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lunedì 14 maggio 2012

ETICA, SALUTE E SPIRITUALITA’: UN PROGETTO FORMATIVO NAZIONALE ECM “ITINERANTE”


di Giuseppina D’Auria

Quando si parla di turismo professionale si pensa subito ai congressi di aggiornamento alle isole tropicali o in qualche località amena e, soprattutto, turistica; naturalmente non è una regola. Noi abbiamo preso parte ad un mega-evento di formazione “itinerante”, pensato per operatori sociosanitari, con gli obiettivi di affrontare le problematiche che emergono nelle relazioni di una cura protratta nel tempo, attraverso la creazione di un linguaggio comune che, grazie al contributo di ambiti disciplinari diversi, etico, medico, psicopedagogico, teologico, possa fornire gli strumenti per dare una risposta adeguata alle esigenze, non solo clinico-assistenziali, delle persone, nel rispetto e nella tutela della loro dignità. Altro obiettivo del corso è quello di aiutare gli operatori socio-sanitari ad affrontare le diverse problematiche che emergono nella relazione con persone bisognose di una cura protratta nel tempo e individuare le esigenze, non solo clinico-assistenziali, a cui un’etica della condizione umana deve dare risposta. Per far ciò risulta imprescindibile mettere in luce i fattori culturali che concorrono a formare la personalità dell’operatore stesso. Per questo motivo si affrontano anche i cambiamenti verificatisi all’interno della medicina e della società che condizionano forme di assistenza alla persona. L’idea di una riflessione etica sulla condizione umana nasce dall’esigenza di valorizzare la dignità della persona, sia dell’operatore sia dell’assistito.
I destinatari sono i medici di base e gli specialisti, gli psicologi e psichiatri, gli infermieri, i terapisti della riabilitazione, gli educatori, gli assistenti sociali, gli OSS, gli OTA, gli insegnanti e gli operatori dei servizi generali. Non solo aggiornamento…Momenti  di seria riflessione per prevenire la perdita dei valori e prevenire di smarrire il senso della missione (il megafono del comandante non indica più la meta ma…Kierkegaard)
Non solo itinerario pedagogico…ma  condurre ogni singolo operatore ad un modo nuovo di affrontare i problemi
Non solo competenza propria e discorso multidisciplinare …ma discorso interdisciplinare integrante ogni dimensione (quando interagiamo e facciamo sintesi non facciamo somma)
In data 13 gennaio è iniziato a Como il primo giorno di corso che fa da premessa e presentazione ad un progetto formativo nazionale per operatori socio sanitari che terminerà a Trecenta (RO) il 30 maggio p.v. Organizzato dal Centro Ricerca nazionale dell’Opera femminile don Guanella in collaborazione con il Centro di Bioetica dell’Università Cattolica di Milano, l’Istituto Neurologico Nazionale Carlo Besta di Milano e le Associazioni Oasi Federico Onlus di Roma e Calabria, è un unico grande progetto  costituito da più eventi di formazione, tutti accreditati presso il Ministero della Salute, ma che si svolgeranno in più località del territorio italiano, senza distinzioni tra Nord e Sud della penisola. La direzione scientifica del Corso è costituita dai direttori degli Enti che hanno preso parte ed hanno sviluppato l’idea progettuale: la dott.ssa Michela Carrozzino, Direttrice del Centro Ricerca Nazionale dell’Ente organizzatore, ovvero le Figlie di Santa Maria della Divina Provvidenza, la dott.ssa Matilde Leonardi, Direttrice dell’Istituto Neurologico Nazionale Carlo Besta di Milano ed il prof. Adriano Pessina, Direttore del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il corpo docente è costituito da psicologi e formatori ICF, Valutatori dei Sistemi di Qualità, Pedagogisti clinici, Bioeticisti, Teologi, e Neurologi. Le altre sedi dei corsi, che si svolgeranno in tre giornate di formazione per ogni località, sono, oltre Como, Milano, Recanati (MC), Trecenta (RO), Roma e Cosenza.
Scienza Salute Santità sono sempre state per Don Luigi Guanella la meta delle tre “S”….prende tutto l’uomo e  bisogna averla dinnanzi e prima  di tutto desiderare di raggiungerla.
Collaboriamo, in qualità di Esperta dei processi di formazione, alla progettazione del Corso, all’inserimento dei dati per l’accreditamento sul sito del Ministero della salute, all’espletamento degli atti necessari alle iscrizioni e registrazioni dei partecipanti, alla predisposizione della relativa modulistica, alla preparazione degli attestati finali, passando per la  organizzazione del materiale didattico e del kit di lavoro consegnato ai corsisti. Inoltre, siamo presenti sin dal primo giorno ai momenti di formazione in veste di Tutor e responsabile della segreteria durante l’evento. Tra le tante cose abbiamo avuto il piacere di prendere qualche appunto sulle relazioni ascoltate con maggiore interesse.  La proposta formativa è scaturita da due istanze: Istituzione Opera femminile don Guanella ed operatori, sia per esigenze formative personali che a seguito di questionario pervenuto dalle singole comunità. La Congregazione prevede che dal servizio che la comunità è chiamata a svolgere nasce “il compito di preoccuparsi perché tutti i suoi membri posseggano una adeguata preparazione umana, tecnico-professionale e guanelliana: ciò permette loro di sviluppare al meglio la loro capacità formativa e di rendere sempre più qualificata e incisiva la loro azione” (DB art. 276). Cardine della proposta formativa “È l'uomo dunque, l'uomo considerato nella sua unità e nella sua totalità, corpo e anima, l'uomo cuore e coscienza, pensiero e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione”(Gaudium et Spes art 3).
Durante le prime giornate del corso sono stati introdotti gli aspetti salienti di una formazione professionale che tenga conto di una pluralità di elementi: etici, sanitari e spirituali. Nelle seconde giornate sono stati affrontati i temi etici della relazione di aiuto con persone bisognose di una cura protratta nel tempo. A tal fine sono stati messi in luce i fattori culturali attuali, che concorrono a formare la personalità e la professionalità dell’operatore stesso, individuando le esigenze a cui si deve dare una risposta etica della cura, modulata secondo le diverse professioni. Nelle terze giornate le relazioni sono focalizzate sulla salute e sulla disabilità: è stato effettuato un corso base ICF, concernente gli aspetti culturali e concettuali che sottendono la classificazione ICF, i principi cui si ispira, al sua struttura ed il suo impatto sulla pratica quotidiana.
Pensiamo che comprendere lo scenario entro cui si sviluppa la sensibilità bioetica e istruire il discorso bioetica, in tutta l'estensione delle sue dimensioni, quelle biomediche ed ecologiche come quelle etico-normative e antropologiche, sia l’obiettivo dell’evento formativo a cui abbiamo partecipato in molteplici vesti. 
Obiettivo di fondo di questa discussione critica è la costruzione di un modello di bioetica adeguato a supportare la deliberazione etica in una società pluralistica, con esplicito riferimento a un livello etico fondamentale basato sul principio del rispetto della dignità umana e a un livello etico-applicativo mirato a concretizzare questo principio nelle situazioni nuove aperte dal progresso biomedico. E’ importante, per la riflessione bioetica, la costruzione di un quadro concettuale in grado di integrare nell'elaborazione del giudizio principi, valori, esperienza[1].
Obiettivo del corso, costruito attorno ad un'essenziale presentazione dei modelli di argomentazione etica e bioetica, è di offrire strumenti teorici e pratici utili ad una tale integrazione. Il problema dell’assistenza non può essere pensato a prescindere dal contesto storico sociale in cui si pone. Una riflessione sull’etica della condizione umana deve in tal senso tener conto di una ormai diffusa disomogeneità nelle valutazioni morali che, problematicamente, porta a ritenere il pluralismo etico non solo un fatto, ma anche un valore. La bioetica diviene così un riferimento importante quando cerca  di salvaguardare la pluralità dei valori riconoscendo, nello stesso tempo, l’unicità della morale. Essa aiuta anche a comprendere i cambiamenti inerenti alle relazioni di cura. Da un lato il rapporto tra medico e paziente tende ad assumere una forma contrattuale e, quindi, potenzialmente conflittuale, dall’altro il passaggio dalle cure intensive a quelle estensive modifica profondamente i tempi e le relazioni di assistenza. La bioetica si evidenzia, in questo senso, come una disciplina capace di cogliere e valutare i cambiamenti inerenti alla realtà culturale che fanno da sfondo alle nuove prassi assistenziali.
In merito ai cambiamenti culturali e la bioetica abbiamo ascoltato con piacere il pensiero di Adriano Pessina del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Egli sostiene che ci troviamo in una particolare situazione storica in cui siamo chiamati ad esprimere giudizi, valutazioni morali, anche senza averne le conoscenze adeguate, usando le parole. Esse non sono innocenti e ci danno il polso delle trasformazioni dell’esperienza. Siamo chiamati a vivere  in un’epoca che combina e trasforma l’esperienza  per motivi di sovraesposizione morale, abbiamo una serie di conoscenze estese  ma la nostra formazione morale si arresta ai primi anni di vita. Il fine da proporre viene deciso singolarmente da ognuno di noi, in quanto pensiamo che l’unica cosa importante è il nostro proprio pensiero.
Il punto fondamentale è la costruzione dello spirito critico, della capacità del discernere, che nasce da una grande fiducia nella ragione umana, che s’impara pensando alle cose, usando lo strumento dello spirito critico, esercitando la capacità del discernere senza negare il valore ma guardando alla consistenza di ciò che diciamo, pensiamo e facciamo. Abbiamo la necessità di avere il tempo per pensare.
Secondo Pessina l’etica, prima di essere una questione di azioni da compiere, è una capacità di guardare alla realtà stando da soli, poiché in questo spazio abbiamo la possibilità di riflettere sulle nostre azioni e pensieri che esprimono la nostra capacità di vedere quali sono i beni in gioco che, in modo non ordinario, dobbiamo decidere di utilizzare nelle nostre personalità e libertà. L’assenza di pensiero è il tema su cui dobbiamo soffermarci poiché ci presenta la banalizzazione del male che ha le due facce della sofferenza (disagio umano esistenziale) e del dolore, poiché corpo e mente, fisico e spirito sono una unità. Capire il dolore e la sofferenza significa capire che non sono valori. Quando si comprendono le cose importanti si decide in seconda istanza di fare bene: tutto dipende dalla nostra volontà. Ci sono dei mezzi che, in vista di fini, ci costano sudore e sangue. Bisogna avere chiarezza dei fini e volontà di decidere di volerli raggiungere. Oggi non riusciamo a fare i conti con noi stessi  e con la finitezza della nostra condizione. Molte volte il dolore e la sofferenza non sono degli altri  ma sono nostri: quindi l’immagine dell’uomo è come l’immagine di sé.[2]  C’è un modo di leggere i comportamenti degli altri cercando le cause e ce n’è un altro che comprende i motivi dell’altro anche se non li condivide. Non giudichiamo la persona ma i suoi atti cattivi  poiché la persona può sempre cambiare. Quando ci prendiamo cura degli altri dovremmo aver imparato a prenderci cura di noi stessi. La capacità di avere una relazione significativa dipende dal riconoscimento del valore della persona di cui ci prendiamo cura e della conoscenza della sua opacità. Per questo diciamo che il valore dell’assistenza è dato dal valore incommensurabile della persona umana. La bioetica è proposta da Pessina come coscienza critica della civiltà tecnologica, discernendo sul da farsi. Nella storia dell’umanità i bisogni si modulano all’interno dei contesti culturali che modificano il nostro modo di guardare, non solo ai bisogni degli altri, alla loro umanità. Esiste una sproporzione tra conoscenza scientifica e formazione etica. La verità non ha un copyright poiché una volta compresa  la verità è mia: possiamo usarla tutti e rimane intatta. Le zone della nostra esistenza, i nostri mondi, sono tanti e dove noi troviamo il centro, l’equilibrio? Nell’uomo c’è uno squilibrio totale tra il nostro desiderio di pienezza, di infinito e la nostra finitezza; l’uomo è sempre squilibrato perché non si accontenta, ha bisogno di capire quali sono i beni in gioco nella propria vita, discernendo ciò che è essenziale da ciò che non lo è. Non è vero che ognuno di noi è in grado di fare tutto e noi non siamo insostituibili nelle nostre funzioni e ruoli; lo siamo nella nostra unicità umana poiché il mondo incomincia di nuovo quando nasce un uomo perché cambia attraverso la novità del suo sguardo. L’assenza di pensiero, secondo Anna Harendt, non si identifica con la stupidità: si può incontrarla in persone di intelligenza elevata e un cuore malvagio non ne costituisce la causa. È vero probabilmente il contrario, che la malvagità può essere causata dall’assenza di pensiero. La prima forma di malvagità è l’indifferenza nella quotidianità. È una questione alimentata dalla televisione e dalla grande recita della solidarietà personale; questo modello in cui siamo generosi per interposta persona ci riguarda direttamente poiché l’indifferenza la esercitiamo generalmente attraverso la  scissione tra mente e cuore che, col tempo, ci fa sentire inariditi, si diventa automi coscienti che operano ma non sanno dare altre indicazioni concrete se non quelle che dipendono dalle situazioni pesanti. È importante rileggere le cose con la nostra novità. Crediamo nei diritti umani che, calati nella situazione concreta, se non sono astratti, riguardano una questione di giustizia che è solo il compito di alcuni ma è una questione che riguarda tutti, un dovere sociale.
E’ possibile coniugare la prospettiva della giustizia sociale con quella dell’amore per il prossimo: la cura è tanto una risposta ad un diritto (giustizia nei confronti dell’uomo), quanto un atteggiamento di gratuità e solidarietà propriamente umano.
Nella cura e nel prendersi cura è possibile scoprire quanto oggi sembra offuscato: la coincidenza della dignità della persona con la dignità del suo essere corporeo. 
Il nostro lavoro cambia se noi ci rendiamo conto che quello che noi facciamo ha valore. Il nostro valore è incommensurabile e non è dettato dalla realtà di ciò che gli altri ci riconoscono ma dalla dignità di ognuno di noi. Tutto ciò è solo una questione culturale. Le parole che noi usiamo sono dei macigni non si giudicano le persone ma bisogna capire la verità delle cose. Per Anna Harendt è importante essere veritieri con noi stessi. Sarebbe bene non vivere tutta la vita insieme con un mentitore. La malafede ci fa trasformare in buone le cose solo perché le facciamo. La questione non è quello che io farei  ma quello che dovrei fare; non sono io il criterio della mia moralità ma la verità che dovrebbe guidare le nostre scelte.[3] Non bisogna giocare sulla mia emotività che mi condiziona ma trovare il modo di cambiare le cose. S’impara a riflettere sulle situazioni prima di entrarci dentro, per avere riscontri in più per agire concretamente. Marx dice che noi siamo la nostra corporeità (siamo ciò che mangiamo): noi siamo prima di tutto ciò che pensiamo. Ci sono azioni che cambiano il mondo e ci sono azioni che cambiano noi stessi, la nostra personalità. Il discorso del pensare è l’avere una alimentazione per la nostra quotidiana salute mentale. La vita della mente non è fare un corso di filosofia ma è alla portata di ognuno di noi. È quella capacità di riflettere, di comunicare, quel gusto di pensare, che ci introduce nella profondità del senso del nostro esistere. La qualità dell’assistenza dipende dalla qualità umana del nostro farci carico degli altri ma non si può cogliere l’umanità altrui se è inaridita la nostra. Nel prendersi cura degli altri emerge il vero problema della relazionalità: i gesti che qualificano la quotidianità (es. palpazione del dolore, criteri di accertamento della morte cerebrale, ecc.). Nell’assistenza ci si prende cura dell’uomo malgrado la sua malattia, la sua fragilità, la sua opacità personale: questo malgrado serve per non farci ridurre l’uomo alla sua patologia. La patologia va combattuta perché si ha cura dell’uomo, che è sempre più della sua condizione di malato e sofferente perché lui è una persona unica e irripetibile. Dobbiamo coltivare la nostra umanità perché non si è buoni spontaneamente e automaticamente. Amare un individuo significa amarlo nelle sue stagioni della vita, passando dalle sue qualità ai suoi malgrado che ci permettono di pensare seriamente alla condizione umana.
La dottoressa Matilde Leonardi, Direttore Scientifico dell’Istituto Neurologico Nazionale Carlo Besta di Milano[4] ha relazionato sulla classificazione internazionale ICF (Classificazione Internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute), pubblicata nel maggio 2001 dall’OMS, che rappresenta una autentica rivoluzione nella definizione e quindi nella percezione della salute e della disabilità.
Ogni persona in qualunque momento della sua vita può trovarsi in condizioni di salute che, in un ambiente negativo, divengono disabilità.  Milioni di persone soffrono a causa di una condizione di salute che, in un ambiente sfavorevole, diventa disabilità. Usare un linguaggio comune e cercare di affrontare i problemi della salute e della disabilità in maniera multidisciplinare può essere un primo passo per cercare di diminuire gli anni di vita persi a causa della disabilità[5]. Nel maggio 2001 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato la "Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità", l'ICF, che 191 Paesi riconoscono come la nuova norma per classificare salute e disabilità. Spostando l'attenzione dalle cause all'impatto sul funzionamento della persona, e ponendo tutte le condizioni di salute allo stesso punto di partenza l'ICF è lo strumento universale per misurare e descrivere salute e disabilità. La Classificazione ICF è, infatti, lo strumento dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per descrivere e misurare la salute e la disabilità delle popolazioni ed è il risultato di 7 anni di un lavoro svoltosi in 65 Paesi, e che è partito dalla revisione della vecchia classificazione ICIDH, pubblicata nel 1980 per prove sul campo.
Il messaggio "chiave" dell'ICF è il seguente: L'ICF riconosce che ogni essere umano può avere un problema di salute e chiarisce il ruolo fondamentale dell'ambiente nel determinare la disabilità. Questo non è qualche cosa che capita solo a una minoranza, ma può capitare a chiunque.
L'ICF quindi è uno strumento di riferimento per il mainstreaming dell'esperienza di disabilità e la riconosce come una esperienza umana universale. La Classificazione ICF rappresenta una autentica rivoluzione nella definizione e quindi nella percezione della salute e della disabilità, ed è estremamente importante il fatto che, evidenziando l'importanza di un approccio integrato, per la prima volta, si tiene conto dei fattori ambientali, classificandoli in maniera sistematica. La nuova classificazione prende infatti in considerazione gli aspetti contestuali della persona, e permette la correlazione fra stato di salute e ambiente arrivando cosi alla definizione di disabilità come: una condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
Il "Progetto ICF in Italia" del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali Italiano ha inteso l’ICF da classificazione di funzionamento, disabilità e salute a strumento per sviluppo di politiche di welfare e propone di avviare un'azione sperimentale di stimolo, affinché nell'arco di alcuni anni, il più ampio numero di persone che operano nel settore della disabilità sia formato ad una diversa cultura e filosofia della disabilità, e quindi all'uso ed ai vantaggi della nuova classificazione dell'OMS e degli strumenti ad essa collegati. Accettare la filosofia dell'ICF vuol dire considerare la disabilità un problema che non riguarda i singoli cittadini che ne sono colpiti e le loro famiglie ma, piuttosto, un impegno di tutta la comunità, e delle istituzioni innanzitutto, che richiede uno sforzo ed una collaborazione multisettoriale integrata.
Il modello di salute e di disabilità proposto dall'ICF è, infatti, un modello biopsicosociale che coinvolge, quindi, tutti gli ambiti di intervento delle politiche pubbliche e, in particolar modo, le politiche di welfare, la salute, l'educazione e il lavoro. Solo dalla collaborazione intersettoriale e da un approccio integrato è possibile, pertanto, individuare soluzioni che diminuiscano la disabilità di una popolazione.
La II Conferenza Nazionale sulla Disabilità svoltasi a Bari nel Febbraio 2003 ha chiaramente identificato nell'ICF lo strumento di riferimento per lo sviluppo di azioni nell'ambito della disabilità in Italia.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, attraverso il progetto sperimentale "ICF in Italia: ICF e Politiche del lavoro", affidato per la parte esecutiva ad Italia Lavoro, intende promuovere l'utilizzo della Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell'OMS, l'ICF, nell'ambito delle proprie competenze e dei propri ambiti. Nell'ambito del "Progetto ICF in Italia" il progetto "ICF e Politiche del lavoro" rappresenti la prima serie di azioni, di tipo sperimentale, e riguarda il complesso settore delle Politiche del Lavoro, con particolare riferimento al ruolo svolto dai Servizi per l'Impiego per l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità. In seguito, le esperienze maturate potranno essere capitalizzate e diffuse verso altri settori interessati all'utilizzo della nuova classificazione come il Ministero della Salute, il Ministero dell'Istruzione e Ricerca scientifica, Regioni ecc.
Sarà possibile utilizzare l'ICF per avviare le attività di raccolta di dati sulla salute e disabilità della popolazione usando criteri comuni e comparabili in maniera interdisciplinare. Inoltre, si favorirà lo scambio di informazioni e, quindi, una migliore comunicazione tra operatori con background differente su temi diversi di salute e disabilità.
Sviluppando una formazione sull'ICF usufruibile da tutti, e rispondendo così ad una crescente richiesta che proviene dai settori più diversi della realtà italiana, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali inoltre garantirà lo sviluppo di una corretta applicazione della Classificazione in Italia. Il "Progetto ICF in Italia" è coordinato dal Ministero del Welfare.
La rete dei Centri Collaboratori dell'OMS nei diversi Paesi sarà informata sullo svolgimento dei lavori in Italia e l'OMS stesso riceverà dal Disability Italian Network, DIN, un rapporto regolare sullo sviluppo del lavoro in Italia.
Nell'ambito dei programmi di creazione di nuove e migliori opportunità di occupazione, Italia Lavoro nel corso del 2003 ha avviato una serie di azioni progettuali e di interventi informativi e formativi finalizzati a favorire l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità con l'obiettivo di creare le condizioni affinché anche nel mercato del lavoro si sviluppi una cultura che consideri "normale" che una persona con disabilità possa vivere pienamente gli aspetti sociali della sua vita e possa quindi ottenere un posto di lavoro rispondente alle proprie aspettative, alle proprie competenze professionali e capacità funzionali e allo stesso tempo in grado di soddisfare le esigenze di inserimento produttivo di chi domanda lavoro.
La strategia di Italia Lavoro risponde agli obiettivi del legislatore che ha strutturato un impianto normativo che con la legge n. 68/1999 mira, attraverso la diffusione del concetto innovativo di "collocamento mirato", a promuovere una serie di comportamenti ed azioni che si pongono la finalità di collocare "la persona giusta al posto giusto".
La prima azione di rilievo è rappresentata dal progetto "ICF e Politiche del Lavoro" che intende promuovere la diffusione della nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, Disabilità e Salute (ICF) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nel settore delle politiche del lavoro, mediante interventi di sensibilizzazione, formazione, sperimentazione sul campo e comunicazione. L'obiettivo è duplice: da un lato, migliorare le condizioni di inserimento lavorativo mediante la diffusione di un metodo di valutazione della disabilità più attento e mirato all'individuazione delle capacità personali, anche in relazione alle diverse condizioni sociali ed ambientali; dall'altro, sperimentare l'utilizzo della classificazione in un campo specifico ed offrire, a livello nazionale ed internazionale, spunti e suggerimenti per eventuali azioni successive, anche in settori diversi. In gioco c'è l'aspettativa di 500.000 persone con disabilità iscritte allo specifico elenco ed in cerca di una occupazione produttiva e finalmente in grado di coniugare competenze professionali e capacità funzionali.  
Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali italiano con il progetto "ICF in Italia" intende promuovere, nell'ambito delle proprie competenze istituzionali, l'utilizzo della ICF.
Nel 2003, in occasione dell'apertura dell'Anno Europeo delle persone con disabilità, è stata più volte confermata l'esigenza di introdurre in Italia tale classificazione, quale moderno strumento di accertamento e valutazione della salute e della disabilità.
L'ICF è, infatti, in grado di valutare le performance e le abilità e di valorizzare le capacità personali delle persone con disabilità ed è in grado di misurare l'impatto dell'ambiente nel quale la persona con disabilità vive[6]. Cosa è la disabilità? Risultato della interazione tra condizione di salute + fattori ambientali = DISABILITA’. Descritta a 3 livelli nell’ICF:
1.Corpo
2.Persona
3.ambiente
L’ICF riconosce che ogni essere umano può avere un problema di salute e chiarisce il ruolo fondamentale dell’ambiente nel determinare la disabilità. Questo non è qualche cosa che capita solo a una minoranza, ma può capitare a chiunque.
L’ICF quindi è uno strumento di riferimento per il mainstreaming dell’esperienza di disabilità e la riconosce come una esperienza umana universale. Applicando la prospettiva descrittiva biopsicosociale (ICF):
  1. ogni persona si caratterizza per vari patterns di funzionamento,  determinati  dall’interazione dinamica tra fattori personali e fattori contestuali (modello bio-psico-sociale dell’ICF)
  2. descrivere le componenti del funzionamento
  3. descrivere le interazioni ambientali
  4. il problema si realizza  (o si risolve) nell’intersezione dei fattori
  5. gli interventi devono essere indirizzati a tutti i fattori in gioco
Le applicazioni dell’ICF riguardano:
nStatistica: demografia, studi su popolazioni, sistemi informativi.
nRicerca: per misurare i risultati, la qualità della vita o i fattori ambientali.
nClinica: assessment dei bisogni, valutazione dei risultati.
nPolitica sociale: previdenza sociale, indennità, pianificazione di servizi.
nFormazione: incremento della consapevolezza e delle azioni sociali
La Classificazione ICF trova in Italia un contesto favorevole per una sua applicazione (background culturale, sensibilizzazione delle associazioni e di alcuni Ministeri, lavoro scientifico e di ricerca su ICF del DIN, legislazione nei settori scuola, lavoro, sociale e riabilitazione  ..) ma anche una serie di ostacoli legati a diversi fattori; mancano:
nLinguaggio comune
nComparabilità dati
nDati di salute e disabilità certi
nModello di disabilità condiviso
nPercorso  unificato vita-scuola -lavoro
nDefinizioni NON a priori
nApplicazione leggi  esistenti (328- cura/care e percorso individ.)
nRisposta uniforme del sistema alla stessa richietsa
nIl rispetto della condizione umana
nI servizi o  La ricomposizione dei servizi
nLe risorse economiche
nLe risorse umane
nLa competenza professionale
nSaper esprimere i bisogni ( cosa chiedere, come chiedere)
nRappresentanza completa
nSaper leggere i segnali di crisi
nUsare il Funzionamento ( functioning) per definire.
In particolare, nel settore delle politiche del lavoro, l'approccio globale di valutazione dell'ambiente e delle abilità e potenzialità della persona, garantisce l'identità di ciascuno rispetto al lavoro.
Per altro, in sede comunitaria, sia nei documenti approvati dedicati alle tematiche della disabilità che nella Strategia europea per l'occupazione, l'esclusione dal mercato del lavoro delle persone con disabilità è indicata tra le condizioni più gravi da contrastare, anche attraverso la comprensione dei diritti, dei bisogni e delle potenzialità delle persone disabili, e migliorando le conoscenze sulle tematiche della disabilità.
Maroni ha voluto sottolineare l'impegno del nostro Paese, ed in particolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nell'anno 2003, anche con l'avvio di questo progetto sperimentale volto ad introdurre la nuova classificazione ICF con il fine di elaborare nuove e più efficaci modalità e procedure per l'accertamento della disabilità e per valutarne l'impatto sui processi di inclusione sociale, a partire dalle procedure previste dalla normativa italiana per l'accertamento della disabilità ai fini del collocamento delle persone disabili. Il Ministro auspica che tale iniziativa possa contribuire a diffondere una nuova cultura della disabilità in Italia ed in Europa, per il pieno godimento dei diritti e delle opportunità e l'eliminazione degli ostacoli che ancora oggi si frappongono alla reale integrazione delle persone con disabilità nella vita dell'Unione. 
Si tratta di una vera e propria svolta epocale, in quanto l'ICF sostituisce la vecchia classificazione ICIDH del 1980 - della quale costituisce la radicale revisione - ed è il frutto del lavoro di oltre sette anni, accettato da 191 Paesi come nuovo standard internazionale per misurare e classificare salute e disabilità. L'Italia è stata tra i 65 Paesi che hanno contribuito alla sua creazione.
"Il governo italiano - conferma Matilde Leonardi, Editor dell'edizione italiana dell'ICF - è stato tra quelli che hanno espresso parere favorevole all'approvazione del nuovo strumento da parte dell'Assemblea Mondiale della Sanità nel maggio del 2001. La prima Consensus Conference italiana, uno dei momenti di revisione e validazione della classificazione richiesti dall'OMS a tutti i centri partecipanti al lavoro, si è tenuta a Udine nel dicembre del 1998 e da allora l'Agenzia Regionale della Sanità del Friuli Venezia Giulia, previo accordo con l'OMS, si è presa l'onere - e l'onore - di coordinare i lavori per l'Italia, ciò che motiva anche la scelta di Trieste quale sede della presentazione ufficiale per il nostro Paese. In seguito a quel momento, si è costituito, in maniera volontaria e spontanea, quello che poi è stato chiamato il DIN - Disability Italian Network - che nel corso dei mesi ha coinvolto sempre più persone provenienti da ogni parte d'Italia. Ho trovato personalmente straordinario che i partecipanti del DIN provengano dai settori e dalle situazioni più diverse. Università, IRCCS, Ospedali, organizzazioni di disabili, centri pubblici e privati di riabilitazione, singoli ricercatori di aree diverse, dalla fisioterapia alla statistica, amministrativi e politici, funzionari del Ministero della Sanità e soprattutto persone con diverse condizioni di salute e le loro famiglie, tutti hanno contribuito al processo di revisione e validazione dell'ICF e l'Agenzia della Sanità ha elaborato e portato i risultati della sperimentazione italiana all'OMS"[7].
Ma perché è il caso di parlare di una vera e propria svolta epocale e prima ancora, quali sono state le esigenze principali da cui è nato questo lungo lavoro di revisione?
"L'ICF - ha dichiarato con chiarezza e semplicità Gro Harlem Bruntland, Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in una intervista pubblicata sul sito web del DIN- intende descrivere ciò che una persona malata o in qualunque condizione di salute può fare e non ciò che non può fare. La chiave, infatti, non è più la disabilità, ma la salute e le capacità residue. In altre parole si può dire che mentre prima quando incominciava la disabilità, la salute finiva o anche che quando una persona era disabile, si trovava automaticamente in una `categoria separata' (letteralmente etichettata come disabled), oggi, con l'ICF, abbiamo voluto elaborare uno strumento che rovesci quasi radicalmente questo modo di pensare, misurando le `capacità sociali'. Uno strumento molto più versatile, con un ventaglio assai più ampio di applicazioni possibili che non una classificazione tradizionale. Insomma, si tratta quasi di una `rivoluzione culturale', che passa dall'enfatizzazione della disabilità a quella della salute delle persone". 
"Altro particolare molto importante - segnala Matilde Leonardi - va rilevato nel fatto che l'ICF, riguardando la salute e le condizioni di essa, non `classifica le persone', ma riguarda veramente tutti, poiché ciascuno di noi, in un contesto ambientale sfavorevole o a fronte di qualche difficoltà, può venire a trovarsi in una condizione di salute che lo renda `disabile'. Ci sono milioni di persone che soffrono a causa di una condizione di salute che, in un ambiente sfavorevole, diventa disabilità. Usare un linguaggio comune e cercare di affrontare i problemi della salute e della disabilità in maniera multidisciplinare può essere certamente un primo passo per cercare di diminuire gli anni di vita persi a causa della disabilità. Non più dunque punteggi e graduatorie per la misurazione della minorazione fisica o psichica, ai fini dell'erogazione di sussidi assistenziali, bensì classificazione della salute e di tutte le condizioni ad essa correlate, tenendo in considerazione anche il contesto ambientale (familiare, sociale, economico, lavorativo) dei soggetti interessati".
Un classificatore della salute, quindi, ma in parallelo anche della qualità della vita. "Mentre gli indicatori tradizionali si basavano sul tasso di mortalità, l'ICF pone come centrale proprio la qualità della vita nelle persone affette da patologie o menomazioni, prendendo in considerazione esattamente gli aspetti sociali della disabilità, con la correlazione fra stato di salute e ambiente: “come le persone convivono con la propria condizione e come è possibile migliorare questa condizione per poter vivere un'esistenza il più possibile produttiva e serena”[8].
A giudicare da quanto ci viene detto, sembra perciò di trovarsi di fronte ad un formidabile strumento di lavoro, base ideale per le future politiche sanitarie della stragrande maggioranza dei Paesi del mondo. Secondo Gro Harlem Bruntland – “è necessaria una premessa generale. Per troppi anni gli investimenti nella salute sono stati visti, da parte di molti economisti, quasi come un lusso che solo i Paesi sviluppati, dopo aver raggiunto un alto livello di redditi, avrebbero potuto permettersi di attuare. Personalmente, invece, sono sempre stata convinta del contrario, ovvero che proprio una popolazione in salute può essere il prerequisito per una crescita dei redditi! Abbiamo quindi messo intorno a un tavolo, per alcuni anni, numerosi tra i principali economisti da una parte ed esperti della sanità dall'altra, per far sì che trovassero assieme una linea comune di lavoro. Ebbene, alla fine sono arrivati a una semplice conclusione, ovvero che le malattie sono un freno allo sviluppo, mentre gli investimenti nella salute possono essere un input concreto per la crescita economica. L'ICF nasce proprio da queste linee teoriche e credo che i suoi standard potranno costituire la base fondamentale per i futuri investimenti nella sanità, in tutto il mondo. Potrà innanzitutto far tratteggiare il quadro preciso della salute, misurando poi l'efficacia delle varie politiche e i miglioramenti eventualmente originati da queste ultime"[9].
"L'ICF - aggiunge come particolare non secondario Leonardi - pone tutte le patologie sullo stesso piano, indipendentemente dalla loro causa. Se infatti una persona, per un motivo di salute, non riesce a lavorare, ha poca importanza che la causa sia di origine fisica, psichica o sensoriale. Occorre invece intervenire sul contesto sociale, costituendo una rete di servizi di qualità che consentano di fatto di ridurre la disabilità"[10].
Ecco quindi ben precisato un altro tassello che supera radicalmente i vecchi concetti di classificazione dell'handicap. Ma quali elementi possono garantire che il nuovo ICF sarà inteso allo stesso modo in tutto il mondo, al di là delle diverse culture? "L'ICF - afferma Bruntland - è stato il prodotto di un processo di consenso internazionale durato quasi un decennio, che ha coinvolto numerosissime componenti, tra le quali, in ogni sua fase, anche le persone disabili e varie Organizzazioni Non Governative. Esso è stato ampiamente testato sul campo per assicurarne l'applicabilità anche a livello transculturale, coinvolgendo addetti ai lavori della sanità, fornitori di servizi, uomini politici. La base di partenza perché quelle difficoltà si possano superare c'è quindi tutta!".
Per concludere, il cosiddetto messaggio chiave dell'ICF mette in una nuova luce lo stesso concetto di salute e di disabilità, riconoscendo che quest'ultima non è più la prerogativa di un gruppo a sè, ma che può coinvolgere ogni essere umano, colpito da una perdita più o meno grave (o più o meno temporanea) della propria salute. L'ICF codifica l'esperienza della disabilità, riconoscendola come universale, e nel suo spostare il fuoco dalla causa all'impatto, colloca tutte - ma proprio tutte - le condizioni di salute su un piede di parità, consentendone una comparazione, basata su un metro comune. Con ICF si è chiuso un percorso di redazione e ricerca di consenso a livello internazionale ma si è aperta al tempo stesso una nuova “stagione” culturale e scientifica.
I processi applicativi sono quindi appena cominciati. Gli operatori del Don Guanella che hanno frequentato questa serie di corsi di formazione, ricongiungibili tutti ad un unico evento itinerante “Etica, salute, spiritualità”, possono contribuire a questo processo inarrestabile di cambiamento. Nel presente contesto culturale vige l’immagine, pressoché universalmente condivisa, secondo cui la persona umana è centro di valori e di diritti. Come esiste però un pluralismo etico di cui occorre tenere conto, esiste anche una pluralità di concezioni antropologiche. La risposta alla domanda su “chi è persona?” è rilevante perché condiziona le logiche di inclusione ed esclusione nelle dinamiche di cura e di assistenza. Alla base del complesso rapporto fra dignità della vita e qualità della vita si riscontra spesso una separazione fra il concetto di vita personale e vita corporea, come se potesse esserci la prima senza la seconda. Così si assiste ad un cambiamento da un modello in cui l’esistenza dell’essere umano è considerata sacra, ad uno che fa dipendere il valore della vita dalle capacità possedute dal soggetto in un determinato momento. All’idea della vita come qualcosa di “dato” (da Dio o dalla natura) si contrappone quella della vita come “progetto” dell’uomo stesso, in cui si definisce quando e come nascere, quando e come morire, e si stabilisce se essa sia, o meno, degna di essere vissuta. La valutazione di questi modelli antropologici è incentrata sulla tesi secondo cui la dignità della persona è il fondamento adeguato per promuoverne la qualità della vita.
Padre Donato Cauzzo, Camilliano, segretario dell’Istituto Nazionale di Teologia Pastorale Sanitaria Camillianum di Roma ha tenuto, nella prime giornate di corso, l’intervento “Quale spiritualità nella quotidianità dell’assistenza” e nelle seconde giornate la relazione su “La condizione umana: salute, sofferenza e morte nel pensiero cristiano[11]”.
Nelle lezioni delle prime giornate di formazione Padre Cauzzo ci ha relazionato su cosa si intende per spiritualità: innanzitutto fa la distinzione tra spiritualità e religiosità.
nSpiritualità:
            * l’aspirazione a trovare un senso all’esistenza
            * l’insieme delle convinzioni e dei valori di una persona
            * la tensione alla trascendenza
nLa dimensione spirituale è anteriore all’adesione a un credo religioso
n“Si può vivere senza aderire ad alcuna religione. La spiritualità appartiene a ciascuno di noi per il solo fatto di esistere” (Marie de Hennezel)
Non si soffre solo nel corpo o nella psiche, ma anche nello spirito à bisogni spirituali
nI bisogni spirituali si collocano nelle diverse aree della persona:
            * rapporto con se stessi
            * rapporto con gli altri
            * rapporto con il cosmo, la storia
            * dimensione trascendente, rapporto col divino
            * senso dell’esistenza
Ogni riflessione etica e la prassi assistenziale dipendono da come consideriamo la persona: Per il personalismo l’uomo è unità di corpo e spirito
Ä “spirito incarnato” – “corpo spirituale”
La persona non è la semplice somma delle diverse parti che la compongono ma: unità di corpo + psiche + spirito
Ä le parti collegate / interdipendenti
Ä ogni parte influisce sulle altre
Nel discorso del Camilliano è fondamentale mettere la persona “al centro”: considerarla soggetto, partner della relazione terapeutica, capace di collaborare. Il relatore ha parlato di un modello terapeutico esemplare: Gesù di Nazareth
            * instaura relazioni personali, un dialogo tra uguali
            * non ha atteggiamenti di superiorità o paternalismo
            * non impone la sua presenza né la guarigione
            * suscita l’iniziativa del malato
            * lo toglie dall’isolamento, lo mette al centro della scena
            * rispetta la dignità e la privacy
            * coinvolge la famiglia
            * prende sul serio tutti – ogni situazione
Solidarietà e donazione sono due valori che rispettano la dimensione spirituale degli operatori e degli assistiti. Solidarietà è il rapporto di fratellanza che unisce i membri di una collettività e si manifesta con atti di reciproco aiuto:
n  “È la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune” (Giovanni Paolo II)
n  “Carità sociale” (Pio XII)
n  Sul piano umano, deriva dalla pari dignità di tutti e dal rapporto di interdipendenza
n  Sul piano cristiano, deriva dalla comune origine dall’unico Creatore, e dal principio di fraternità universale
n  Destinatari privilegiati della solidarietà sono coloro che soffrono           
n  La scelta di solidarietà di Gesù è preferenziale e concreta
n  Alla radice della solidarietà c’è la compassione:
      * Uso improprio del termine
            * significato etimologico (da cum-patior )
            * sensibilità per saper interpretare le situazioni di bisogno
            * disponibilità a farsene carico, a “mettersi in gioco”
            * i pesi portati insieme sono più leggeri, le gioie condivise si moltiplicano
Nella domanda di salute, cresce la domanda di attenzione ai bisogni relazionali e “di senso”      
  • Accanto a chi soffre: cosa posso fare ? à chi posso essere per lui ?
  • La categoria del dono di sé unisce le qualità dell’essere e del fare
  • L’attività assistenziale non si riduce a “prestazioni” ma coinvolge l’intera persona dell’operatore
  • Ne derivano: migliore risposta ai bisogni degli assistiti + più soddisfazione e realizzazione di sé per gli operatori
nIl bisogno di relazioni significative, anche per chi assiste
nLa dimensione relazionale criterio di qualità dell’assistenza (cf. Piano sanitario nazionale 1998-2000)
nLe virtù relazionali:
            * disponibilità a lasciarsi interpellare
            * l’ascolto
            * trasmettere interesse e calore
            * il rispetto per ogni malato
            * l’empatia
            * ottimismo e serenità
nL’attenzione ai bisogni religiosi (con discrezione e rispetto)
Concludendo il discorso sulla spiritualità cristiana, Padre Donato la definisce come l’esperienza di vita di chi mette in pratica l’insegnamento di Cristo. Ha illustrato i diversi modi di vivere l’unica spiritualità cristiana nelle diverse epoche storiche, nelle diverse forme di vita, sottolineando un aspetto particolare del Vangelo.
La spiritualità è caratteristica che nasce da un fondatore e dalla famiglia religiosa da lui fondata; Qual è il primo comandamento? La “scoperta” di Dio-Amore e la relazione di figliolanza; tutti suoi figli, quindi fratelli tra noi – “consanguinei”. L’amore a Dio + l’amore al prossimo: la linea verticale e la linea orizzontale - Coessenzialità di entrambe le dimensioni. L’amore al prossimo: concreto ed esigente
L’amore al prossimo è la via più breve per arrivare a Dio, è banco di prova e di credibilità della fede. E’ uno “sguardo” da educare, da seguire come le indicazioni della parabola del samaritano: amare tutti – amare per primi – amare in concreto –amare fino in fondo – amare comunitariamente.
L’assistenza è sempre un rapporto tra persone con  un grado maggiore o minore di autonomia. L’autonomia, però, si afferma e si rafforza sempre in legami di dipendenza: pertanto, l’idea che una relazione di dipendenza sia lesiva della dignità della persona nasce da una concezione irreale dell’autonomia stessa. Non è la dipendenza, dunque, ad essere un problema, ma il modo in cui essa viene realizzata tenendo conto, o meno, della dignità della persona umana in ogni condizione o stadio della sua esistenza. Le tematiche trattate da padre Donato[12] vogliono essere una risposta agli interrogativi che ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è posto, poiché:
  • Domandare sulla salute significa domandare sull’uomo
  • « Malattia e sofferenza sono fenomeni che non riguardano soltanto il corpo, ma tutto l’uomo e pongono interrogativi sull’essenza della condizione umana » (Giovanni Paolo II)
  • Restituire alla salute e all’azione terapeutica il valore simbolico di “rimandi” al valore integrale della vita e della persona e alla salus
-        esemplarità dell’impegno professionale
-        la salute non è il fine ultimo della vita, ma un mezzo
-        la persona conserva la sua dignità anche in mancanza di salute
-        alleanza terapeutica tra chi chiede e chi dona salute
-        la salvezza offerta da Cristo orizzonte ultimo della salute e della vita
L’esperienza umana della sofferenza è un dato fondamentale e universale della condizione umana, inseparabile dalla vita; « Una sorte penosa è disposta per ogni uomo… » (Siracide). La sofferenza è un’esperienza personale e ognuno la vive “solo”. « Ognuno sta solo sul cuor della terra … Ed è subito sera » (S. Quasimodo)
Le reazioni dipendono da una varietà di fattori: oggettivi, personali, ambientali. Decisivo è il significato che vi si attribuisce: « Chi ha un perché per vivere può affrontare quasi ogni come »  (F. Nietzsche)
Il Padre Camilliano ha relazionato su Sofferenza e morte alla luce dell’esperienza
di Gesù Cristo:
Il Dio di Gesù Cristo: “Uno di noi” - « L’amore è la fonte più ricca del senso della sofferenza. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il perché » (Giovanni Paolo II, SD 13)
- Nei vangeli nessun discorso di “spiegazione” del dolore e del male, né inviti alla rassegnazione – la risposta nell’esperienza vissuta da Gesù fino al “culmine”
- Nel Figlio, Dio è partecipe della nostra condizione umana
- Due tappe: nella prima parte del vangelo Gesù appare come portatore di gioia e di liberazione dal male – nella seconda è il servo umiliato che va incontro liberamente alla sua “ora” e soffre e muore in croce.
Anche il modo in cui ha sofferto Gesù è esemplare e ci dimostra come Egli non ha sofferto tutti i dolori, ma le reazioni e i sentimenti che essi provocano; non ha cercato la sofferenza, ma ha lottato contro di essa. Quando è apparsa inevitabile, l’ha affrontata come uno di noi, in maniera pienamente umana, ma: nell’amore; le parole del Getsemani e del Calvario: parole di umanità – di accoglienza e perdono – di fiducia in Dio. Altri nodi fondamentali del discorso sono stati:
  • Gesù non ha “spiegato” la sofferenza: l’ha vissuta dal di dentro, svuotandola della sua assurdità, vivendola “per amore”
  • Gesù è stato trasformato dalla sofferenza, e ha trasformato la sofferenza in “via” alla gloria
  • Due insegnamenti:
  • combattere il dolore e soccorrere chi ne è colpito
  • accettare la sofferenza ineliminabile e il limite della morte
  • Alla ricerca di senso: « Smettere di chiedersi: “perché?”. Interro-garsi piuttosto su: “a quale scopo, verso dove?” (M. de Hennezel)
  • Opportunità di crescita – provocazione – purificazione – ruolo educativo – revisione dell’immagine di Dio – scuola per i sani
  • Sofferenza e morte non sono le ultime parole dell’esistenza
Volendo concludere con le parole che il prof. Pessina ha pronunciato nella sua prima relazione “L’assenza di pensiero non si identifica con la stupidità: si può incontrarla in persone di intelligenza elevata e un cuore malvagio non ne costituisce la causa: è vero probabilmente il contrario, che la malvagità può essere causata dall’assenza di pensiero.  Nel prendersi cura degli altri emerge il vero problema della relazionalità: nessuno può aiutare gli altri se non si è riconciliato in se stesso con la sua condizione di mortale, di possibile sofferente, di uomo. La paura “per noi” rischia di condizionare sotto le spoglie dell’altruismo una schietta dedizione per l’altro. La prima forma di malvagità è l’indifferenza nella quotidianità. La qualità dell’assistenza dipende dalla qualità umana del nostro farci carico degli altri ma non si può cogliere l’umanità altrui se si è inaridita la nostra. Quando si è amici, non c’è alcun bisogno di giustizia, mentre, quando si è giusti, c’è ancora bisogno di amicizia ed il più alto livello della giustizia si ritiene che consista in un atteggiamento di amicizia (Aristotele, Etica Nicomachea).
Per noi è stata una esperienza molto bella; copiosa dal punto di vista dei rapporti umani intesi in termini di scambi di idee e opinioni, momenti di crescita e di riflessione; divertente e assorbente. Aggiungiamo che la Memoria di ciò che è stato ascoltato e discusso in plenaria deve essere Nota, Documento, Cenno, Ritenzione di tutto quanto è stato vissuto e condiviso; non deve connotarsi come mera facoltà ritentiva ma ha il dovere di indicare ciò che è stato in termini di sola formazione personale ma suggerendo ciò che potrebbe essere in divenire, sia nel settore della Formazione e aggiornamento professionale in medicina che nell’ambito più ristretto dell’Opera don Guanella.




[1] “Via via che cresce l’aspettativa di vita, la relativa indipendenza di cui godono molti di noi finisce per apparire come una condizione solo temporanea, come una fase della vita in cui entriamo gradualmente ma che noi tutti ci apprestiamo a lasciare sin troppo in fretta. Anche nel pieno degli anni molti di noi vanno incontro a periodi più o meno lunghi in cui si trovano costretti a vivere in una condizione di estrema dipendenza da altre persone” (Nussbaum M., Giustizia sociale e dignità umana).
[2] Pessina Adriano, Cambiamenti culturali e Bioetica, in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006
[3] ibidem
[4]L’Istituto Besta è punto di riferimento e leader a livello nazionale ed internazionale nel campo della neurologia, della neurochirurgia, della neuroriabilitazione e delle neuroscienze. La mission dell’Istituto consiste nella diagnosi e nel trattamento delle malattie neurologiche*, così come nella ricerca (di base ed applicata, preclinica e clinica), nella cura e nel trattamento delle malattie del sistema nervoso. Quale istituto neurologico, il Besta è profondamente coinvolto nelle aree della neuroriabilitazione e della disabilità. Dal 2001 la Direzione Scientifica ha aperto una linea di ricerca su Salute Pubblica e Disabilità, che coinvolge l’Istituto nell’implementazione a livello nazionale  e internazionale della Classificazione ICF, così come nello sviluppo strategico del planning per il Ministero della Salute e per il Ministero del Welfare, per quanto riguarda le politiche sociosanitarie.


[5] Leonardi Matilde, Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006
[6] Leonardi Matilde, Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006

[7] Leonardi Matilde, Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.
[8] ibidem
[9] Bruntland Gro Harlem, Direttore Generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in una intervista pubblicata sul sito web del DIN (Disability italian Network).
[10] Leonardi Matilde, Politiche sociosanitarie e disabilità, in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.
[11] Cauzzo Donato, Quale spiritualità nella prassi assistenziale, in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.

[12] Cauzzo Donato, La condizione umana: salute, sofferenza e morte nel pensiero cristiano in Progetto Formativo Nazionale per operatori sociosanitari “Etica, Salute, Spiritualità”, Como, Auditorium Don Guanella, intervento del 13 gennaio 2006.


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