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lunedì 21 maggio 2012

FRUIZIONE E OCCUPAZIONE NEL CAMPO DELLA FORMAZIONE


di Giuseppina D’Auria

“L'affermarsi dei concetti di conoscenza e di competenza è evidentemente legato al processo di evoluzione che ha interessato i modelli organizzativi e formativi della società contemporanea. All'interno del generale processo di cambiamento che sta interessando oggi le organizzazioni, osservano Telmo Pievani e Giuseppe Varchetta[1] la continua creazione di conoscenza tende a configurarsi come un fattore competitivo di grande rilevanza. Questo processo di creazione della conoscenza come vantaggio competitivo all'interno delle sfide, aperte dall'economia della globalizzazione, emancipa definitivamente la risorsa umana da variabile dipendente a variabile indipendente e riporta in luce le economie della mente, vale a dire l'economia della creatività, dell'incertezza, della complessità, in ultima analisi l'economia dell'uomo. Con lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione il lavoro è sempre meno descrivibile in termini di azioni fisicamente rappresentabili e sempre più in termini di processi cognitivi”[2].
"La globalizzazione ha scardinato i circuiti cognitivi chiusi ed ha aperto le soglie delle organizzazioni a una circolazione contaminante e contaminantesi di saperi originatisi in contesti lontani dove gli uomini e le donne pur compiendo gesti simili nutrono emozioni e pensieri diversi. È la transcontestualità, l'interazione tra contesti che alimenta la formazione delle competenze nei singoli luoghi dell'economia mondiale"[3]
Le conoscenze e le competenze tendono a non stratificarsi in un solo punto ma a crescere trasferendosi da un punto ad un altro con un incessante interscambio di know-how e skill.
L'interpretazione dei fenomeni organizzativi tende dunque a spostare l'accento dai fattori realizzativi a quelli decisionali in misura tale che i momenti dell'informazione, della comunicazione e della decisione diventano prioritari. Le organizzazioni tendono a non avere luoghi fisici di riferimento ed a configurarsi come sistemi di informazione, vale a dire di interazione e di scambio tra tecnologie dell'informazione. La dimensione fondamentale della realtà organizzativa diventa la dimensione concettuale, cognitiva, legata alla creazione ed alla diffusione del sapere.
Tutto ciò porta in primo piano i valori e gli elementi che stanno alla base della competenza, a partire dal quadrinomio sapere, saper-fare, sapere-essere, saper vivere insieme. Dal punto di vista del management delle risorse umane, la gestione delle competenze tende a diventare un obbligo sempre più vincolante per le imprese. Tanto quanto quelle delle risorse tecnologiche e proprio questo fatto ha suggerito ad Aubret che "la gestione delle competenze si situa esattamente nell'interfaccia tra il management delle risorse umane e il management delle risorse tecnologiche"[4].
L'importanza e l'ampiezza del problema legato alla creazione ed alla crescita delle competenze è dovuta al fatto che interessa sia l'individuo che l'impresa, sia la scuola che la famiglia. A questo si aggiunge che le competenze costituiscono l'esito di un processo di apprendimento continuamente mutevole e che proprio per questo devono essere scoperte, stimolate, indirizzate, conservate e coltivate.
E' a seguito di questa prospettiva che Jacques Delors colloca la definizione di competenza all'interno di uno dei quattro pilastri dell'educazione per il XXI secolo: l'imparare a fare. Gli altri tre pilastri, cui il primo è fortemente legato, sono l'imparare a conoscere, l'imparare a vivere insieme e l'imparare ad essere.
Il concetto di metacompetenza finisce per configurarsi nei termini della capacità, propria ad ogni individuo, di adattarsi e riadattarsi alle dinamiche evolutive del suo sistema ambientale e relazionale di riferimento, costruendo e trasformando continuamente i propri modelli di conoscenza e di azione.
Questa interpretazione del concetto di metacompetenza, di natura strettamente costruttivista, tende fortemente ad avvicinarsi a quel concetto di competenza strategica che Aureliana Alberici definisce in termini del saper apprendere lifelong. Competenza che, nelle sue molteplici dimensioni, si fonda sulla categoria concettuale dell’apprendere ad apprendere e sulle sue implicazioni formative[5]
La nozione di competenza strategica ha precise implicazioni sul piano operativo, nella misura in cui chiama in causa quelle abilità/dimensioni che sono, appunto, strategiche perché un individuo sia in grado di sapere apprendere in diversi contesti e lungo tutto l'arco della vita. Da ciò deriva la qualità strategica che si attribuisce a questo tipo di  competenze-risorse. Da ciò emerge egualmente la possibilità di indicare come nuovi contenuti dell’apprendimento non solo i contenuti di conoscenze specifiche, non solo le procedure della “cognizione”, ma gli stessi saperi taciti, che consentono lo sviluppo della dimensione proattiva delle competenze, in specifico di quelle strategiche per il lifelong learning.
A partire dalla definizione della competenza nei termini di un mix e del modo in cui questo mix si mobilita e si ridefinisce nelle situazioni e nelle relazioni della vita sociale e del lavoro, anche Giampiero Quaglino specifica che la competenza è legata a quelle abilità di un individuo date dall'insieme delle sue conoscenze, capacità, doti personali e doti professionali di comportamento sociale e di attitudine al lavoro, di iniziativa e di disponibilità ad affrontare rischi, di capacità di affrontare e di risolvere conflitti.
La competenza strategica finisce dunque per evocare una pluralità di dimensioni: cognitive, emotive, sociali, linguistico-narrative. Essa riguarda in definitiva una disposizione fondamentale, flessibile e adattiva, legata a capacità individuali relazionali, affettive, di responsabilità, orientamento, progettazione e intervento sul reale. Si tratta di ciò che in altri termini si può definire la metafora degli “attrezzi del mestiere per comprendere e per poter essere attori sociali nella knowledge Society"[6].
La donna e l'uomo, scrive Varchetta, “ritornano al centro degli eventi di coscienza, conoscenza e apprendimento, così come dentro il corso effettivo della loro vita… L'apprendimento lungo questa prospettiva diviene così motore e territorio della nostra identità, trasformandosi dall'apprendimento in cui siamo, teatro di una soggettualità passiva e esposta all'ambiente, all'apprendimento che noi siamo, con un soggetto capace di condizionare e guidare la propria relazione con il mondo”[7].
I temi dell'apprendimento organizzativo e, più in particolare, quelli legati alle competenze, alle conoscenze tacite, alle comunità di pratiche, al valore delle forme intuitive del sapere diventano così motivi dominanti del rinnovamento della cultura e delle pratiche formative. L'apprendere (letteralmente afferrare e far proprio un oggetto in un contesto relazionale), come osserva Lipari, diventa il concetto cruciale a partire dal quale non solo si rivaluta la dimensione soggettiva di chi partecipa a un evento rendendosi protagonista di una dinamica in cui agiscono altri soggetti, ma mette anche in luce la rilevanza dell'interazione, dello scambio, del dialogo, dell'apprendere insieme.
Queste riflessioni sono connesse al fatto che non si può conoscere da soli. “Se conoscere …è imparare dalla realtà, si può imparare dalla realtà solo interrogandosi sul senso dei fatti e solo aprendosi a una dimensione intersoggettiva della conoscenza. In questo senso si collabora insieme ad altri e ad altre a costruire un significato comune, condiviso del significato del lavoro. Conoscere è necessariamente scambiare con gli altri. Coevoluzione è il processo con il quale specie interdipendenti tendono a evolvere generando nuove capacità”[8].
“Se infatti la competenza è riferita a un individuo, indipendentemente dal contesto in cui utilizzarla, essa non è altro che un attributo del soggetto che la possiede… Se invece la competenza è riferita agli individui e a ciò che fanno in contesti di azione organizzata, il problema della delimitazione del concetto assume altra rilevanza e complessità”[9] In questo caso l'intreccio tra dimensioni relazionali multiple che coinvolgono nello stesso tempo, gli individui, le regole e le procedure, i valori ed i linguaggi, “genera un campo cognitivo e di esperienze la cui specificità (e per molti versi unicità) da un lato …modifica e accresce le conoscenze e le esperienze degli individui, dall'altro alimenta il sapere collettivo dei gruppi e dello stesso ambiente organizzativo di contenuti il cui valore è vitale per la sopravvivenza e lo sviluppo dell'organizzazione”[10]
A partire da queste considerazioni, l'ottica delle competenze esercita importanti conseguenze sul versante di una prospettiva generale sul lavoro e sulla formazione. Si tratta come scrive Claudia Montedoro, di “dare corpo ad una prospettiva concreta e praticabile di apprendimento lungo tutto l'arco della vita (lifelong learning), che si pone con sempre maggior vigore come esigenza propria delle organizzazioni produttive, della vita economica e sociale, delle stesse istituzioni formative e degli individui. Dalla esigenza semplice di apprendere per lavorare con competenza, la visuale si amplia fino a ricomprendere in sé il rendere possibile, nella società della conoscenza disegnata dall'emergere della learning economy, il perseguimento di una realizzazione piena di sé da parte di chiunque, affermando il diritto all'apprendimento come esigenza centrale dei soggetti individuali e sociali, chiave di accesso ad una cittadinanza piena nel mondo contemporaneo”[11].
“La vita delle donne e degli uomini è da sempre una frase infinita. L’esperienza di lavoro dell’organizzazione taylorista aveva per i più creato per così dire una frattura, due mondi: le ore del non lavoro collocate dentro una frase infinita e le ore del lavoro sovente immerse in cesure, in coazioni a ripetere, senza spazio per l’ascolto e l’inatteso di forme indefinite e, come tali, da narrare. Il metodo delle competenze… può ora rompere questo confine tra il tempo del non lavoro e quello del lavoro, superando quella distanza che probabilmente per la nostra quotidianità è stata la più grande tragedia della modernità. Noi veniamo così restituiti, lungo la traccia dell’enigma contenuto nelle competenze, ad una possibile sola pulsione, capace di con-fondere non lavoro e lavoro e restituirci alfine ad un nostro possibile infinito”[12].
L’intento del rapporto Isfol sulla Formazione professionale è “presentare una lettura in chiave statistica delle attività riguardanti la formazione professionale regionale, al fine di delineare un quadro generale della capacità progettuale e realizzativa del sistema, e dei relativi meccanismi di finanziamento. Per far ciò, l’analisi si è concentrata su tre aspetti: l'attività programmata; l’attività realizzata; la spesa preventivata e sostenuta per finanziare tali attività.
Le rilevazioni sulle attività corsuali programmate e realizzate dalle Regioni in materia di formazione professionale raccolgono informazioni, per l’anno formativo 1998/99, sul tipo di formazione “messa in cantiere”, su quella effettivamente svolta, gli utenti cui è destinata e in che misura, permettendo di interpretare le varie realtà regionali, spesso assai difformi tra loro.
Sostanzialmente, le variabili cardine delle rilevazioni sono corsi ed allievi e vengono incrociate con altre variabili quali: tipologia di formazione, settore di attività, bacino di utenza, tipo di finanziamento, durata dei corsi, ecc. In particolare, l'attività programmata viene ricavata sia dai dati riportati sui Bollettini regionali, sia tramite l’interazione con i funzionari addetti nelle singole Regioni ed è opportunamente elaborata per ottenere dei dati significativi per le analisi condotte dall’Isfol.
Per quanto riguarda l'attività realizzata, invece, questa viene monitorata tramite una rilevazione compiuta annualmente nelle Regioni dal Ministero del lavoro e dall'Isfol in base all'art. n. 20 della Legge 845/78.
Per quanto riguarda la spesa della formazione professionale, essa è stata ricavata dall’analisi dei bilanci regionali di previsione iniziale e dall’analisi dei consuntivi regionali. Quest'analisi consente di mettere a confronto, per l’intero periodo disponibile dalla serie storica (1995 – 1998), la spesa prevista con quella effettivamente realizzata e la capacità d'impegno delle singole Regioni. Infine è stato condotto un raffronto tra quanto speso e quanto attuato in termini di corsi di formazione rispetto ai bacini di utenza (giovani, occupati, disoccupati) ed alla forza lavoro regionale.
Il quadro che emerge, dunque, può fornire un utile strumento conoscitivo circa i meccanismi di funzionamento di un sistema complesso quale è, quello della formazione professionale regionale”[13].
Il ruolo dell'università nella società della conoscenza è ravvisabile nella crisi dello stesso sistema universitario, collegata al passaggio da un modello in cui l'innovazione è prodotta esclusivamente da un centro e si diffonde irradiandosi verso la periferia, ad un modello, qui denominato "rete", in cui la produzione dell'innovazione è invece diffusa socialmente. È in questa mutata geografia della produzione e circolazione della conoscenza che la formazione universitaria fatica a ritrovare e a ripensare il suo ruolo. Nessuna soluzione potrà essere trovata davvero finché l'università non si vedrà già immersa nella rete, riconoscendo così quanto gli attori che la abitano sono produttori di conoscenza e di relazioni. E questo sarà tanto più vero nella misura in cui si affermerà un sistema integrato della formazione continua. Questa ipotesi di formazione-supporto a soggetti attivi e autonomi è allo studio di formatori istituzionali, universitari e ministeriali a causa della estrema varietà ed eterogeneità delle attività di formazione. Esse, se costituiscono una caratteristica positiva di un sistema che in questi anni ha cercato sempre più di rispondere in modo flessibile ad una molteplicità di sollecitazioni, portano come conseguenza una difficoltà di rilevazione secondo schemi, categorie e tempistiche tradizionali. “Alle tipologie consolidate si sono aggiunte e sovrapposte le categorie d'utenza previste dal Fondo Sociale Europeo che, com'è noto, ormai finanzia circa il 70% delle attività, e questo accresce le difficoltà di classificazione”[14].
“Nel corso degli anni l'Isfol, d'intesa con l'Istat, ha affinato e riveduto le categorie d'analisi e le modalità di rilevazione, ma è necessario tener presente che la disomogeneità di situazioni sopra ricordate, moltiplicata per 21 Regioni, può sempre lasciare adito a qualche incertezza interpretativa di cui ci scusiamo in anticipo con i lettori e le amministrazioni interessate”[15].


[1] Pievani, T. e Varchetta, G., Il Management dell'Unicità, Guerini e Associati, Milano, 1999, pp. 46 - 49.
[2] Pepe Dunia, Le metacompetenze nella società della conoscenza: l'individuo e la costruzione del sapere, in Internet, Formazione&Cambiamento, Webmagazine sulla formazione Anno III – Numero 17 marzo 2003, http://formazione.formez.it/index.html.
[3] Ivi, p. 50. 
[4] Aubret, J. Gilbert, P. Pigeyre, F citato in P. Serreri, Competenza, in C. Montedoro (a cura di), op. cit p. 91.

[5] Alberici A., Imparare sempre nella società conoscitiva, Paravia, Torino, 1999.
[6] Alberici, A., Per una pratica riflessiva integrata. La progettazione curricolare orientata alle competenze nella dimensione del Lifelong Learning, in C. Montedoro (a cura di), Le dimensioni metacurricolari dell'agire formativo, Angeli, Milano,2002.
[7] Varchetta, G., Tracce per una formazione ri-unificata in A. Fontana (a cura di), Lavorare con la conoscenza, Guerini e associati, Milano, 2001, pp. 134 -135.

[8] Varchet G., Il metodo delle competenze, Postfazione a G. L. Cepollaro (a cura di), Sapere pratico, Guerini & Associati, Milano, 2001, p. 315. 
[9] Ibidem, p. 315
[10] Ibidem, p. 315.
[11] Montedoro C., Introduzione in C. Montedoro (a cura di), Le dimensioni metacurricolari dell'agire formativo, Angeli, Milano, 2002, pp. 11 - 12.
[12] Varchetta, G., Il metodo delle competenze, in Postfazione a Cepollaro L. G.  (a cura di), op. cit., 2001, p. 316.

[13] Isfol- Area Sistemi formativi, Statistiche della Formazione Professionale: le attività e la spesa, Roma, novembre 2000, p. 2.
[14] Dati estrapolati dal rapporto Isfol- Area Sistemi formativi, Statistiche della Formazione Professionale: le attività e la spesa, Roma, novembre 2000, Introduzione p. 2
[15] Ibidem, Introduzione, p. 2.

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