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martedì 22 maggio 2012

LA DEONTOLOGIA, I VALORI, L’IMMAGINE.

Tesi di Laurea in Sociologia Generale.

 In nome del “dovere”. Selezione e Formazione degli operatori dell’ordine.

E’ impresa complessa cercare di racchiudere in pochi appunti tutta quella serie di comportamenti che identificano il corretto agire dell’operatore di polizia quale appartenente all’Istituzione Polizia di Stato; spunti di riflessione possono venire acquisiti attraverso la lettura di un ‘codice comportamentale’ che disponga di quelle azioni che si compiono come appartenenti ad istituzioni pubbliche (quindi subordinate anche ad altre regole che fanno sì che l'azione sia, con certezza, corretta e venga riconosciuta come tale). Le regole dell'agire, che guidano i comportamenti, peculiari per ciascuna professione si annoverano nella deontologia. Sebbene molto antico, il termine fu riscoperto nell'attuale accezione intorno al 1834, quando fu pubblicata l'opera postuma del filosofo Bentham ovvero  la sua  dottrina utilitaristica dei doveri, intitolata, appunto "deontology". Il concetto di deontologia è quello di scienza che tratta i doveri da compiere (ciò che deve essere), che si contrappone all'altro concetto, quello dell'ontologia, cioè la scienza dell'essere, (ciò che è). Di deontologia si parla in ogni professione (es.: forense, medica, ecc.), ed essa regola i comportamenti di ciascun soggetto. E conforme alla deontologia quel comportamento che rispetta i canoni del corretto agire professionale; per noi, l'osservanza dei canoni deontologici costituisce un modello di condotta per chi voglia e sappia essere, oltre che buon cittadino, anche buon operatore di polizia. L'Uomo fonda e modifica il proprio agire sui valori; ogni comportamento è quindi riconducibile ad uno o più valori che il soggetto acquisisce, amplia o corregge nell'arco della propria vita. Tutti i valori - patrimonio del soggetto, saldamente vincolati alla libertà di scelta (libero arbitrio), ed alla necessaria responsabilità che la scelta comporta, sono alla base del suo senso morale; se non c'è libertà di scelta nelle azioni, non c'è nemmeno responsabilità delle stesse; mancando ad un soggetto la libertà nelle scelte e la conseguente responsabilità delle stesse, la sua  morale risulterà “imbavagliata”. Le leggi, in ultima analisi, contengono, formalizzato al contrario, il corpo dei valori della società; il venir meno a questi valori/precetti, però comporta generalmente sanzioni. Anche in esse, però, la libertà di scelta è rispettata, ricorrendo la sanzione, peraltro conosciuta a priori, per punire la irresponsabilità dell’azione.  Del resto le leggi servono a proteggere la collettività e, per poter raggiungere lo scopo, necessitano di un deterrente.
I doveri, oggetto della deontologia, non promanano da norme giuridiche ma da un intimo convincimento (libera scelta) che pone le condizioni perché, nel proprio lavoro, l'uomo possa scegliere liberamente l'espressione migliore da offrire, nel rispetto di se stesso, degli altri e della società cui appartiene. Il punto di equilibrio si trova nella coscienza del soggetto e nel suo attaccamento ai valori del gruppo. La libertà è sempre stata sentita come concetto fondamentale nella vita individuale e collettiva; prova ne sono tutte quelle norme che ne tutelano le varie espressioni. Grazie ad essa può avvenire lo sviluppo spirituale dell'individuo che, in tal modo, arricchisce sempre di più il proprio senso morale, ponendosi nelle condizioni migliori per giudicare ed indirizzare serenamente la propria condotta. Anche da qui il concetto di deontologia che viene, pertanto, delineandosi con caratteristiche essenzialmente spirituali, esenti da costrizioni di sorta che potrebbero far perdere ad essa la sua natura di determinazione spontanea nella scelta dei comportamenti.
Il senso morale collettivo, come citato innanzi, è alla base delle leggi che una società sceglie di darsi. Le leggi promulgate sono poi, a loro volta, un freno ulteriore e, contenendo una concreta sanzione, anche più forte alle azioni dei singoli, per far sì che esse non danneggino la collettività. Ma a che pro munirsi anche di leggi, che di fatto limitano l'agire se vi è già il senso morale  che, di norma, regola ogni nostra azione?  Lo stesso filosofo inglese Bentham soleva dire: ‘la maggior felicità del maggior numero di uomini è il fondamento della morale e della legislazione’.      La morale, dunque, si fonda su valori che hanno per ogni individuo significato valenza, importanza, “prezzo” diversi, che ciascun soggetto è disposto a conferire a quella particolare qualità morale. I valori, però, non hanno per tutti lo stesso grado di valenza; oppure, per alcuni soggetti determinati aspetti del valore non sono nemmeno da considerarsi tali.
Di qui la necessità oggettiva per la comunità di darsi delle regole, tali da salvaguardare la convivenza e l’esistenza della società stessa. Se così non fosse, poiché la morale può essere diversificata per ciascun soggetto, in quanto acquisita e modificata dalle esperienze che questi ha vissuto nel corso dell'intera esistenza, potremmo vivere in una società  ove ciascuno agisce come meglio gli aggrada, in una sorta di ‘anarchia’ intesa nella peggiore accezione del termine, sulla scorta della propria malintesa libertà, mentre nel suo ‘Spirito delle leggi’ Montesquieu asseriva che :” la libertà è il diritto di fare ciò che le leggi consentono”.
          Il senso giuridico (collettivo), dato dalla conoscenza e dalla libera accettazione delle leggi di una società,  viene ad essere il "correttore", anche forzoso del senso morale (di ciascun individuo), quando esso si discosta appunto dalla morale collettiva, alla base delle leggi di quella comunità.
Del resto, fin dall'antichità, pur riconoscendo una valenza estrema alla legge morale, le istanze egoistiche della natura umana di coloro che dovevano seguirne i dettami hanno fatto sentire la necessità di interpretarla e di codificarla, proprio per salvaguardarla dai possibili travisamenti e adattamenti.
Per altro verso, per il principio di relatività, gli stessi valori ai quali in un determinato momento storico si conferisce una forte valenza, in un altro momento possono essere assolutamente poco sentiti dalla collettività e addirittura  non più condivisi dalla maggioranza o dal singolo. Si pensi, ad esempio, alla valenza che nel periodo dell'ultima guerra mondiale alcune popolazioni conferivano alla "purezza della propria razza" e come questo "valore" sia scaduto di significato nel periodo post bellico, assumendo addirittura valenze perfettamente contrarie nell'epoca della contestazione giovanile del '68. Vi sono, però, dei valori che, tendenzialmente, non subiscono oscillazioni così ampie, del tipo citato, in quanto fanno stabilmente parte del patrimonio morale di tutti i popoli; essi sono ad esempio: il rispetto per la vita umana, il rispetto per la propria e l’altrui libertà, ecc. Altri valori, acquisiti con il processo educativo dai nostri genitori, fanno già parte del nostro patrimonio morale, come ad esempio: l'onestà, la rettitudine, l'integrità morale, l'attendibilità, l'affidabilità, ecc. - Hoover, il direttore del F.B.I., nel dare il saluto di benvenuto ai nuovi allievi, era solito ricordare loro che a Quantico (sede della Scuola), non avrebbero imparato a divenire onesti, retti, attendibili ed affidabili, perché quei valori dovevano essere già posseduti dagli aspiranti, inculcati loro dai genitori fin da quando avevano un'età di 5 - 6 anni; essi, presso la Scuola, avrebbero dovuto apprendere i rudimenti del mestiere di Agente e null'altro.
Entrando a far parte di una Istituzione pubblica, si acquisiscono anche i valori che, da sempre, hanno costituito patrimonio comune degli appartenenti a questa Istituzione, anche perché i valori di un gruppo sono da considerarsi, nelle espressioni interne, come un elemento di forte coesione  e di integrazione dei singoli, in quelle esterne come una leva strategica e competitiva del gruppo nei confronti degli altri. Detti valori, per la Polizia di Stato, sono ad esempio: il senso dello Stato, lo spirito di Corpo, la disponibilità verso gli altri, lo spirito di sacrificio, il senso del dovere, la serietà, l’impegno, ecc. Tutto questo patrimonio di valori, una volta acquisiti, servirà ad indicarci il metodo migliore di approccio e di risoluzione dei vari aspetti problematici della professione e ad aumentare il prestigio e la considerazione dell'Organizzazione.
La Polizia di Stato è composta e gestita da una pluralità di persone, che la rappresentano. Vengono costantemente finanziati, dalle ditte private, costosi studi per migliorare l'immagine di un prodotto, oppure quella dell'azienda stessa. Questo perché l'immagine è il giudizio che l'opinione pubblica si fa di un'impresa, ricavandolo dagli atteggiamenti e dai comportamenti che la stessa manifesta nei confronti dell'utenza. Pertanto il prodotto o l’azienda acquisteranno maggiore o minore credito se la loro immagine sarà più o meno valida agli occhi dei consumatori. Il caso della Polizia può essere considerato come un’impresa che fornisce ‘sicurezza’; il rapporto con l’utenza sarà legato, fondamentalmente ed in prima battuta ad un’immagine: quella che l’Istituzione  sarà stata capace di trasmettere al cittadino che ad essa si rivolge perché, inutile negarlo, i giudizi che l'utenza esprimerà sull'operato e l’efficienza dell’intera organizzazione saranno legati al comportamento di un singolo operatore; tali giudizi, anche se legati ad un incontro fugace, saranno facilmente generalizzati su tutta l’Istituzione, che ne risentirà, in positivo od in negativo.
Un altro valore fondamentale è la professionalità, di qui la costante necessità di accrescere la preparazione culturale, con un aggiornamento continuo negli specifici settori. Nell’ambito della professionalità, di grande importanza è anche la cura della propria efficienza fisica. L'importanza della “forma” è una caratteristica che diventa sostanziale nel momento in cui, dal giudizio sul singolo scaturisce automaticamente quello sull'intera organizzazione. Si pensi a coloro che svolgono un turno di servizio, ad esempio, su una volante di una media città; si pensi quante persone hanno modo di incontrare (un'informazione, un intervento, un semplice saluto, ecc.) fornendo loro un esempio inappuntabile di professionalità, ispirando loro la massima sicurezza e creando in loro una nuova fiducia nella Polizia di Stato; si pensi, anche, in percentuale quante altre persone saranno informate dai media dei comportamenti tenuti. Come si può facilmente dedurre, poiché la Polizia di Stato non ha altri rappresentanti se non se stessa, la professionalità come canale di comunicazione con i concittadini presenta due aspetti, i quali concorrono alla positiva immagine dell’intera istituzione: sostanza e forma. Per “sostanza” s’intende garbo, serietà, conoscenza e rispetto delle leggi, altruismo, spirito di servizio, ecc. Per “forma” cura della persona e dell'uniforme, correttezza ed educazione nei modi, ecc. Eventuali errori nell’una e nell’altra comportano un danno all'immagine ed alla stima dell'Amministrazione con il conseguente allargarsi della distanza fra il cittadino e la Polizia, correndo il rischio di fare dei poliziotti una categoria emarginata”.
Le qualità e il senso morale degli operatori di polizia si manifestano altresì nell'attività di prevenzione ed in quella di repressione. La Polizia di Stato, normalmente, è fortemente inserita nel tessuto sociale. In pratica non esiste un'attività in cui il poliziotto  non possa essere chiamato ad intervenire od a svolgere compiti. Sono innumerevoli gli interventi od anche i semplici contatti che richiedono il relazionarsi degli appartenenti alla Polizia con rappresentanti di ogni ceto sociale e delle altre forze dell’ordine.
Sono molti “coloro che, per ignoranza o prevenzione, immaginano il Poliziotto come una specie di operatore ecologico, i cui compiti sono quelli di tenere pulite le città e le loro case dai delinquenti di ogni genere. Costoro ignorano la complessità e la durezza della vita della Polizia e  disconoscono anche la grande forza interiore che un Poliziotto deve avere per potere adempiere i propri doveri. Forza interiore che è poi la morale professionale, che deve spingere l’operatore di polizia ad agire sempre nel rispetto della legge, in funzione di essa (3). La morale professionale, in sintesi, deve essere sentita da ogni appartenente alla P. di S. quale vero e proprio codice d'onore. E’ vero che all'atto dell'assunzione in servizio,  si presta promessa e giuramento solenne, impegnandosi ad adempiere fedelmente ai propri doveri, quegli stessi che sono espressi nella morale professionale e che debbono essere sentiti da tutti gli appartenenti all'Amministrazione, il problema sta nelle difficoltà che si incontrano quotidianamente nello svolgimento della propria opera. Si pensi al contrabbando, alle forme super organizzate della violenza criminale. Quanto è alto il costo umano allorché ci si trova in simili situazioni, mantenere il senso della disciplina, la fedeltà, la diligenza, la correttezza, il disinteresse, l’incorruttibilità, l'obbedienza, la riservatezza, la lealtà.
Lo Stato, attraverso le leggi, conferisce alle forze dell'ordine una serie di facoltà grazie alle quali esse possono adempiere ai propri doveri. Dobbiamo ricordare, però, che l'esercizio violento dei poteri conferiti diviene indispensabile e vi si può ricorrere solo nel momento in cui la capacità di comunicazione, alla base del lavoro del poliziotto, non ha sortito lo scopo: mantenere la calma in ogni situazione è segno di fermezza e consente un buon dialogo con chiunque; la cortesia dimostra la volontà di instaurare un rapporto, la scortesia genera irritazione, predispone al risentimento e blocca la comunicazione. Da queste considerazioni nasce la necessità di comportarsi in modo da non suscitare reazioni che potrebbero degenerare in manifestazioni di intolleranza, fino a raggiungere gli estremi del reato.
Negli Istituti d’istruzione viene insegnato ai futuri tutori dell’ordine e della sicurezza che, quando si effettuano interventi repressivi, ci si deve limitare a pronunciare le formule di rito ed impiegare, secondo gli insegnamenti ricevuti e le esigenze, le tecniche operative e quelle di difesa personale e, solo nei casi in cui ciò è indispensabile, le armi. Occorre evitare di umiliare, o di dare lezioni di morale a coloro ai quali viene contestata una infrazione, parimenti è mortificante, anzitutto per il poliziotto, eccedere nell'uso della forza, quando non necessaria per trarre in arresto l'autore di un reato. L'alta considerazione che ciascun appartenente all’Amministrazione deve avere delle funzioni svolte dovrà far sì che ogni atteggiamento sia improntato al massimo rispetto della collettività, che ha il compito di difendere, ed alla massima considerazione delle leggi, che ha il compito di rispettare e far rispettare, comportandosi da esempio per gli altri, evitando, per citare un caso, di tenere una condotta di guida pericolosa ed esibizionista, mettendo a repentaglio la propria e l’altrui incolumità anche quando ciò non è indispensabile per adempiere ad un proprio dovere anzi, addirittura contrario ad esso (es. controllo del territorio a bordo di “volante”).
Le facoltà che lo Stato conferisce agli operatori di Polizia non debbono essere utilizzate da questi per assoggettare o maltrattare chi ne è sprovvisto, ma per proteggerlo e difenderlo; infatti le leggi servono a proteggere i diritti delle persone, per evitare che vengano sfruttati o discriminati (“sub lege, libertas”). Se l'esercizio dei poteri trova fondamento nelle stesse leggi che li conferiscono ai tutori dell'ordine, ne scaturisce autorità a chi le fa applicare; se, invece, gli interventi sono fondati su un atto arbitrario, senza il supporto della legge che ne prevede l'esecuzione, si degenera nell'autoritarismo, che è un grave attentato ai diritti dell'uomo.
Naturalmente un buon operatore di Polizia non dovrà mai invocare la propria posizione per richiedere quanto, come cittadino, non gli è dovuto, né dovrà mai trincerarsi dietro le proprie funzioni per sottrarsi alle responsabilità, anche fuori servizio. Sono da evitare, nei rapporti con il pubblico: atteggiamenti nevrotici, toni di voce alterati o adirati, atteggiamenti sprezzanti, ironici, irriguardosi, eccessiva confidenza, emissione di giudizi o espressione di pareri legali, scarsa considerazione dei problemi altrui, apatia negli interventi richiesti, ecc. In altre parole, la correttezza di comportamento del poliziotto dovrà farlo rifuggire dal credersi e comportarsi come se egli stesso fosse "il potere", nel senso peggiore del termine, quello tracotante (basti ricordare che il “potere” è buono o cattivo a seconda dell'uso che se ne fa: se è usato per proteggere e difendere chi non ha il potere esso e un “potere buono”); il comportamento è corretto quando tende ad instaurare un rapporto di fiducia, di rispetto e di stima con i cittadini, al fine di ottenere la loro collaborazione. Mai, in ogni caso, l'operatore di Polizia dovrà farsi coinvolgere con interessi personali. Il buon poliziotto, in sintesi, dovrà sempre tenere a mente che i compiti demandatigli sono innumerevoli e tutti importanti per la collettività, ciò nonostante gli interventi che compie per assolverli possono influenzare positivamente o negativamente la vita dei cittadini. Per concludere, “può essere opportuno un suggerimento, adattabile a tutti coloro che sono costretti ad agire in situazioni che richiedono interventi immediati e sicuri, ricavato dal manuale di istruzione dei guastatori della marina americana: fermarsi, respirare, pensare, agire”. Naturalmente noi lo sconsigliamo agli Italiani.
Non sappiamo quanto possa valere per un poliziotto il motto: “Un uomo è tanto più rispettabile quante più sono le cose di cui si vergogna”. In questa massima di G.B. SHAW si può evidenziare la necessità che ci deve spingere ad essere i primi censori di noi stessi; anche perché è facile, per ciascuno, giustificare i propri errori, ma solo nella misura in cui riusciamo ad imbavagliare la nostra coscienza, creandoci una sorta di "coscienza di comodo", che legittimi il nostro operato, anche se palesemente in contrasto con quelli che sono i valori nei quali siamo soliti credere. Senza voler ricorrere alle norme del D. Lgs. 737/81, concernente la disciplina, per motivare l’esigenza che la vita privata sia vissuta all’insegna della massima irreprensibilità, è sufficiente richiamare uno dei  principali valori del poliziotto: la coerenza, appunto, tra i valori, i modelli ideali e le azioni poste, di volta in volta, in essere.
Da alcuni moralisti in servizio presso l’Amministrazione, a proposito della irreprensibilità e correttezza dell’esercizio del suo lavoro, affermano che si tratta di una scelta assimilabile più ad una missione che ad un comodo lavoro in un ufficio pubblico o privato. Per chiarezza, non si vuole intendere la Polizia di Stato come “un’istituzione totale” costruita e manovrata da pochi per il proprio interesse, del tipo, per intenderci, di quelle che assorbono e fanno muovere il soggetto, snaturandolo dalla sua natura di individuo, portandolo ad assomigliare ad un fantoccio che non ha sentimenti,  non vive  per i propri ideali, non ha propri interessi, non pensa autonomamente e agisce ciecamente e solo in base agli ordini ricevuti, nel supremo interesse dell'Istituzione stessa, della quale non conosce gli scopi reali. Sempre gli stessi moralisti affermano che la Polizia di Stato non può essere paragonata ad un'istituzione totale, perché deve essere formata da persone, esseri senzienti, attenti osservatori della realtà che li circonda, integrati nel tessuto sociale, forti di valori ed ideali propri per essere dignitosi rappresentanti di un'Istituzione che si sforza, con ogni sua fibra, di essere a disposizione della collettività e di lavorare per il continuo progresso umano, sociale ed economico della Nazione.
Nonostante i non pochi problemi che i giovani devono affrontare in fatto di occupazione, i volontari sono disposti a mettere in gioco, oltre al proprio coraggio anche la personale visione delle cose, e saper accettare alcune rinunce per essere coerenti con l’immagine pubblica anche nella vita privata. Peraltro, sempre secondo l’autore del dattiloscritto sull’etica “fa onore l'aver scelto questo lavoro ed anche l'aver lottato ed essersi impegnati al massimo per ottenerlo, perché questo significa che almeno una parte della gioventù, ritenuta da alcuni scettici quasi priva di valori, di interessi, di scopi anche altruistici, incapace di generosità o di sacrifici, considerata individualista, ecc., è disposta a misurarsi per svolgere una difficile, a volte esaltante, spesso pericolosa professione. In effetti, la molla che ci spinge e ci regola nei rapporti con gli altri è il nostro ‘codice d’onore’, ricavato dalla deontologia dei comportamenti. Questo codice d’onore, comune a tutti, deve essere accettato dal momento stesso in cui si è scelto di svolgere una determinata professione.
Per dimostrare la volontà di assumere questo difficile impegno e riuscire a portarlo a termine occorre ricordare che le forze dell'ordine devono fungere da esempio positivo da seguire, per la collettività in generale e per i giovani in particolare; la correttezza nei comportamenti, sia in servizio che fuori di esso assume, quindi, un'alta valenza. La struttura della Polizia di Stato è di natura gerarchica, in quanto diverse sono le funzioni attribuite alle differenti qualifiche per il corretto funzionamento dell’Istituzione. I rapporti fra i diversi gradi gerarchici sono regolamentati e tutelati da norme disciplinari. Ma, forse, più del timore di una sanzione disciplinare, i rapporti sono regolati dal rispetto che ogni appartenente alla Polizia deve avere nei confronti dei colleghi e dei superiori (ricordare che rispettare gli altri significa porre le basi per essere rispettati).
Per la natura degli argomenti di cui si occupa e per il tipo di servizio che espleta, “l’operatore di Polizia è in costante contatto con colleghi, superiori ed inferiori, con i quali deve instaurare rapporti improntati sulla più schietta e leale collaborazione. Non è semplice vivere a strettissimo contatto, cooperare o dipendere da altri per esprimere se stessi nel proprio lavoro; comunque, rapportarsi con il subalterno, il collega o il superiore senza riserve mentali e senza prevenzioni per la sua posizione, esprimendo con la massima chiarezza e sincerità il proprio pensiero, è uno dei canoni essenziali per una schietta comprensione ed una migliore convivenza.
La forma di comunicazione che deve instaurarsi fra i componenti di uno stesso gruppo, deve essere di dialogo: il superiore ha bisogno che il collaboratore gli manifesti le proprie opinioni, mentre il collaboratore necessita di un superiore che esplichi in maniera chiara ed esplicita le sue determinazioni e le sue direttive.   “Un uomo senza amici è solo; un capo senza collaboratori è solo; e sentirà maggiormente la solitudine quando dovrà decidere, perché sarà solo davanti alle responsabilità del suo ufficio, se non sarà stato capace di crearsi una schiera di validi collaboratori.
I sentimenti dell’invidia e della gelosia nei confronti dei superiori, dei colleghi o degli inferiori non devono trovare, per quanto umanamente possibile, posto nell’animo di un poliziotto”. La carriera è aperta a tutti e, preparandosi e mantenendo un comportamento sempre corretto si può accedere, con i concorsi, a tutte le qualifiche. Pensare in positivo evita lo stress, rende più contenti e migliora il rendimento sul lavoro. I rapporti fra colleghi dovranno essere basati sulla massima stima reciproca; “è difficile, infatti, riuscire ad affidare il bene più prezioso che si possiede, la vita, nelle mani di una persona che non si stima. La vita potrà dipendere da come il collega si comporterà durante l’azione: se avrà dato la copertura giusta, se sarà intervenuto prontamente durante una colluttazione, se avrà avvertito in tempo dell’imminente pericolo, ecc. Si agirà con tranquillità e successo solo se avrà fiducia e stima del proprio collega. I valori morali si apprendono e si verificano già con l’istruzione di base che viene fornita al giovane poliziotto nelle Scuole. La formazione delle giovani leve, nel servizio di tutti i giorni, è un compito che da sempre è stato affidato agli “anziani” (si pensi alle legioni romane, nelle quali il giovane legionario diciassettenne veniva affidato alle cure di un “centurione” che, tramite i graduati della centuria ne curava l’istruzione e l’addestramento). L’anziano diventa un punto di riferimento e deve, senza remore e senza gelosie, trasmettere ai giovani la propria esperienza e la propria capacità professionale, se è vero che ha sempre creduto nei valori che animano gli appartenenti alla Polizia di Stato. Del resto è grave e diseducativo il nonnismo e l’atteggiamento degli anziani che, per rendersi indispensabili, non forniscono gli aiuti necessari ai giovani che sono stati assegnati al loro stesso settore di lavoro.
Anche nell’ambito dei rapporti tra colleghi vale il principio della privacy, vale a dire quello che ci invita a non invadere la sfera privata. In effetti, ciascuno di noi ha una sfera personale, nella quale non gradisce ingerenze o intrusioni. Per cui “è buona norma non interessarsi dei fatti privati dei colleghi, a meno che non si venga messi a parte di essi dall’interessato stesso, per un consiglio o per un aiuto.
Per altro verso, la natura prevalente del lavoro porta  spesso il poliziotto ad avere rapporti anche con altri tutori dell’ordine o con magistrati: evidentemente tali rapporti non possono che essere improntati al massimo rispetto e cooperazione; infatti lavorano per il bene della collettività e non vi è motivo logico che non possa spingere ad altro che alla collaborazione ed alla massima considerazione del lavoro che essi compiono. Vale sempre la regola del rispetto, da mostrare agli altri se si vuole averne a propria volta. Nelle indagini, soprattutto se coordinate dal P.M., si rende necessario collaborare come se si fosse un unico organismo. Ad esempio, se durante l’assolvimento del compito affidato alla polizia dal magistrato si viene a conoscenza di fatti che possono interessare la branca di indagini affidate ad altre forze di polizia, non bisognerebbe indugiare nel comunicarlo al coordinatore delle indagini stesse, per la buona riuscita dell’operazione. In altri casi, una leale concorrenza con le altre forze di Polizia non può che essere di stimolo per un migliore e più rapido raggiungimento del fine comune, in quanto sarà una spinta ulteriore che muoverà tutti ad agire al massimo delle proprie possibilità.
La concorrenza diventa, invece, un fattore altamente negativo nel raggiungimento dello scopo comune, se è utilizzata solo per apparire più efficienti o “i migliori della classe”, screditando il lavoro svolto degli altri per far risaltare il proprio. Ciò ingenera spesso, nell’opinione pubblica, critiche negative e profonda diffidenza nei confronti dei tutori dell’ordine, con conseguente perdita di immagine per tutti. Non sono certo poche le occasioni nelle quali la polizia si può trovare ad intervenire in appoggio, in ausilio o, addirittura in soccorso di altri soggetti che rivestono la qualifica di P.U.; il suo compito sarà sempre quello di far sì che l’opera iniziata riesca ad essere portata a termine nel miglior modo possibile.
Vi è un’altra categoria di persone, che lavorano a stretto contatto con la Polizia di Stato: gli impiegati dell’Amministrazione civile del Ministero dell’Interno. Questa categoria di lavoratori, affiancata nel Reparto al personale che espleta funzioni di Polizia con la legge di riforma (L.121/81), ha il compito essenziale di svolgere quelle mansioni che, nel periodo ante riforma erano delegate, per massima parte agli stessi operatori di Polizia.
Occorre tener sempre presente che essi svolgono un lavoro indispensabile per il buon andamento dell’Amministrazione, che, altrimenti, continuerebbe a gravare sugli operatori di Polizia, a netto discapito degli altri compiti istituzionali dei quali sono investiti e, soprattutto a svantaggio dell’utenza.
La Polizia svolge, innanzitutto, prevenzione e questa attività pone gli operatori in contatto continuo con i cittadini, in molteplici situazioni, diverse tra loro: scioperi, manifestazioni politiche, spettacoli, cortei, manifestazioni sportive ed anche il semplice pattugliamento urbano. In tutte queste circostanze, essi debbono svolgere i compiti che sono loro delegati dalle leggi, seguendo le direttive dei responsabili degli specifici servizi. Per far ciò correttamente, essi non possono farsi trascinare da emozioni del momento.
Nella corretta condotta del poliziotto, di grande rilievo sono i comportamenti da tenere, in genere con i cittadini, improntati sempre alla massima educazione: congiunta alla cortesia nel momento in cui l’utente si rivolge per un aiuto di qualsiasi natura (informazione, soccorso, assistenza, ecc.) o per semplice controllo; congiunta alla fermezza, in caso di intervento originato dalla commissione di un reato.
Nel parlare dei contatti con i cittadini stranieri, occorre premettere che, da sempre, l’uomo ha considerato essenziale la libertà di movimento; che per mantenere viva questa libertà ha affrontato guerre ed altre innumerevoli avversità; che è spinto a muoversi, oltre che dalla conoscenza, forse soprattutto dall’interesse di migliorare il proprio tenore di vita; che fra i popoli che maggiormente hanno sentito e seguito queste esigenze gli italiani sono ai primi posti. Per la natura varia delle relazioni che possono instaurarsi fra i popoli, l’operatore di polizia può venire frequentemente a contatto con gli stranieri, pertanto è opportuno rammentare che, a parte le innovazioni che vi sono state in materia di stranieri con il varo dell’Unione Europea, non sono ammissibili trattamenti discriminatori originati da diversità di razza, ceto sociale o religione e che, quindi, se un cittadino straniero si trova in Italia a pieno titolo, va trattato alla stessa stregua di un cittadino italiano, forse anche con qualche riguardo maggiore, essendo egli ospite del nostro paese.
Ricordiamo la radicata tradizione di ottimi rapporti con gli stranieri che vantiamo, anzitutto per eredità culturale (presso i romani ed i greci l’ospitalità era considerata sacra), poi per i continui scambi economici, (fondiamo una sostanziosa parte della nostra economia sul commercio estero) e poi perché il nostro paese ha, fra le attività che producono maggior reddito, quella del turismo. Sotto il profilo giuridico, in sintesi, la polizia cura che i cittadini stranieri siano in regola con le norme di soggiorno, abbiano le protezioni connesse alle loro eventuali particolari qualità (diplomatico, rifugiato politico, ecc., secondo l’ordinamento interno e le convenzioni internazionali), siano tutelati nei loro diritti e rispondano secondo l’ordinamento interno e le convenzioni internazionali, delle loro eventuali responsabilità.
Prescindendo dai doveri giuridici, l’operatore di polizia, nei confronti degli stranieri, deve assolvere, in fondo, allo stesso dovere morale che ha nei confronti dei suoi concittadini, quindi: avrà il dovere morale di adottare un comportamento corretto consistente, da una parte nel rappresentare degnamente un paese amante della libertà, della pace e delle buone relazioni sociali, dall’altra nel garantire la vigilanza e la difesa degli interessi dello Stato che rappresenta. Gli interventi di prevenzione e repressione dei reati sono obbligatori per gli operatori di polizia, sia in servizio che fuori di esso. Detti interventi debbono essere effettuati in maniera giusta (secondo la legge) e con gradualità (senza eccessi).
Per ottenere buoni risultati il codice comportamentale fa appello alla massima correttezza nei confronti di coloro con i quali l’operatore si appresta a trattare: buona preparazione professionale; netta separazione fra aspetto personale e aspetto sociale nel fatto per il quale si interviene; comunicazione effettuata attraverso un linguaggio parlato e gestuale adeguato alle circostanze di tempo e luogo; costante tutela dell’immagine dell’operatore di polizia, consapevole tutore dei diritti della collettività.
Un buon operatore di polizia deve essere un soggetto responsabile, professionalmente preparato ed in possesso di ottime doti di autocontrollo per poter esercitare il proprio lavoro. Il poliziotto è un tecnico nella tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, in quanto è preposto a vigilare affinché ciascuno possa esercitare i propri diritti nel rispetto delle libertà altrui. Come tale non deve assumere atteggiamenti di partecipazione agli avvenimenti a cui presenzia per motivi di servizio, non può entrare nel merito delle manifestazioni alle quali partecipa per garantirne il legale e pacifico svolgimento.
L’attività di polizia giudiziaria “è quella che meglio può far risaltare le qualità positive o negative dell’operatore di polizia, non solo per la carriera. L’attività di P.G. porterà spesso di fronte a vere e proprie tragedie umane che poco possono avere a che fare con espressioni di criminalità; sarà quello il vero banco di prova del buon poliziotto che, sapendo discernere quale comportamento tenere nelle emergenze, riuscirà ad accertare correttamente i fatti. Ricordare che mai bisogna partire da una presunzione di colpevolezza, ma arrivare a conclusioni solo dopo aver vagliato attentamente, correttamente e da più aspetti, i fatti (immaginare un puzzle le cui tessere, sparse, debbono essere ricomposte fino a costruire un immagine logica e credibile.
Le procedure  di polizia amministrativa, attinenti al rilascio di autorizzazioni e concessioni, sono quelle che più facilmente possono portare l’operatore di polizia a dimenticare che deve essere disinteressato ed obiettivo nell’eseguire gli accertamenti preventivi; inoltre non deve fornire consulenze o seguire privatamente l’iter per il rilascio delle stesse, né fornire protezioni se non quelle previste dalla legge. In altre parole l’operatore di polizia, deve considerare che alcune persone possono anche essere disposte ad affrontare piccoli o grandi sacrifici pur di ottenere, in fretta o a scapito di altri, un’autorizzazione o una licenza; pertanto il suo senso morale gli deve far compiere una giusta valutazione dei fatti rispetto alla normativa e deve riuscire a dissociarsi dagli interessi che muovono i richiedenti.
L’eccessiva pubblicità attorno ad un poliziotto spesso può essere un’insidia nella quale, soprattutto le giovani leve, non devono cadere. Basti ricordare che, all’epoca degli anni di piombo, le B.R. avevano uno schedario dei tutori dell’ordine, ricavato dai vari articoli di stampa che riportavano notizie su operazioni fatte dagli stessi ma, soprattutto, sui vari pezzi di “costume” nei quali i soggetti parlavano di se e delle proprie abitudini. Un altro inconveniente che può originare dall’eccessiva confidenza con i rappresentanti della stampa è quello di venir meno, magari anche senza volerlo, al segreto d’ufficio: basta farsi sfuggire un nome o un particolare e si rischia di rovinare un operazione che ha comportato mesi e mesi di lavoro e di indagini. A volte si ingenera un perverso meccanismo nel quale il poliziotto è dipendente dal giornalista per “il pezzo sulla stampa” ed il giornalista, forte di questo potere che ha acquisito nei confronti del poliziotto, riesce a farsi dire anche cose che, normalmente, non gli verrebbero nemmeno accennate.
Un’altra regola è quella di non fornire mai le fotografie degli arrestati o dei fermati e, in caso di minori, si dovrà fornire solo le iniziali dei soggetti attivi o passivi del reato; infine, in caso di persone decedute, accertarsi prima che le famiglie ed il magistrato siano stati avvertiti del decesso, onde evitare che la notizia la apprendano dai giornali.
A titolo di vademecum si riportano, di seguito, quelli che risultano essere i principi fondamentali della deontologia, così come desunti da diversi documenti da noi esaminati:
1)- acquisire una preparazione professionale valida, con lo studio e con l’esperienza.
2)- impiegare la propria preparazione per fini consentiti ed istituzionali.
3)- lavorare con rettitudine ed integrità morale.
4)- rispetto della dignità del proprio lavoro e delle responsabilità connesse.
5)- rispetto del proprio decoro in ogni manifestazione e nei comportamenti.
6)- rispetto dei doveri e degli impegni di lealtà.
7)- impegno, accuratezza ed attenzione nell’esplicare la propria attività.
8)- rispetto delle norme e dei principi morali e sociali della comunità.
9)- svolgere il proprio lavoro al di fuori di ogni interesse personale.
10)- comportarsi secondo quanto viene ordinato, prescritto o suggerito dalle norme professionali.
11)- essere discreti e cauti parlando di sé o degli altri o nell’esprimere giudizi.
12)- essere solidali con i colleghi.
13)- rispetto di tutte le norme, anche non scritte, che vincolano alla sincerità, all’onore ed alla dignità.
14)- coerenza nelle azioni per meritare stima, rispettabilità e considerazione.
15)- curare l’aspetto perché esso è un vero e proprio biglietto da visita.
16)- operare in modo che, intorno a se stessi ed alla polizia, si formi un’opinione favorevole ed una considerazione positiva.
In fondo i comportamenti dell’operatore di polizia vengono ad arricchirsi e a modificarsi con l’esperienza, man mano che procede nella sua carriera; è necessario però avere i presupposti per poter individuare e riconoscere e far proprio un comportamento deontologico, se ci si trova ad osservarne uno.
La sicurezza sociale è avvertita dalla popolazione quale bisogno prioritario maggiore rispetto al passato. Il senso di insicurezza, da sempre determinato da variabili oggettive, quali il disagio e il degrado sociale e soggettive, quali la paura di restare vittime, viene amplificato oggi da una diffusa sensazione di inadeguatezza e di insufficienza della risposta delle Istituzioni malgrado le statistiche indichino una diminuzione di certi reati. Questo avviene in quanto il senso di sicurezza o insicurezza è costituito da un sentimento, una sensazione. Tale sentimento dei cittadini è strettamente legato al sentire o meno lo Stato vicino.
Il sistema formativo della Polizia di Stato ha ritenuto necessario dotarsi di un sistema di valori esplicito, comune e fortemente condiviso, da proporre e praticare a tutti i livelli dell'organizzazione. In questo processo di cambiamento per una nuova cultura della Polizia, la formazione ha ampie responsabilità di gestione.
La scuola, infatti, rappresenta il primo laboratorio di comportamenti organizzativi che possono determinare il successo della Polizia di Stato.
E' partendo di qui che le nuove leve, attraverso gli esempi, l'agire complessivo dei loro operatori, individuano l'insieme coerente dei valori organizzativi formalizzandoli e imparando a condividerli. E' qui che essi fanno propri i principi guida che ogni giorno scoprono essere di successo nell'affrontare i vari problemi di adattamento e d’integrazione in tema.
Gestire il processo di cambiamento non è semplice. La Direzione Centrale per gli Istituti di Istruzione ha attivato e sviluppato precise strategie, quali, ad esempio:
L'esatta individuazione, nella situazione di partenza, dei valori praticati, espressi; dei valori di successo e quelli di insuccesso;
L'esplicitazione chiara degli obiettivi di cambiamento con la scelta delle priorità;
la premiazione dei comportamenti coerenti, tenendo presente che i valori in un'organizzazione sono determinanti non solo per il contenuto, ma anche per la loro intensità e per la ampiezza del campo di applicazione;
la massima visibilità all'impegno dei capi sui valori proposti;
infine l'intelligente utilizzazione della comunicazione, intesa come capacità di trasmettere ai propri collaboratori, parole, pensieri, emozioni, per una mobilitazione generale verso gli obiettivi prefissati.
Per la realizzazione del percorso programmato, la formazione ha promosso un ampio coinvolgimento dei settori operativi.
In quest'ottica si è tenuto a Milano, dal 3 al 5 dicembre 1997, un Seminario sulla formazione ai valori nelle Scuole della Polizia di Stato che ha visto la partecipazione di alti Dirigenti della Formazione e dell'operatività e si è concluso con la stesura di un documento programmatico contenente la "Mappa dei Valori" del Poliziotto.
Sono stati individuati cinque valori organizzativi chiave: il senso dello Stato, il senso di appartenenza al Corpo di Polizia, la professionalità, il rispetto e la promozione dell'immagine di Polizia, il servizio al cittadino.
Accanto ai valori chiave e in sinergia con essi, si collocano altri valori, identifìcabili come "principi guida" dei comportamenti quotidiani quali la valorizzazione delle risorse umane, il senso del dovere della disciplina, la positività e progettualità, la tenacia nel perseguimento di obiettivi/risultati, l'assunzione di responsabilità, la consapevolezza del ruolo, l'apertura al mondo esterno, il lavoro di squadra e le disponibilità al cambiamento.
Per tradurre in comportamenti i valori individuati si è reso necessario investire mezzi e risorse nella formazione. Soprattutto si sta creando un gruppo di formatori capaci di gestire il cambiamento.
Dal 2001 i Direttivi e Dirigenti della Polizia di Stato, impegnati direttamente o indirettamente nella formazione, frequentano un Master sulla formazione presso la Facoltà di Pedagogia dell'Università Cà Foscari di Venezia.
Quest'impegno nella formazione dei formatori, ha permesso alle Scuole di Polizia di crescere e trovare omogeneità sul piano metodologico.
Uno sforzo corale è stato intrapreso per migliorare e adattare i programmi della formazione di base per allievi Agenti e Sottufficiali. Sono stati disegnati nuovi percorsi formativi, aumentando considerevolmente i tempi dedicati all'apprendimento, che consentiranno anche una trasmissione più efficace e radicata dei valori deontologici. Per esempio si è passati per la formazione degli Allievi Agenti dai sei mesi ai dieci mesi di corso.
Il punto saliente nel processo di rinnovamento dei nuovi programmi sta nel desiderio di superare la dicotomia tra pratica e teoria.
La matrice, la struttura dei saperi fondamentali del poliziotto è stata analizzata dal punto di vista delle competenze strutturali necessario per padroneggiare i fondamenti della professione.
Accanto a questa competenza generale, l'operatore di Polizia deve essere portatore di etica e deontologia professionale, base su cui si innesca il senso di appartenenza.
Con tale obbiettivo comune Formazione e Operatività stanno lavorando insieme. La collaborazione nella gestione del cambiamento culturale implica l'integrazione di due fattori: la condivisione forte dei valori (aspetto etico ) e l'esistenza di reali attività in cui i diversi apporti si integrano (aspetti tecnico/ comunicativo).
Una grande Istituzione quale la Polizia di Stato ha bisogno di personale, a qualunque livello della scala gerarchica che sappia stimolare il cambiamento culturale, allo scopo di far vivere all'organizzazione quel dinamismo che si chiama miglioramento continuo e continuo adattamento a una realtà mutevole. Tuttavia bisogna tener presente che lo spirito innovativo non è sufficiente a produrre cambiamenti, occorre quella forza persuasiva che si chiama comunicazione. Comunicare e coinvolgere è soprattutto una capacità che permette di veicolare attraverso il comportamento di ciascun operatore di Polizia, un'immagine morale, formale, professionale e sostanziale dell'intera Istituzione. Per tali motivi, una nuova e più ampia attenzione si è dedicata alla comunicazione sia nella formazione di base che nell'aggiornamento professionale.
La formazione comunicativa ha lo scopo di migliorare professionalmente e umanamente il poliziotto, facendogli acquisire nuove capacità che lo rendano più efficace nei rapporti interpersonali, sia interni che esterni all'Amministrazione. Si mette loro a disposizione una serie di consigli e tecniche semplici, quanto meno nella comprensione, per potenziare le proprie capacità comunicative.
Una corretta comunicazione nei rapporti interni con i superiori, tra dirigenti e collaboratori, con i colleghi genera sintonia nel condividere obbiettivi comuni. Nei rapporti esterni il processo di comunicazione è un processo di collaborazione, di promozione di immagine.
Quando il giovane operatore di Polizia entra nel mondo operativo si trova nella necessità di doversi rapportare con diversi soggetti esterni pubblici e privati (magistrati, avvocati, giornalisti, indagati, testimoni, vittime). Si insegna loro che il primo passo per comunicare efficacemente è quello di conoscere il profilo dei propri interlocutori, allo scopo di entrare in sintonia con loro.
E' importante esprimere maturità civica e professionale, attraverso comportamenti ispirati a "integrità e rigore" e cura della persona, dell' aspetto esteriore. C'è un detto in Italia che dice:l'abito non fa il monaco ma il cardinale” segno che la saggezza popolare ha intuito ciò che poi è stato oggetto di numerosi studi.
La cura della divisa e dell'aspetto esteriore serve a favorire una buona impressione nell' interlocutore e in generale a trasmettere fiducia verso l'Istituzione. Un'attenzione costante a mantenere relazioni corrette è presupposto fondamentale per garantire la diffusione di un'immagine di Polizia positiva e autorevole. Sentirsi amati e rispettati fa nascere all'interno di un'organizzazione l'orgoglio di appartenenza. Dunque una buona comunicazione verbale e comportamentale potrà contribuire in maniera determinante al successo della nuova cultura della Polizia di Stato.
Concludendo, la formazione in Italia si pone come traguardo l’uomo poliziotto, con le sue passioni, le sue ansie, le sue aspirazioni, la sua deontologia professionale. Un uomo che si sente realizzato e motivato perché è portatore di una cultura di servizio per e verso la gente, un uomo che conosce a fondo i propri doveri e i propri diritti e che vede nella preparazione professionale lo strumento di sicurezza giuridica e fisica per il proprio lavoro quotidiano. Le parole del Prefetto Parisi, sono in un certo senso riassuntive di quanto è stato detto fino ad ora: “Sono parametri basilari di un poliziotto il suo agire serio, corretto, garbato, rispettoso delle leggi, animato da profondi valori di altruismo e di servizio verso la collettività, ogni qual volta è chiamato a svolgere la propria attività nella legge e per la legge”.
NOTE AL QUARTO CAPITOLO

Per l’elaborazione di questo capitolo abbiamo attinto informazioni, valori, “clima psicologico”, tensione morale e civile da alcuni dattiloscritti, utilizzati per la didattica educativa e formativa degli operatori di polizia. Gli Autori, come dichiarano, si richiamano fondamentalmente ai seguenti volumi: Luzzi Arnaldo, Nuovo Ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza-La Polizia di Stato, Roma, Laurus Robuffo, 1983, volume 1°, parte generale; Viola Natale, Deontologia professionale nell’attività di Polizia, Roma, Laurus Robuffo, 1991; Viola Natale, Riflessioni, consigli e suggerimenti sull’azione dirigenziale, Nettuno, Istituto per Sovrintendenti e di perfezionamento per Ispettori, 1988;  La formazione ai valori nelle Scuole della Polizia di Stato, ISVOR-FIAT, 1998 (seminario del dicembre 1998 tenutosi a Milano e ricavato dal materiale prodotto dai direttori delle Scuole di Polizia).









 

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