di
Giuseppina D’Auria
Quando si parla di turismo
professionale si pensa subito ai congressi di aggiornamento alle isole
tropicali o in qualche località amena e, soprattutto, turistica; naturalmente
non è una regola. Noi abbiamo preso parte ad un mega-evento di formazione
“itinerante”, pensato per operatori sociosanitari, con gli obiettivi di
affrontare le problematiche che emergono nelle relazioni di una cura protratta
nel tempo, attraverso la creazione di un linguaggio comune che, grazie al
contributo di ambiti disciplinari diversi, etico, medico, psicopedagogico,
teologico, possa fornire gli strumenti per dare una risposta adeguata alle
esigenze, non solo clinico-assistenziali, delle persone, nel rispetto e nella
tutela della loro dignità. Altro obiettivo del corso è quello di aiutare gli
operatori socio-sanitari ad affrontare le diverse problematiche che emergono
nella relazione con persone bisognose di una cura protratta nel tempo e
individuare le esigenze, non solo clinico-assistenziali, a cui un’etica della
condizione umana deve dare risposta. Per far ciò risulta imprescindibile
mettere in luce i fattori culturali che concorrono a formare la personalità
dell’operatore stesso. Per questo motivo si affrontano anche i cambiamenti
verificatisi all’interno della medicina e della società che condizionano forme
di assistenza alla persona. L’idea di una riflessione etica sulla condizione
umana nasce dall’esigenza di valorizzare la dignità della persona, sia
dell’operatore sia dell’assistito.
I destinatari sono i medici di
base e gli specialisti, gli psicologi e psichiatri, gli infermieri, i terapisti
della riabilitazione, gli educatori, gli assistenti sociali, gli OSS, gli OTA,
gli insegnanti e gli operatori dei servizi generali. Non solo
aggiornamento…Momenti di seria
riflessione per prevenire la perdita dei valori e prevenire di smarrire il
senso della missione (il megafono del comandante non indica più la meta
ma…Kierkegaard)
Non solo itinerario pedagogico…ma
condurre ogni singolo operatore ad un modo nuovo di affrontare i
problemi
Non solo competenza propria e discorso multidisciplinare …ma
discorso interdisciplinare integrante ogni dimensione (quando interagiamo e
facciamo sintesi non facciamo somma)
In data 13 gennaio è iniziato a
Como il primo giorno di corso che fa da premessa e presentazione ad un progetto
formativo nazionale per operatori socio sanitari che terminerà a Trecenta (RO)
il 30 maggio p.v. Organizzato dal Centro Ricerca nazionale dell’Opera femminile
don Guanella in collaborazione con il Centro di Bioetica dell’Università
Cattolica di Milano, l’Istituto Neurologico Nazionale Carlo Besta di Milano e le
Associazioni Oasi Federico Onlus di Roma e Calabria, è un unico grande
progetto costituito da più eventi di
formazione, tutti accreditati presso il Ministero della Salute, ma che si
svolgeranno in più località del territorio italiano, senza distinzioni tra Nord
e Sud della penisola. La direzione scientifica del Corso è costituita dai
direttori degli Enti che hanno preso parte ed hanno sviluppato l’idea
progettuale: la dott.ssa Michela Carrozzino, Direttrice del Centro Ricerca Nazionale
dell’Ente organizzatore, ovvero le Figlie di Santa Maria della Divina
Provvidenza, la dott.ssa Matilde Leonardi, Direttrice dell’Istituto Neurologico
Nazionale Carlo Besta di Milano ed il prof. Adriano Pessina, Direttore del
Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il
corpo docente è costituito da psicologi e formatori ICF, Valutatori dei Sistemi
di Qualità, Pedagogisti clinici, Bioeticisti, Teologi, e Neurologi. Le altre
sedi dei corsi, che si svolgeranno in tre giornate di formazione per ogni
località, sono, oltre Como, Milano, Recanati (MC), Trecenta (RO), Roma e
Cosenza.
Scienza Salute Santità sono
sempre state per Don Luigi Guanella la meta delle tre “S”….prende tutto l’uomo
e bisogna averla dinnanzi e prima di tutto desiderare di raggiungerla.
Collaboriamo, in qualità di
Esperta dei processi di formazione, alla progettazione del Corso,
all’inserimento dei dati per l’accreditamento sul sito del Ministero della
salute, all’espletamento degli atti necessari alle iscrizioni e registrazioni
dei partecipanti, alla predisposizione della relativa modulistica, alla
preparazione degli attestati finali, passando per la organizzazione del materiale didattico e del
kit di lavoro consegnato ai corsisti. Inoltre, siamo presenti sin dal primo
giorno ai momenti di formazione in veste di Tutor e responsabile della
segreteria durante l’evento. Tra le tante cose abbiamo avuto il piacere di
prendere qualche appunto sulle relazioni ascoltate con maggiore interesse. La proposta formativa è scaturita da due istanze:
Istituzione Opera femminile don Guanella ed operatori, sia per esigenze
formative personali che a seguito di questionario pervenuto dalle singole
comunità. La Congregazione prevede che dal servizio che la comunità è chiamata
a svolgere nasce “il compito di preoccuparsi perché tutti i suoi membri
posseggano una adeguata preparazione umana, tecnico-professionale e
guanelliana: ciò permette loro di sviluppare al meglio la loro capacità
formativa e di rendere sempre più qualificata e incisiva la loro azione” (DB
art. 276). Cardine della proposta formativa “È l'uomo dunque, l'uomo
considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e
coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra
esposizione”(Gaudium et Spes art 3).
Durante le prime giornate del
corso sono stati introdotti gli aspetti salienti di una formazione
professionale che tenga conto di una pluralità di elementi: etici, sanitari e
spirituali. Nelle seconde giornate sono stati affrontati i temi etici della
relazione di aiuto con persone bisognose di una cura protratta nel tempo. A tal
fine sono stati messi in luce i fattori culturali attuali, che concorrono a
formare la personalità e la professionalità dell’operatore stesso, individuando
le esigenze a cui si deve dare una risposta etica della cura, modulata secondo
le diverse professioni. Nelle terze giornate le relazioni sono focalizzate
sulla salute e sulla disabilità: è stato effettuato un corso base ICF,
concernente gli aspetti culturali e concettuali che sottendono la
classificazione ICF, i principi cui si ispira, al sua struttura ed il suo
impatto sulla pratica quotidiana.
Pensiamo che comprendere lo
scenario entro cui si sviluppa la sensibilità bioetica e istruire il discorso
bioetica, in tutta l'estensione delle sue dimensioni, quelle biomediche ed
ecologiche come quelle etico-normative e antropologiche, sia l’obiettivo
dell’evento formativo a cui abbiamo partecipato in molteplici vesti.
Obiettivo di fondo di questa
discussione critica è la costruzione di un modello di bioetica adeguato a
supportare la deliberazione etica in una società pluralistica, con esplicito
riferimento a un livello etico fondamentale basato sul principio del rispetto
della dignità umana e a un livello etico-applicativo mirato a concretizzare
questo principio nelle situazioni nuove aperte dal progresso biomedico. E’
importante, per la riflessione bioetica, la costruzione di un quadro
concettuale in grado di integrare nell'elaborazione del giudizio principi,
valori, esperienza[1].
Obiettivo del corso, costruito
attorno ad un'essenziale presentazione dei modelli di argomentazione etica e
bioetica, è di offrire strumenti teorici e pratici utili ad una tale
integrazione. Il problema dell’assistenza non può essere pensato a prescindere
dal contesto storico sociale in cui si pone. Una riflessione sull’etica della
condizione umana deve in tal senso tener conto di una ormai diffusa
disomogeneità nelle valutazioni morali che, problematicamente, porta a ritenere
il pluralismo etico non solo un fatto, ma anche un valore. La bioetica diviene
così un riferimento importante quando cerca
di salvaguardare la pluralità dei valori riconoscendo, nello stesso
tempo, l’unicità della morale. Essa aiuta anche a comprendere i cambiamenti
inerenti alle relazioni di cura. Da un lato il rapporto tra medico e paziente
tende ad assumere una forma contrattuale e, quindi, potenzialmente
conflittuale, dall’altro il passaggio dalle cure intensive a quelle estensive
modifica profondamente i tempi e le relazioni di assistenza. La bioetica si
evidenzia, in questo senso, come una disciplina capace di cogliere e valutare i
cambiamenti inerenti alla realtà culturale che fanno da sfondo alle nuove
prassi assistenziali.
In merito ai cambiamenti
culturali e la bioetica abbiamo ascoltato con piacere il pensiero di Adriano
Pessina del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di
Milano. Egli sostiene che ci troviamo in una particolare situazione storica in
cui siamo chiamati ad esprimere giudizi, valutazioni morali, anche senza averne
le conoscenze adeguate, usando le parole.
Esse non sono innocenti e ci danno il
polso delle trasformazioni dell’esperienza. Siamo chiamati a vivere in un’epoca che combina e trasforma l’esperienza
per motivi di sovraesposizione
morale, abbiamo una serie di conoscenze estese ma la nostra formazione morale si arresta ai
primi anni di vita. Il fine da
proporre viene deciso singolarmente da ognuno di noi, in quanto pensiamo che
l’unica cosa importante è il nostro proprio pensiero.
Il punto fondamentale è la costruzione
dello spirito critico, della capacità del discernere, che nasce da una grande
fiducia nella ragione umana, che s’impara pensando alle cose, usando lo
strumento dello spirito critico, esercitando la capacità del discernere senza
negare il valore ma guardando alla consistenza di ciò che diciamo, pensiamo e
facciamo. Abbiamo la necessità di avere
il tempo per pensare.
Secondo Pessina l’etica, prima di
essere una questione di azioni da compiere, è una capacità di guardare alla
realtà stando da soli, poiché in questo spazio abbiamo la possibilità di
riflettere sulle nostre azioni e pensieri che esprimono la nostra capacità di
vedere quali sono i beni in gioco che, in modo non ordinario, dobbiamo decidere
di utilizzare nelle nostre personalità e libertà. L’assenza di pensiero è il
tema su cui dobbiamo soffermarci poiché ci presenta la banalizzazione del male
che ha le due facce della sofferenza (disagio umano esistenziale) e del dolore,
poiché corpo e mente, fisico e spirito sono una unità. Capire il dolore e la
sofferenza significa capire che non sono valori. Quando si comprendono le cose
importanti si decide in seconda istanza di fare bene: tutto dipende dalla
nostra volontà. Ci sono dei mezzi che, in
vista di fini, ci costano sudore e sangue. Bisogna avere chiarezza dei fini e
volontà di decidere di volerli raggiungere. Oggi non riusciamo a fare i conti
con noi stessi e con la finitezza della
nostra condizione. Molte volte il dolore e la sofferenza non sono degli altri ma sono nostri: quindi l’immagine dell’uomo è
come l’immagine di sé.[2] C’è un modo di leggere i comportamenti degli
altri cercando le cause e ce n’è un altro che comprende i motivi dell’altro
anche se non li condivide. Non
giudichiamo la persona ma i suoi atti cattivi
poiché la persona può sempre cambiare. Quando ci prendiamo cura
degli altri dovremmo aver imparato a prenderci cura di noi stessi. La capacità
di avere una relazione significativa dipende dal riconoscimento del valore
della persona di cui ci prendiamo cura e della conoscenza della sua opacità. Per questo diciamo che il valore dell’assistenza è dato dal
valore incommensurabile della persona umana. La bioetica è proposta da Pessina
come coscienza critica della civiltà
tecnologica, discernendo sul da farsi. Nella storia dell’umanità i bisogni
si modulano all’interno dei contesti culturali che modificano il nostro modo di
guardare, non solo ai bisogni degli altri, alla loro umanità. Esiste una
sproporzione tra conoscenza scientifica e formazione etica. La verità non ha un
copyright poiché una volta compresa la
verità è mia: possiamo usarla tutti e rimane intatta. Le zone della nostra
esistenza, i nostri mondi, sono tanti e dove noi troviamo il centro, l’equilibrio?
Nell’uomo c’è uno squilibrio totale tra il nostro desiderio di pienezza, di
infinito e la nostra finitezza; l’uomo è sempre squilibrato perché non si
accontenta, ha bisogno di capire quali sono i beni in gioco nella propria vita,
discernendo ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Non è vero che ognuno di
noi è in grado di fare tutto e noi non siamo insostituibili nelle nostre
funzioni e ruoli; lo siamo nella nostra unicità umana poiché il mondo
incomincia di nuovo quando nasce un uomo perché cambia attraverso la novità del
suo sguardo. L’assenza di pensiero, secondo Anna Harendt, non si identifica con
la stupidità: si può incontrarla in persone di intelligenza elevata e un cuore
malvagio non ne costituisce la causa. È vero probabilmente il contrario, che la malvagità può essere causata dall’assenza
di pensiero. La prima forma di malvagità è l’indifferenza nella quotidianità.
È una questione alimentata dalla televisione e dalla grande recita della
solidarietà personale; questo modello in cui siamo generosi per interposta
persona ci riguarda direttamente poiché l’indifferenza la esercitiamo
generalmente attraverso la scissione tra
mente e cuore che, col tempo, ci fa sentire inariditi, si diventa automi
coscienti che operano ma non sanno dare altre indicazioni concrete se non
quelle che dipendono dalle situazioni pesanti. È importante rileggere le cose
con la nostra novità. Crediamo nei diritti umani che, calati nella situazione
concreta, se non sono astratti, riguardano una questione di giustizia che è
solo il compito di alcuni ma è una questione che riguarda tutti, un dovere
sociale.
E’ possibile coniugare la
prospettiva della giustizia sociale con quella dell’amore per il prossimo: la
cura è tanto una risposta ad un diritto (giustizia nei confronti dell’uomo),
quanto un atteggiamento di gratuità e solidarietà propriamente umano.
Nella cura e nel prendersi cura è
possibile scoprire quanto oggi sembra offuscato: la coincidenza della dignità
della persona con la dignità del suo essere corporeo.
Il nostro lavoro cambia se noi ci
rendiamo conto che quello che noi facciamo ha valore. Il nostro valore è
incommensurabile e non è dettato dalla realtà di ciò che gli altri ci
riconoscono ma dalla dignità di ognuno di noi. Tutto ciò è solo una questione
culturale. Le parole che noi usiamo sono dei macigni non si giudicano le
persone ma bisogna capire la verità delle cose. Per Anna Harendt è importante
essere veritieri con noi stessi. Sarebbe bene non vivere tutta la vita insieme
con un mentitore. La malafede ci fa trasformare in buone le cose solo perché le
facciamo. La questione non è quello che
io farei ma quello che dovrei fare; non
sono io il criterio della mia moralità ma la verità che dovrebbe guidare le
nostre scelte.[3]
Non bisogna giocare sulla mia emotività che mi condiziona ma trovare il modo di
cambiare le cose. S’impara a riflettere sulle situazioni prima di entrarci
dentro, per avere riscontri in più per agire concretamente. Marx dice che noi
siamo la nostra corporeità (siamo ciò che mangiamo): noi siamo prima di tutto
ciò che pensiamo. Ci sono azioni che cambiano il mondo e ci sono azioni che
cambiano noi stessi, la nostra personalità. Il discorso del pensare è l’avere
una alimentazione per la nostra quotidiana salute mentale. La vita della mente
non è fare un corso di filosofia ma è alla portata di ognuno di noi. È quella
capacità di riflettere, di comunicare, quel gusto di pensare, che ci introduce
nella profondità del senso del nostro esistere. La qualità dell’assistenza
dipende dalla qualità umana del nostro farci carico degli altri ma non si può
cogliere l’umanità altrui se è inaridita la nostra. Nel prendersi cura degli
altri emerge il vero problema della relazionalità: i gesti che qualificano la
quotidianità (es. palpazione del dolore, criteri di accertamento della morte
cerebrale, ecc.). Nell’assistenza ci si prende cura dell’uomo malgrado la sua
malattia, la sua fragilità, la sua opacità personale: questo malgrado serve per non farci ridurre
l’uomo alla sua patologia. La patologia va combattuta perché si ha cura
dell’uomo, che è sempre più della sua condizione di malato e sofferente perché
lui è una persona unica e irripetibile. Dobbiamo coltivare la nostra umanità
perché non si è buoni spontaneamente e automaticamente. Amare un individuo
significa amarlo nelle sue stagioni della vita, passando dalle sue qualità ai
suoi malgrado che ci permettono di pensare seriamente alla condizione umana.
La dottoressa Matilde Leonardi,
Direttore Scientifico dell’Istituto Neurologico Nazionale Carlo Besta di Milano[4] ha
relazionato sulla classificazione internazionale ICF (Classificazione
Internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute), pubblicata
nel maggio 2001 dall’OMS, che rappresenta una autentica rivoluzione nella
definizione e quindi nella percezione della salute e della disabilità.
Ogni persona in qualunque momento della sua vita può trovarsi in
condizioni di salute che, in un ambiente negativo, divengono disabilità. Milioni
di persone soffrono a causa di una condizione di salute che, in un ambiente
sfavorevole, diventa disabilità. Usare
un linguaggio comune e cercare di affrontare i problemi della salute e della
disabilità in maniera multidisciplinare può essere un primo passo per cercare
di diminuire gli anni di vita persi a causa della disabilità[5]. Nel maggio 2001
l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato la "Classificazione
internazionale del funzionamento, della salute e disabilità", l'ICF, che
191 Paesi riconoscono come la nuova norma per classificare salute e disabilità.
Spostando l'attenzione dalle cause all'impatto
sul funzionamento della persona, e ponendo tutte le condizioni di salute allo
stesso punto di partenza l'ICF è lo strumento universale per misurare e
descrivere salute e disabilità. La Classificazione ICF è, infatti, lo
strumento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per descrivere e misurare
la salute e la disabilità delle popolazioni ed è il risultato di 7 anni di un
lavoro svoltosi in 65 Paesi, e che è partito dalla revisione della vecchia
classificazione ICIDH, pubblicata nel 1980 per prove sul campo.
Il messaggio "chiave" dell'ICF è il seguente: L'ICF riconosce
che ogni essere umano può avere un problema di salute e chiarisce il ruolo
fondamentale dell'ambiente nel determinare la disabilità. Questo non è qualche
cosa che capita solo a una minoranza, ma può capitare a chiunque.
L'ICF quindi è uno strumento di riferimento per il mainstreaming
dell'esperienza di disabilità e la riconosce come una esperienza umana
universale. La Classificazione ICF rappresenta una autentica rivoluzione
nella definizione e quindi nella percezione della salute e della disabilità, ed
è estremamente importante il fatto che, evidenziando l'importanza di un
approccio integrato, per la prima volta, si tiene conto dei fattori ambientali,
classificandoli in maniera sistematica. La
nuova classificazione prende infatti in considerazione gli aspetti contestuali
della persona, e permette la correlazione fra stato di salute e ambiente
arrivando cosi alla definizione di disabilità come: una condizione di salute in
un ambiente sfavorevole.
Il "Progetto ICF in
Italia" del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali Italiano ha
inteso l’ICF da classificazione di funzionamento, disabilità e salute a
strumento per sviluppo di politiche di welfare e propone di avviare un'azione sperimentale
di stimolo, affinché nell'arco di alcuni anni, il più ampio numero di persone
che operano nel settore della disabilità sia formato ad una diversa cultura e
filosofia della disabilità, e quindi all'uso ed ai vantaggi della nuova
classificazione dell'OMS e degli strumenti ad essa collegati. Accettare la
filosofia dell'ICF vuol dire considerare la disabilità un problema che non
riguarda i singoli cittadini che ne sono colpiti e le loro famiglie ma,
piuttosto, un impegno di tutta la comunità, e delle istituzioni innanzitutto,
che richiede uno sforzo ed una collaborazione multisettoriale integrata.
Il modello di salute e di
disabilità proposto dall'ICF è, infatti, un modello biopsicosociale che
coinvolge, quindi, tutti gli ambiti di intervento delle politiche pubbliche e,
in particolar modo, le politiche di welfare, la salute, l'educazione e il
lavoro. Solo dalla collaborazione intersettoriale e da un approccio integrato è
possibile, pertanto, individuare soluzioni che diminuiscano la disabilità di una
popolazione.
La II Conferenza Nazionale sulla
Disabilità svoltasi a Bari nel Febbraio 2003 ha chiaramente identificato
nell'ICF lo strumento di riferimento per lo sviluppo di azioni nell'ambito
della disabilità in Italia.
Il Ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali, attraverso il progetto sperimentale "ICF in Italia: ICF e Politiche del lavoro",
affidato per la parte esecutiva ad Italia Lavoro, intende promuovere l'utilizzo
della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e
della Salute dell'OMS, l'ICF, nell'ambito delle proprie competenze e dei propri
ambiti. Nell'ambito del "Progetto ICF in Italia" il progetto
"ICF e Politiche del lavoro" rappresenti la prima serie di azioni, di
tipo sperimentale, e riguarda il complesso settore delle Politiche del Lavoro,
con particolare riferimento al ruolo svolto dai Servizi per l'Impiego per
l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità. In seguito, le
esperienze maturate potranno essere capitalizzate e diffuse verso altri settori
interessati all'utilizzo della nuova classificazione come il Ministero della
Salute, il Ministero dell'Istruzione e Ricerca scientifica, Regioni ecc.
Sarà possibile utilizzare l'ICF
per avviare le attività di raccolta di dati sulla salute e disabilità della
popolazione usando criteri comuni e comparabili in maniera interdisciplinare.
Inoltre, si favorirà lo scambio di informazioni e, quindi, una migliore
comunicazione tra operatori con background differente su temi diversi di salute
e disabilità.
Sviluppando una formazione
sull'ICF usufruibile da tutti, e rispondendo così ad una crescente richiesta
che proviene dai settori più diversi della realtà italiana, il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali inoltre garantirà lo sviluppo di una corretta applicazione
della Classificazione in Italia. Il "Progetto ICF in Italia" è
coordinato dal Ministero del Welfare.
La rete dei Centri Collaboratori
dell'OMS nei diversi Paesi sarà informata sullo svolgimento dei lavori in
Italia e l'OMS stesso riceverà dal Disability
Italian Network, DIN, un rapporto regolare sullo sviluppo del lavoro in
Italia.
Nell'ambito dei programmi di
creazione di nuove e migliori opportunità di occupazione, Italia Lavoro nel
corso del 2003 ha avviato una serie di azioni progettuali e di interventi
informativi e formativi finalizzati a favorire l'inserimento lavorativo delle
persone con disabilità con l'obiettivo di creare le condizioni affinché anche
nel mercato del lavoro si sviluppi una cultura che consideri
"normale" che una persona con disabilità possa vivere pienamente gli
aspetti sociali della sua vita e possa quindi ottenere un posto di lavoro
rispondente alle proprie aspettative, alle proprie competenze professionali e
capacità funzionali e allo stesso tempo in grado di soddisfare le esigenze di
inserimento produttivo di chi domanda lavoro.
La strategia di Italia Lavoro
risponde agli obiettivi del legislatore che ha strutturato un impianto
normativo che con la legge n. 68/1999 mira, attraverso la diffusione del
concetto innovativo di "collocamento mirato", a promuovere una serie
di comportamenti ed azioni che si pongono la finalità di collocare "la
persona giusta al posto giusto".
La prima azione di rilievo è
rappresentata dal progetto "ICF e Politiche del Lavoro" che intende promuovere
la diffusione della nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento,
Disabilità e Salute (ICF) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nel settore
delle politiche del lavoro, mediante interventi di sensibilizzazione,
formazione, sperimentazione sul campo e comunicazione. L'obiettivo è duplice:
da un lato, migliorare le condizioni di inserimento lavorativo mediante la
diffusione di un metodo di valutazione della disabilità più attento e mirato
all'individuazione delle capacità personali, anche in relazione alle diverse
condizioni sociali ed ambientali; dall'altro, sperimentare l'utilizzo della
classificazione in un campo specifico ed offrire, a livello nazionale ed
internazionale, spunti e suggerimenti per eventuali azioni successive, anche in
settori diversi. In gioco c'è l'aspettativa di 500.000 persone con disabilità
iscritte allo specifico elenco ed in cerca di una occupazione produttiva e
finalmente in grado di coniugare competenze professionali e capacità
funzionali.
Il Ministero del Lavoro e delle
politiche sociali italiano con il progetto "ICF in Italia" intende
promuovere, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, l'utilizzo
della ICF.
Nel 2003, in occasione
dell'apertura dell'Anno Europeo delle persone con disabilità, è stata più volte
confermata l'esigenza di introdurre in Italia tale classificazione, quale
moderno strumento di accertamento e valutazione della salute e della
disabilità.
L'ICF è, infatti, in grado di valutare le performance e le abilità e di
valorizzare le capacità personali delle persone con disabilità ed è in grado di
misurare l'impatto dell'ambiente nel quale la persona con disabilità vive[6]. Cosa è la
disabilità? Risultato della interazione tra condizione di salute + fattori ambientali = DISABILITA’. Descritta a 3
livelli nell’ICF:
1.Corpo
2.Persona
3.ambiente
L’ICF riconosce che ogni essere umano può avere un problema di salute e
chiarisce il ruolo fondamentale dell’ambiente nel determinare la disabilità.
Questo non è qualche cosa che capita solo a una minoranza, ma può capitare a
chiunque.
L’ICF quindi è uno strumento di riferimento per il mainstreaming
dell’esperienza di disabilità e la riconosce come una esperienza umana
universale. Applicando la prospettiva descrittiva biopsicosociale (ICF):
- ogni persona si caratterizza per vari patterns di funzionamento, determinati dall’interazione dinamica tra fattori personali e fattori contestuali (modello bio-psico-sociale dell’ICF)
- descrivere le componenti del funzionamento
- descrivere le interazioni ambientali
- il problema si realizza (o si risolve) nell’intersezione dei fattori
- gli interventi devono essere indirizzati a tutti i fattori in gioco
Le applicazioni dell’ICF riguardano:
nStatistica:
demografia, studi su popolazioni, sistemi informativi.
nRicerca: per misurare
i risultati, la qualità della vita o i fattori ambientali.
nClinica: assessment
dei bisogni, valutazione dei risultati.
nPolitica sociale:
previdenza sociale, indennità, pianificazione di servizi.
nFormazione: incremento
della consapevolezza e delle azioni sociali
La Classificazione ICF trova in Italia un contesto favorevole per una sua
applicazione (background culturale,
sensibilizzazione delle associazioni e di alcuni Ministeri, lavoro scientifico
e di ricerca su ICF del DIN, legislazione nei settori scuola, lavoro, sociale e
riabilitazione ..) ma anche una serie di
ostacoli legati a diversi fattori; mancano:
nLinguaggio comune
nComparabilità dati
nDati di salute e disabilità certi
nModello di disabilità condiviso
nPercorso unificato vita-scuola -lavoro
nDefinizioni NON a priori
nApplicazione leggi esistenti (328-
cura/care e percorso individ.)
nRisposta uniforme del sistema alla stessa richietsa
nIl rispetto della condizione umana
nI servizi o La ricomposizione dei
servizi
nLe risorse economiche
nLe risorse umane
nLa competenza professionale
nSaper esprimere i bisogni ( cosa chiedere, come chiedere)
nRappresentanza completa
nSaper leggere i segnali di crisi
nUsare il Funzionamento ( functioning)
per definire.
In particolare, nel settore delle
politiche del lavoro, l'approccio globale di valutazione dell'ambiente e delle
abilità e potenzialità della persona, garantisce l'identità di ciascuno
rispetto al lavoro.
Per altro, in sede comunitaria,
sia nei documenti approvati dedicati alle tematiche della disabilità che nella
Strategia europea per l'occupazione, l'esclusione dal mercato del lavoro delle
persone con disabilità è indicata tra le condizioni più gravi da contrastare,
anche attraverso la comprensione dei diritti, dei bisogni e delle potenzialità
delle persone disabili, e migliorando le conoscenze sulle tematiche della
disabilità.
Maroni ha voluto sottolineare
l'impegno del nostro Paese, ed in particolare del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, nell'anno 2003, anche con l'avvio di questo progetto
sperimentale volto ad introdurre la nuova classificazione ICF con il fine di
elaborare nuove e più efficaci modalità e procedure per l'accertamento della
disabilità e per valutarne l'impatto sui processi di inclusione sociale, a
partire dalle procedure previste dalla normativa italiana per l'accertamento
della disabilità ai fini del collocamento delle persone disabili. Il Ministro
auspica che tale iniziativa possa contribuire a diffondere una nuova cultura
della disabilità in Italia ed in Europa, per il pieno godimento dei diritti e
delle opportunità e l'eliminazione degli ostacoli che ancora oggi si
frappongono alla reale integrazione delle persone con disabilità nella vita
dell'Unione.
Si tratta di una vera e propria svolta epocale, in quanto l'ICF sostituisce
la vecchia classificazione ICIDH del 1980 - della quale costituisce la radicale
revisione - ed è il frutto del lavoro di oltre sette anni, accettato da 191
Paesi come nuovo standard internazionale per misurare e classificare salute e
disabilità. L'Italia è stata tra i 65 Paesi che hanno contribuito alla sua
creazione.
"Il governo italiano - conferma Matilde Leonardi, Editor
dell'edizione italiana dell'ICF - è stato
tra quelli che hanno espresso parere favorevole all'approvazione del nuovo
strumento da parte dell'Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio del 2001. La
prima Consensus Conference italiana, uno dei
momenti di revisione e validazione della classificazione richiesti dall'OMS a
tutti i centri partecipanti al lavoro, si è tenuta a Udine nel dicembre del
1998 e da allora l'Agenzia Regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia,
previo accordo con l'OMS, si è presa l'onere - e l'onore - di coordinare i
lavori per l'Italia, ciò che motiva anche la scelta di Trieste quale sede della
presentazione ufficiale per il nostro Paese. In seguito a quel momento, si è
costituito, in maniera volontaria e spontanea, quello che poi è stato chiamato
il DIN - Disability Italian Network - che nel
corso dei mesi ha coinvolto sempre più persone provenienti da ogni parte
d'Italia. Ho trovato personalmente straordinario che i partecipanti del DIN
provengano dai settori e dalle situazioni più diverse. Università, IRCCS,
Ospedali, organizzazioni di disabili, centri pubblici e privati di
riabilitazione, singoli ricercatori di aree diverse, dalla fisioterapia alla
statistica, amministrativi e politici, funzionari del Ministero della Sanità e
soprattutto persone con diverse condizioni di salute e le loro famiglie, tutti
hanno contribuito al processo di revisione e validazione dell'ICF e l'Agenzia
della Sanità ha elaborato e portato i risultati della sperimentazione italiana
all'OMS"[7].
Ma perché è il caso di parlare di
una vera e propria svolta epocale e prima ancora, quali sono state le esigenze
principali da cui è nato questo lungo lavoro di revisione?
"L'ICF - ha dichiarato con chiarezza e semplicità Gro Harlem
Bruntland, Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in una
intervista pubblicata sul sito web del DIN- intende
descrivere ciò che una persona malata o in qualunque condizione di salute può
fare e non ciò che non può fare. La chiave, infatti, non è più la disabilità,
ma la salute e le capacità residue. In altre parole si può dire che mentre
prima quando incominciava la disabilità, la salute finiva o anche che quando
una persona era disabile, si trovava automaticamente in una `categoria
separata' (letteralmente etichettata come disabled),
oggi, con l'ICF, abbiamo voluto elaborare uno strumento che rovesci quasi
radicalmente questo modo di pensare, misurando le `capacità sociali'. Uno
strumento molto più versatile, con un ventaglio assai più ampio di applicazioni
possibili che non una classificazione tradizionale. Insomma, si tratta quasi di
una `rivoluzione culturale', che passa dall'enfatizzazione della disabilità a
quella della salute delle persone".
"Altro particolare molto importante - segnala Matilde Leonardi - va rilevato nel fatto che l'ICF, riguardando
la salute e le condizioni di essa, non `classifica le persone', ma riguarda
veramente tutti, poiché ciascuno di noi, in un contesto ambientale sfavorevole
o a fronte di qualche difficoltà, può venire a trovarsi in una condizione di
salute che lo renda `disabile'. Ci sono milioni di persone che soffrono a causa
di una condizione di salute che, in un ambiente sfavorevole, diventa
disabilità. Usare un linguaggio comune e cercare di affrontare i problemi della
salute e della disabilità in maniera multidisciplinare può essere certamente un
primo passo per cercare di diminuire gli anni di vita persi a causa della
disabilità. Non più dunque punteggi e graduatorie per la
misurazione della minorazione fisica o psichica, ai fini dell'erogazione di
sussidi assistenziali, bensì classificazione della salute e di tutte le
condizioni ad essa correlate, tenendo in considerazione anche il contesto
ambientale (familiare, sociale, economico, lavorativo) dei soggetti interessati".
Un classificatore della salute, quindi, ma in parallelo anche della qualità della vita. "Mentre gli
indicatori tradizionali si basavano sul tasso
di mortalità, l'ICF pone come centrale proprio la qualità della vita nelle persone affette da patologie o
menomazioni, prendendo in considerazione esattamente gli aspetti sociali della
disabilità, con la correlazione fra stato di salute e ambiente: “come le
persone convivono con la propria condizione e come è possibile migliorare
questa condizione per poter vivere un'esistenza il più possibile produttiva e serena”[8].
A giudicare da quanto ci viene
detto, sembra perciò di trovarsi di fronte ad un formidabile strumento di
lavoro, base ideale per le future politiche sanitarie della stragrande
maggioranza dei Paesi del mondo. Secondo Gro Harlem Bruntland – “è necessaria
una premessa generale. Per troppi anni gli investimenti nella salute sono stati
visti, da parte di molti economisti, quasi come un lusso che solo i Paesi sviluppati, dopo aver raggiunto un alto
livello di redditi, avrebbero potuto permettersi di attuare. Personalmente,
invece, sono sempre stata convinta del contrario, ovvero che proprio una popolazione in salute può essere il
prerequisito per una crescita dei redditi! Abbiamo quindi messo intorno a un
tavolo, per alcuni anni, numerosi tra i principali economisti da una parte ed
esperti della sanità dall'altra, per far sì che trovassero assieme una linea
comune di lavoro. Ebbene, alla fine sono arrivati a una semplice conclusione,
ovvero che le malattie sono un freno allo sviluppo, mentre gli investimenti
nella salute possono essere un input concreto per la crescita economica. L'ICF
nasce proprio da queste linee teoriche e credo che i suoi standard potranno
costituire la base fondamentale per i futuri investimenti nella sanità, in
tutto il mondo. Potrà innanzitutto far tratteggiare il quadro preciso della
salute, misurando poi l'efficacia delle varie politiche e i miglioramenti
eventualmente originati da queste ultime"[9].
"L'ICF - aggiunge come
particolare non secondario Leonardi - pone tutte le patologie sullo stesso
piano, indipendentemente dalla loro causa. Se infatti una persona, per un
motivo di salute, non riesce a lavorare, ha poca importanza che la causa sia di
origine fisica, psichica o sensoriale. Occorre invece intervenire sul contesto
sociale, costituendo una rete di servizi di qualità che consentano di fatto di
ridurre la disabilità"[10].
Ecco quindi ben precisato un
altro tassello che supera radicalmente i vecchi concetti di classificazione
dell'handicap. Ma quali elementi possono garantire che il nuovo ICF sarà inteso
allo stesso modo in tutto il mondo, al di là delle diverse culture? "L'ICF
- afferma Bruntland - è stato il prodotto di un processo di consenso
internazionale durato quasi un decennio, che ha coinvolto numerosissime
componenti, tra le quali, in ogni sua fase, anche le persone disabili e varie
Organizzazioni Non Governative. Esso è stato ampiamente testato sul campo per
assicurarne l'applicabilità anche a livello transculturale, coinvolgendo
addetti ai lavori della sanità, fornitori di servizi, uomini politici. La base
di partenza perché quelle difficoltà si possano superare c'è quindi
tutta!".
Per concludere, il cosiddetto messaggio chiave dell'ICF mette in una
nuova luce lo stesso concetto di salute e di disabilità, riconoscendo che
quest'ultima non è più la prerogativa di un gruppo
a sè, ma che può coinvolgere ogni essere umano, colpito da una perdita più
o meno grave (o più o meno temporanea) della propria salute. L'ICF codifica l'esperienza della disabilità,
riconoscendola come universale, e nel suo spostare il fuoco dalla causa
all'impatto, colloca tutte - ma proprio tutte - le condizioni di salute su un
piede di parità, consentendone una comparazione, basata su un metro comune. Con ICF si è chiuso un percorso di redazione
e ricerca di consenso a livello internazionale ma si è aperta al tempo stesso
una nuova “stagione” culturale e scientifica.
I processi applicativi sono quindi appena cominciati. Gli operatori del
Don Guanella che hanno frequentato questa serie di corsi di formazione,
ricongiungibili tutti ad un unico evento itinerante “Etica, salute,
spiritualità”, possono contribuire a questo processo inarrestabile di
cambiamento. Nel presente contesto culturale vige l’immagine, pressoché
universalmente condivisa, secondo cui la persona umana è centro di valori e di
diritti. Come esiste però un pluralismo etico di cui occorre tenere conto,
esiste anche una pluralità di concezioni antropologiche. La risposta alla
domanda su “chi è persona?” è rilevante perché condiziona le logiche di
inclusione ed esclusione nelle dinamiche di cura e di assistenza. Alla base del
complesso rapporto fra dignità della vita e qualità della vita si riscontra
spesso una separazione fra il concetto di vita personale e vita corporea, come
se potesse esserci la prima senza la seconda. Così si assiste ad un cambiamento
da un modello in cui l’esistenza dell’essere umano è considerata sacra, ad uno
che fa dipendere il valore della vita dalle capacità possedute dal soggetto in
un determinato momento. All’idea della vita come qualcosa di “dato” (da Dio o
dalla natura) si contrappone quella della vita come “progetto” dell’uomo
stesso, in cui si definisce quando e come nascere, quando e come morire, e si
stabilisce se essa sia, o meno, degna di essere vissuta. La valutazione di
questi modelli antropologici è incentrata sulla tesi secondo cui la
dignità della persona è il fondamento adeguato per promuoverne la qualità della
vita.
Padre Donato Cauzzo, Camilliano, segretario dell’Istituto
Nazionale di Teologia Pastorale Sanitaria Camillianum
di Roma ha tenuto, nella prime giornate di corso, l’intervento “Quale
spiritualità nella quotidianità dell’assistenza” e nelle seconde giornate la
relazione su “La condizione umana: salute, sofferenza e morte nel pensiero
cristiano[11]”.
Nelle lezioni delle prime
giornate di formazione Padre Cauzzo ci ha relazionato su cosa si intende per
spiritualità: innanzitutto fa la distinzione tra spiritualità e
religiosità.
nSpiritualità:
*
l’aspirazione a trovare un senso all’esistenza
*
l’insieme delle convinzioni e dei valori di una persona
*
la tensione alla trascendenza
nLa
dimensione spirituale è anteriore all’adesione a un credo religioso
n“Si
può vivere senza aderire ad alcuna religione. La spiritualità appartiene a
ciascuno di noi per il solo fatto di esistere” (Marie de Hennezel)
Non si soffre solo nel corpo o
nella psiche, ma anche nello spirito à bisogni spirituali
nI
bisogni spirituali si collocano nelle diverse aree della persona:
*
rapporto con se stessi
*
rapporto con gli altri
*
rapporto con il cosmo, la storia
*
dimensione trascendente, rapporto col divino
*
senso dell’esistenza
Ogni riflessione etica e la
prassi assistenziale dipendono da come consideriamo la persona: Per il
personalismo l’uomo è unità di corpo e spirito
Ä
“spirito incarnato” – “corpo spirituale”
La persona non è la semplice
somma delle diverse parti che la compongono ma: unità di corpo + psiche +
spirito
Ä
le parti collegate / interdipendenti
Ä
ogni parte influisce sulle altre
Nel discorso del Camilliano è
fondamentale mettere la persona “al centro”: considerarla soggetto, partner
della relazione terapeutica, capace di collaborare. Il relatore ha parlato di un
modello terapeutico esemplare: Gesù di Nazareth
*
instaura relazioni personali, un dialogo tra uguali
*
non ha atteggiamenti di superiorità o paternalismo
*
non impone la sua presenza né la guarigione
*
suscita l’iniziativa del malato
*
lo toglie dall’isolamento, lo mette al centro della scena
*
rispetta la dignità e la privacy
*
coinvolge la famiglia
*
prende sul serio tutti – ogni situazione
Solidarietà e
donazione sono due valori che rispettano la dimensione spirituale degli
operatori e degli assistiti. Solidarietà
è il rapporto di fratellanza che unisce i membri di una collettività e si
manifesta con atti di reciproco aiuto:
n
“È la determinazione ferma e perseverante di
impegnarsi per il bene comune” (Giovanni Paolo II)
n
“Carità sociale” (Pio XII)
n
Sul piano umano, deriva dalla pari dignità di
tutti e dal rapporto di interdipendenza
n
Sul piano cristiano, deriva dalla comune origine
dall’unico Creatore, e dal principio di fraternità universale
n
Destinatari privilegiati della solidarietà sono
coloro che soffrono
n
La scelta di solidarietà di Gesù è preferenziale
e concreta
n
Alla radice della solidarietà c’è la compassione:
* Uso improprio del termine
*
significato etimologico (da cum-patior )
*
sensibilità per saper interpretare le situazioni di bisogno
*
disponibilità a farsene carico, a “mettersi in gioco”
*
i pesi portati insieme sono più leggeri, le gioie condivise si moltiplicano
Nella domanda
di salute, cresce la domanda di attenzione ai bisogni relazionali e “di senso”
- Accanto a chi soffre: cosa posso fare ? à chi posso essere per lui ?
- La categoria del dono di sé unisce le qualità dell’essere e del fare
- L’attività assistenziale non si riduce a “prestazioni” ma coinvolge l’intera persona dell’operatore
- Ne derivano: migliore risposta ai bisogni degli assistiti + più soddisfazione e realizzazione di sé per gli operatori
nIl
bisogno di relazioni significative, anche per chi assiste
nLa
dimensione relazionale criterio di qualità dell’assistenza (cf. Piano sanitario
nazionale 1998-2000)
nLe
virtù relazionali:
*
disponibilità a lasciarsi interpellare
*
l’ascolto
*
trasmettere interesse e calore
*
il rispetto per ogni malato
*
l’empatia
*
ottimismo e serenità
nL’attenzione
ai bisogni religiosi (con discrezione e rispetto)
Concludendo
il discorso sulla spiritualità cristiana, Padre Donato la definisce come l’esperienza
di vita di chi mette in pratica l’insegnamento di Cristo. Ha illustrato i diversi
modi di vivere l’unica spiritualità cristiana nelle diverse epoche storiche, nelle
diverse forme di vita, sottolineando un aspetto particolare del Vangelo.
La spiritualità è caratteristica
che nasce da un fondatore e dalla famiglia religiosa da lui fondata; Qual è il
primo comandamento? La “scoperta” di Dio-Amore e la relazione di figliolanza; tutti
suoi figli, quindi fratelli tra noi – “consanguinei”. L’amore a Dio + l’amore
al prossimo: la linea verticale e la linea orizzontale - Coessenzialità di
entrambe le dimensioni. L’amore al prossimo: concreto ed esigente
L’amore al prossimo è la via più
breve per arrivare a Dio, è banco di prova e di credibilità della fede. E’ uno
“sguardo” da educare, da seguire come le indicazioni della parabola del
samaritano: amare tutti – amare per primi – amare in concreto –amare fino in
fondo – amare comunitariamente.
L’assistenza è sempre un rapporto tra persone
con un grado maggiore o minore di
autonomia. L’autonomia, però, si afferma e si rafforza sempre in legami di
dipendenza: pertanto, l’idea che una relazione di dipendenza sia lesiva della
dignità della persona nasce da una concezione irreale dell’autonomia stessa.
Non è la dipendenza, dunque, ad essere un problema, ma il modo in cui essa
viene realizzata tenendo conto, o meno, della dignità della persona umana in
ogni condizione o stadio della sua esistenza. Le tematiche trattate da padre
Donato[12]
vogliono essere una risposta agli interrogativi che ognuno di noi, almeno una
volta nella vita, si è posto, poiché:
- Domandare sulla salute significa domandare sull’uomo
- « Malattia e sofferenza sono fenomeni che non riguardano soltanto il corpo, ma tutto l’uomo e pongono interrogativi sull’essenza della condizione umana » (Giovanni Paolo II)
- Restituire alla salute e all’azione terapeutica il valore simbolico di “rimandi” al valore integrale della vita e della persona e alla salus
-
esemplarità dell’impegno professionale
-
la salute non è il fine ultimo della vita, ma un mezzo
-
la persona conserva la sua dignità anche in mancanza di
salute
-
alleanza terapeutica tra chi chiede e chi dona salute
-
la salvezza offerta da Cristo orizzonte ultimo della
salute e della vita
L’esperienza umana della
sofferenza è un dato fondamentale e universale della condizione umana,
inseparabile dalla vita; « Una sorte penosa è disposta per ogni uomo… »
(Siracide). La sofferenza è un’esperienza personale e ognuno la vive “solo”. «
Ognuno sta solo sul cuor della terra … Ed è subito sera » (S. Quasimodo)
Le reazioni dipendono da una
varietà di fattori: oggettivi, personali, ambientali. Decisivo è il significato
che vi si attribuisce: « Chi ha un perché per vivere può affrontare quasi ogni
come » (F. Nietzsche)
Il Padre Camilliano ha
relazionato su Sofferenza e morte alla luce dell’esperienza
di Gesù Cristo: Il Dio di Gesù Cristo: “Uno di noi” - « L’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il perché » (Giovanni Paolo II, SD 13)
di Gesù Cristo: Il Dio di Gesù Cristo: “Uno di noi” - « L’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il perché » (Giovanni Paolo II, SD 13)
- Nei vangeli nessun discorso di
“spiegazione” del dolore e del male, né inviti alla rassegnazione – la risposta
nell’esperienza vissuta da Gesù fino al “culmine”
- Nel Figlio, Dio è partecipe
della nostra condizione umana
- Due tappe: nella prima parte
del vangelo Gesù appare come portatore di gioia e di liberazione dal male –
nella seconda è il servo umiliato che va incontro liberamente alla sua “ora” e
soffre e muore in croce.
Anche il modo in cui ha sofferto
Gesù è esemplare e ci dimostra come Egli non ha sofferto tutti i dolori, ma le
reazioni e i sentimenti che essi provocano; non ha cercato la sofferenza, ma ha
lottato contro di essa. Quando è apparsa inevitabile, l’ha affrontata come uno
di noi, in maniera pienamente umana, ma: nell’amore; le parole del Getsemani e
del Calvario: parole di umanità – di accoglienza e perdono – di fiducia in Dio.
Altri nodi fondamentali del discorso sono stati:
- Gesù non ha “spiegato” la sofferenza: l’ha vissuta dal di dentro, svuotandola della sua assurdità, vivendola “per amore”
- Gesù è stato trasformato dalla sofferenza, e ha trasformato la sofferenza in “via” alla gloria
- Due insegnamenti:
- combattere il dolore e soccorrere chi ne è colpito
- accettare la sofferenza ineliminabile e il limite della morte
- Alla ricerca di senso: « Smettere di chiedersi: “perché?”. Interro-garsi piuttosto su: “a quale scopo, verso dove?” (M. de Hennezel)
- Opportunità di crescita – provocazione – purificazione – ruolo educativo – revisione dell’immagine di Dio – scuola per i sani
- Sofferenza e morte non sono le ultime parole dell’esistenza
Volendo concludere con le parole
che il prof. Pessina ha pronunciato nella sua prima relazione “L’assenza di
pensiero non si identifica con la stupidità: si può incontrarla in persone di
intelligenza elevata e un cuore malvagio non ne costituisce la causa: è vero
probabilmente il contrario, che la malvagità può essere causata dall’assenza
di pensiero. Nel prendersi cura
degli altri emerge il vero problema della relazionalità: nessuno può aiutare
gli altri se non si è riconciliato in se stesso con la sua condizione di
mortale, di possibile sofferente, di uomo. La paura “per noi” rischia di
condizionare sotto le spoglie dell’altruismo una schietta dedizione per l’altro.
La prima forma di malvagità è l’indifferenza nella quotidianità. La qualità
dell’assistenza dipende dalla qualità umana del nostro farci carico
degli altri ma non si può cogliere l’umanità altrui se si è inaridita la nostra.
Quando si è amici, non c’è alcun bisogno
di giustizia, mentre, quando si è giusti, c’è ancora bisogno di amicizia ed il
più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di
amicizia (Aristotele, Etica Nicomachea).
Per noi è stata una esperienza
molto bella; copiosa dal punto di
vista dei rapporti umani intesi in termini di scambi di idee e opinioni,
momenti di crescita e di riflessione; divertente e assorbente. Aggiungiamo che la Memoria di ciò che è stato ascoltato
e discusso in plenaria deve essere Nota, Documento, Cenno, Ritenzione di tutto
quanto è stato vissuto e condiviso; non deve connotarsi come mera facoltà
ritentiva ma ha il dovere di indicare ciò che è stato in termini di sola
formazione personale ma suggerendo ciò che potrebbe essere in divenire, sia nel
settore della Formazione e aggiornamento professionale in medicina che
nell’ambito più ristretto dell’Opera don Guanella.
[1] “Via via che cresce
l’aspettativa di vita, la relativa indipendenza di cui godono molti di noi
finisce per apparire come una condizione solo temporanea, come una fase della
vita in cui entriamo gradualmente ma che noi tutti ci apprestiamo a lasciare
sin troppo in fretta. Anche nel pieno degli anni molti di noi vanno incontro a
periodi più o meno lunghi in cui si trovano costretti a vivere in una
condizione di estrema dipendenza da altre persone” (Nussbaum M., Giustizia
sociale e dignità umana).
[2] Pessina Adriano, Cambiamenti culturali e Bioetica, in Progetto Formativo Nazionale per operatori
sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella,
intervento del 13 gennaio 2006
[3] ibidem
[4]L’Istituto Besta è punto di riferimento e
leader a livello nazionale ed internazionale nel campo della neurologia, della
neurochirurgia, della neuroriabilitazione e delle neuroscienze. La mission
dell’Istituto consiste nella diagnosi e nel trattamento delle malattie
neurologiche*, così come nella ricerca (di base ed applicata, preclinica e
clinica), nella cura e nel trattamento delle malattie del sistema nervoso.
Quale istituto neurologico, il Besta è profondamente coinvolto nelle aree della
neuroriabilitazione e della disabilità. Dal 2001 la Direzione Scientifica ha
aperto una linea di ricerca su Salute Pubblica e Disabilità, che coinvolge
l’Istituto nell’implementazione a livello nazionale e internazionale della Classificazione ICF,
così come nello sviluppo strategico del planning per il Ministero della Salute
e per il Ministero del Welfare, per quanto riguarda le politiche
sociosanitarie.
[5] Leonardi Matilde,
Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto
Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”,
Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006
[6] Leonardi Matilde,
Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto
Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”,
Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006
[7] Leonardi Matilde, Politiche
sociosanitarie e disabilità, in Progetto
Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”,
Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.
[8] ibidem
[9] Bruntland Gro Harlem,
Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in una intervista
pubblicata sul sito web del DIN (Disability italian Network).
[10] Leonardi Matilde,
Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto
Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”,
Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.
[11] Cauzzo Donato, Quale spiritualità nella prassi
assistenziale, in Progetto Formativo
Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como,
Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.
[12] Cauzzo Donato, La condizione umana: salute, sofferenza e
morte nel pensiero cristiano in Progetto
Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”,
Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.
Nessun commento:
Posta un commento