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domenica 13 maggio 2012

Jung, Carl Gustav

Carl Gustav Jung è conosciuto soprattutto come uno dei più importanti allievi di Sigmund Freud, ma anche come il suo principale rivale.
Parlando di Jung è sempre necessario dissipare dei dubbi o equivoci. Per esempio, direi che Jung non è mai stato allievo di Freud, e, da un certo punto di vista, credo che non sia stato neanche un suo rivale.
Jung cominciò molto presto a leggere una delle opere fondamentali di Freud, L'interpretazione dei sogni, e ne rimase molto colpito. Scrisse a Freud della grande impressione che quest'opera gli aveva prodotto. D'altra parte, Jung a differenza di Freud, aveva cominciato a lavorare, già da molto tempo, in un ospedale psichiatrico, ed aveva avuto grande esperienza con i malati gravi, quei malati che noi oggi chiamiamo schizofrenici.

Egli rimase colpito dal contributo di Freud, il quale cercava di andare alla radice dei comportamenti umani. Jung aveva già realizzato un'esperienza, attraverso il "test di associazione": contando il tempo con il quale una persona rispondeva a una parola, aveva intuito un rapporto tra il tempo impiegato per rispondere e una difficoltà della persona stessa. Jung chiamò "complesso" questo rapporto. Quello che Jung scopriva attraverso il test associativo era abbastanza coerente con quello che andava dicendo Freud. Quindi direi che Jung sia stato, più che un allievo, un collaboratore di Freud. Ovviamente, nella nostra cultura Freud, non solo per il fatto di essere venuto prima, ma per la grandissima dimensione della sua scoperta, ha un importanza del tutto particolare, anche se in fondo alcuni risultati della sua ricerca erano stati già preceduti da alcuni grandi personaggi del Settecento - mi riferisco, per esempio, alla scoperta dell'ipnosi - che avevano intuito l'esistenza di un mondo nascosto e naturalmente avevano dato delle spiegazioni molto diverse rispetto a Freud e a Jung.

Freud capisce che è possibile delineare una nuova disposizione dell'animo umano, una disposizione che tenga conto non soltanto della coscienza, ma anche e soprattutto di altri aspetti della vita psichica non facilmente conoscibili e non conosciuti, a cui dette il nome di "inconscio". 
Io preferisco usare il termine "inconscio" sempre come aggettivo, perché di per sé l' "inconscio" non esiste. Noi con questo termine ovviamente ci riferiamo a una dimensione psicologica, attraverso la quale capiamo che non solo agiamo con una certa consapevolezza, ma che nel momento stesso in cui agiamo probabilmente una dimensione inconsapevole della nostra coscienza ci guida. Come in questo momento abbiamo un cuore che batte, ma non ne siamo consapevoli, così la nostra vita psichica si muove non solo sotto la spinta di una certa intenzionalità, ma si muove anche sotto la spinta di forze che Freud ha voluto denominare "forze inconsce". Sarà poi tutto il successivo lavoro di Freud e di Jung che darà a queste forze un loro nome e una loro collocazione all'interno di quella splendida dimensione che è la dimensione psicologica.
Sappiamo che c'è uno stile, una tecnica specifica di quella che si chiama la psicologia analitica di Jung rispetto alla psicoanalisi di Freud.
"Qual è lo specifico di Jung?". Questa è una domanda legittima; io non dimentico però una frase che Jung dirà a un certo punto nei suoi Ricordi, sogni e riflessioni dove dice che noi dobbiamo sapere tutto, conoscere a perfezione quanto detto da Freud e da altri autori, ma poi dobbiamo anche saper dimenticare tutto. In questo senso io potrei dire che lo specifico di Jung, la tecnica junghiana è quella di non avere nessuna tecnica. Io sono del parere che due analisti, che hanno veramente molta esperienza, siano di per sé inconfondibili, perché l'esperienza stessa porta le persone - in questo caso specifico gli analisti - ad avere lo stesso comportamento.
Ora, ammettiamo che ci sia un analista che nella sua attività porti un riferimento teorico a Jung. Durante l'analisi, egli dovrà prima confrontarsi con una dimensione che da Jung è chiamata "persona". "Persona" è un nome latino, che vuol dire "maschera", cioè quell'atteggiamento esteriore che tutti noi abbiamo e che dobbiamo naturalmente utilizzare rispetto al mondo esterno. Ad esempio è chiaro che io, quando insegno in aula all'università, devo assumere la maschera del professore, mentre in seduta d'esame assumo la maschera dell'esaminatore e via dicendo. Il consiglio di Jung è interessante perché dice: "state attenti, una cosa è il ruolo che voi svolgete, e una cosa è quello che siete veramente; state attenti a non identificarvi con queste immagini". Allora sarebbe curioso se io avessi l'atteggiamento da professore, magari anche un po' noioso, che ho durante le lezioni, nel momento in cui vado dal fruttivendolo per comprare della frutta.

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