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mercoledì 23 maggio 2012

INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI

A proposito di iscrizioni: tutti gli alunni in situazione di handicap (anche grave) hanno diritto a frequentare le classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado (scuola materna, elementare, media e superiore) – art. 12 Legge 104/92. Si tratta di un vero e proprio diritto soggettivo: la scuola non può rifiutare l’iscrizione e se lo fa commette un illecito penale. Il diritto all’integrazione è garantito anche per l’asilo nido e l’università (art. 12 Legge 104/92).
IL PRIMO DISTACCO! La scuola dell’infanzia è il primo grande distacco che bambine/i affrontano nella loro vita. Passano da una situazione sicura, il nucleo familiare dove si sentono protetti, a un ambiente dove si andranno a misurare con i pari, in cui si cimenteranno per la prima volta, in prima persona, con il problema della costruzione del proprio spazio vitale. Il confronto con gli altri li porterà a doversi confrontare con il mondo allargato, diverso da quello che era stato costruito per loro fino a quel momento.
La scuola base riveste, dunque, molta importanza nello sviluppo psicosociale di ogni bambino/a e rappresenta la prima vera prova di socializzazione a cui verrà sottoposto: dovrà imparare a contare solo sulle sue forze, senza il sostegno sicuro del contesto genitoriale. Ed è in questo processo evolutivo di crescita che i genitori devono essere in grado di NON TRASFERIRE le proprie ansie e i propri timori al bambino/a. Il passaggio dovrebbe avvenire serenamente, in modo tale che il confronto coi pari sia il più autonomo possibile, tale da permettergli di iniziare ad arricchire il bagaglio di esperienze positive per uno sviluppo emotivo sicuro e stabile.
È importante che questo processo iniziale avvenga senza grandi fatiche emotive.
L’argomento non è facile e deve necessariamente prendere in considerazione anche alcuni aspetti a volte trascurati: i sentimenti delle famiglie, le sofferenze implicite connesse con la loro condizione. Per questo motivo, non voglio affrontare la questione attraverso un approccio puramente normativo, limitando tutto a un semplice e freddo elenco di articoli e di circolari, che pur è importante conoscere.
Vorrei condividere con i lettori le difficoltà che i genitori possono incontrare nel loro primo impatto con la realtà sociale. Si tratta di un evento importantissimo con cui il bimbo disabile deve necessariamente fare i conti. Il dolore è una variabile che si incunea prepotentemente nella relazione educativa e che deve essere affrontata e gestita in modo produttivo sul piano della conoscenza di sé e dell’altro. Il vissuto del nucleo familiare porta spesso a delle situazioni di grandi difficoltà nel rapporto con la scuola. A volte i genitori sembrano assumere atteggiamenti di chiusura, ma in effetti tendono solo a difendersi. Dall’ altro lato anche l’insegnante rischia di percepire l’aspetto emotivo come un “peso” che può sbilanciare la relazione. Servono, quindi, alcuni strumenti di mediazione per costruire lo spazio relazionale, per accogliere la sofferenza e trasformarla in elemento di conoscenza.
I genitori si trasformano in risorsa quando sono coinvolti attivamente, ognuno singolarmente con la propria storia ed esperienza, nel progetto educativo individuale del proprio figlio/a. Solamente in questo modo, camminando insieme, si avrà una piena integrazione o sarebbe meglio dire: inclusione.
L’inclusione è un DIRITTO fondamentale ed è in relazione con il concetto di “appartenenza”. Le persone con o senza disabilità possono interagire alla pari. Un’educazione inclusiva permette alla scuola di essere riconosciuta come un’istituzione DI QUALITÀ.
Mi torna in mente una poesia di Danilo Dolci, una frase in particolare che riporto in maiuscolo fa comprendere, più di ogni parola, il concetto di inclusione/integrazione:
C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
CIASCUNO CRESCE SOLO SE SOGNATO.
Ogni bambino/a deve essere benvenuto, ogni bambino/a impara con i propri tempi e soprattutto può partecipare direttamente alle attività, così che tutti riescano a comprendere come le diversità costituiscano un arricchimento.
Attenzione, la prima difficoltà che possono incontrare i genitori è la scarsa informazione. È buona norma che i genitori si informino dell’esistenza di laboratori, di spazi in cui il bambino può essere messo in condizione di socializzare attraverso il gioco affinché prenda contatto con il mondo che lo circonda. Bambine/i hanno bisogno di vivere le attività e i luoghi di apprendimento (classe, laboratori, contesti sociali e famiglia) che devono funzionare come un circuito virtuoso aprendo delle possibilità di libertà e di crescita del bambino/a.
L’esperienza personale mi porta a sostenere con convinzione che i genitori debbano conoscere in anticipo le strategie educative specifiche che l’istituzione scolastica offre, e se queste rispondono effettivamente ai bisogni individuali espressi. Solo se si rispettano i bisogni individuali può essere effettivamente garantito il principio di uguaglianza del soggetto disabile, che si sentirà di appartenere alla comunità come soggetto umano e non
come un “diverso”. Sono convinta che se la scuola, i docenti e i genitori saranno capaci di dialogare e mediare tra gli ostacoli, partendo dalla comprensione della storia individuale di ogni bambino, di sicuro si attiveranno percorsi di vera inclusione e piena integrazione umana e sociale!
Se sei insegnante dovrai ammettere che il tuo lavoro è uno dei più belli del mondo ma anche dei più liberi. In fondo sei tu che decidi quanto tempo, creatività e coinvolgimento mettere in ciò che fai; sei tu che decidi se relazionarti con le tue colleghe (o i tuoi colleghi) sulla base di confronti critici costruttivi oppure coprendovi le spalle e difendendovi, spesso, chiudendo gli occhi di fronte a ingiustizie o comportamenti umanamente o didatticamente sbagliati; sei tu che decidi se usare la cattedra come un trampolino di lancio oppure come il
banco di un giudice; sei tu che scegli di fare una fotocopia in meno e un cartellone in più.
Se sei un genitore dovrai ammettere che spesso la difesa a oltranza di tuo figlio non prevede la riflessione su cos’è il bene per lui. In fondo difenderlo è più facile che educarlo, è più semplice che mettersi in discussione per capire se devo correggere il mio comportamento; è impegnativo educare al rispetto dell’autorità in quanto tale, prima che alla difesa dei propri diritti; è doloroso curare invece che cullare, aiutarlo a rialzarsi invece che evitare che cada. È tutto molto facile, soprattutto quando si abdica al proprio ruolo.
Se sei un politico dovrai ammettere di aver trattato la scuola, per troppo tempo, come un ricettacolo di voti.
Forse hai confuso i ruoli e hai usato la scuola al servizio della tua carriera, mentre avresti dovuto fare il contrario. Se sei uno scolaro/studente dovrai ammettere che la scuola è al servizio della tua crescita e, quindi, del tuo futuro.
Sei tu, quindi, il protagonista principale, il formatore delle insegnanti, il costruttore di ponti, il cercatore d’oro, il Bakugan avventuroso... sei tu il responsabile di ciò che sarai.

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