lariccia G., Tecnologia, conoscenza, educazione: una risposta umana alla sfida della complessità
Informatica, in Innovazioni tecnologiche e educazione, Fondazione Cin., Atti del Convegno internazionale, 1983, p. 295.  
[2] Schwartz E., L'Informatica e l'educazione, in rapporto alla CEE, Roma, Armando Editore, 1985, pp. 47-49.
[3] Busino, G., Du naturel et de l’artificiel dans les sciences sociales, in Cahiers Vilfredo Pareto: Revue Européenne des sciences sociales, XXXI, n. 41,1991, pp. 65 - 80.

[4] Pilati A. Prefazione a Th. Davenport e L. Prusak.,  Il sapere al lavoro, Milano, Etas, 2000, pp. VII - XII. 
[5] Lipari D., Logiche di azione formativa nelle organizzazioni, Milano, Guerini e associati, 2002, pp. 123 - 124.
[6] Varchetta G., Tracce per una formazione ri-unificata, in A. Fontana (a cura di). Lavorare con la conoscenza, Milano,  Guerini e associati, 2001, pp. 134 -135.

[7] Varchetta G. Il metodo delle competenze.  Postfazione a G. L. Cepollaro (a cura di), Sapere pratico, Milano,  Guerini & Associati, 2001, p. 315.  
[8] Lipari D., op. cit., p. 124.
[9] Ibidem.
[10] Montedoro C., Introduzione a C. Montedoro (a cura di). Le dimensioni metacurricolari dell'agire formativo, Milano, Angeli, 2002, pp. 11 - 12.

[11] 6 Varchetta G., Il metodo delle competenze. Postfazione a G. L. Cepollaro (a cura di), op. cit., p. 316.

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