Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione
Anno Accademico 2007-2008
Tesi di Sociologia della Cultura
|
PROSPETTIVE CONTEMPORANEE
IN SOCIOLOGIA DELLA
SALUTE
|
Mutazioni
sociali della salute nella prospettiva socio-biologica
La
sociologia nasce in un contesto dinamico e relazionale, quello dell’evoluzione
umana: «l’histoire de la civilisation n’est autre chose que la suite et le
complément indispensable de l’histoire naturelle de l’homme». Auguste Comte
assume il punto di vista dell’evoluzione e sembra così vivere l’ansia della
conoscenza, l’ansia della modernità compresa di una umanità oggettiva che
diventa soggetto totale e, in quanto tale, «autorilevazione nella natura, nella
sua natura» (Comte).
La
«scienza del positivismo è una scienza di relazione fra fenomeni. C’è allora la
necessità fra i fenomeni; la necessità non è che un’altra espressione per dire
ordine. L’ordine definito nella natura è un ordine definito ovunque perché
tutto è natura» (Toscano).
L’evoluzione
biologica, e quindi anche umana, e disseminata di eventi contingenti, unici e
irriproducibili e non sembra avere molto senso configurare un piano, ex ante
facto, un disegno, dove, probabilmente non ce ne sono mai stati.
Sostenere
l’aumento della complessità nell’evoluzione potrebbe non essere del tutto vero,
anche per quanto riguarda gli agenti patogeni. Una singola cellula è già molto
complessa e non è affatto evidente, né obiettivamente difendibile, che i
micro-organismi siano meno complicati di specie che sono comparse successivamente.
L’evoluzione
ha attraversato ed attraversa tutta la storia delle scienze sociali, da Comte,
Durkheim e Spencer a Parsons, Hayek, Popper o Eisenstadt, solo per citare
alcuni Autori significativi. In tale prospettiva, il complesso sistema teorico
legato all’evoluzionismo ha uno spazio significativo e fondante nella storia
della sociologia, anche con riferimento al parallelismo fra evoluzione e
funzionalità. Tuttavia l’elemento comune all’interno dei diversi apparati
teorici sembra essere il senso della storia, una storia non più intesa come una
serie unica di eventi particolari bensì come un vero percorso evolutivo.
Esiste
fra la società umana e quella naturale una somiglianza frappante che ha sempre
sedotto il pensiero sociologico a partire dall’aneddoto (apologo delle membra)
di Menenio Agrippa.
L’Homo
sapiens, quello che meglio di altri sembra gestire la conoscenza deriva infatti
dall’Homo abilis, colui che sapeva
usare le mani (De Duve).
Gli
studi demografici di Livi, di Gini, di Boccardo e di Tarde dimostrano che
l’organismo, un sistema in equilibrio, ha la proprietà di mantenere un
equilibrio e di ristabilirlo in caso di rottura. In tale prospettiva la nozione
di equilibro biologico sembra corrispondere quello di qualità della vita. In
tale direzione e soprattutto negli ultimi anni la nozione di qualità della vita
sembra essere un tema Costante, di grande interesse anche nell’ottica dei
principi della prevenzione; spesso i sostenitori della cosiddetta bioetica
della qualità della vita hanno offerto una serie di indici e di algoritmi
nell’obietto di definire proprio tale valore.
Nel
definire la qualità della vita si fa riferimento agli stati mentali piacevoli o
dolorosi dell’individuo in relazione alle sue condizioni sociali e
psicofisiche, per cui si ritiene che promuovere una buona qualità di vita
consista nel produrre condizioni di vita gratificanti, nel rimuovere condizioni
dolorose e nel tentare di controllare i rischi.
A
livello sociale, ad esempio, una politica sanitaria di allocazione delle risorse
sarà ritenuta più o meno adeguata a promuovere la qualità di vita a seconda
degli effetti prodotti e delle situazioni spiacevoli rimosse.
Questo
approccio, per così dire bio-relazionale, non vuole riproporre, in una forma
diversa il biologismo, ovvero un modello scientifico che tenta di ricondurre i
comportamenti mani e le condizioni della salute alle variabili strettamente
biologiche. Occorre proprio ripartire dal considerare l’aspetto biologico sia
una parte de1l’interpretazione della vita poiché l’umano è una «combinazione
particolare interattiva e interpretativa di cui quella distintiva è la cultura
in quanto riferita ad una coscienza non puramente cognitiva ma anche
valutativa» (Donati).
Il
problema non sembra quello dell’insistenza sulla dimensione soggettiva della
qualità della vita, sulla salute, che, quando estremizzata, può introdurre un
tale carattere di relatività che, alla fine, ne è impedita una qualsiasi
valutazione oggettiva, ma, semmai, considerare il biologico come fatto che ha
varie e complessi livelli di compenetrazione dei diversi livelli della realtà.
Il
complesso rapporto fra biologia, società e cultura, che ancora condiziona la
costruzione del sapere anche biomedico, è tipico della civiltà occidentale:
altre culture, non occidentali, non vedono alcuna antitesi fra il dato naturale
e quello culturale, anzi si sottolinea la costante dialettica fra i due
elementi. Soggetti diversi in condizioni diverse, infatti, possono benissimo
dare valutazioni diverse di che cosa sia una vita di buona qualità e questa
variabilità, se si compone solo con criteri di oggettività, sfocia nella più
assoluta indeterminazione, contro la pretesa di fondare la valutazione del
valore della vita su basi razionali e a partire da criteri verificabili e costanti.
Paul Ricoeur nel suo studio sull’opera di Canguilhem, La différence entre le normale et le pathologique comme source de
respect, osserva che, a livello biologico, il patologico può essere
compreso in due modi: negativamente, come una mancanza rispetto ad una
condizione cosiddetta oppure come una diversa interpretazione, una
organizzazione “altra”, che ha le sue leggi, come una struttura “altra” in
rapporto al vivente ed al suo stato.
Tuttavia la salute, la qualità della vita in
relazione alle condizioni presenti nella società sembra essere una nozione
soprattutto culturale, «un concetto che non è né oggettivo né soggettivo, bensì
socialmente condizionato» (Cipolla), spesso implicita e non tematizzata a
sufficienza e soprattutto fenomeno originale.
In
tale direzione, promuovere la qualità della vita significa rispondere in modo
utilitaristico alle attese o realizzare condizioni di esistenza piacevoli ed è
quindi necessario che la collettività sia in grado di apprezzare i risultati,
avere attese, serbare memoria, percepire interessi.
Se
come osservato precedentemente il sistema medicale è una «parte di un sistema
di azione più ampio, quello che opera per la salute all’interno della società»
(Donati), allora anche la parte scientifica della medicina, la biologia, ha il
compito, nella ricerca, di valutare tutti rischi connessi, rischi compresi in
un sistema autopoietico: se per malattia, come possibile danno al valore della
vita, si intende il configurarsi, a diversi livelli dell’organizzazione dei
sistemi fisiologici dell’individuo di modalità anomale di funzionamento
disadattative rispetto all’ambiente allora i confini fra salute e malattia, in
regime di assoluto rigore e nella prospettiva della medicina funzionalista,
sembrano realmente meno definiti oggi di quanto lo fossero nei secoli passati.
Allora,
anche il rincorrere la logica del rincorrere semper et ubique la malattia può
non essere un vantaggio poiché l’evoluzione, in biologia, può necessitare di
una valutazione anche soggettiva. Può essere quindi utile volgere uno sguardo
sull’evoluzione del concetto di organismo ed i funzione organica in relazione
alle trasformazioni dei modelli interpretativi che si sono succeduti nel corso
della stria della biologia e della bio-medicina, e che riguardano le interazioni
tra i costituenti dell’organismo individuale.
Nel
tentativo di definire i percorsi che portano alla malattia il contributo della
biologia resta fondamentale, non solo perché si costituisce come un mito, una
delle possibili rappresentazioni del mondo, ma soprattutto perché si collega
all’aspetto più significativo dell’esistenza: il corpo. Considerare la qualità
della vita, nella sua dimensione fra salute e malattia, come il risultato di un
processo evolutivo, significa utilizzare anche la prospettiva sociobiologia, in
cui i concetti di adattamento all’ambiente, di vantaggio riproduttivo sono
fondamentali.
Tuttavia, come ha osservato Grmek, «l’uso dei
concetti di evoluzione è certamente arbitrario, dipendente più dalla nostra
interpretazione degli eventi storici che dalla loro natura intrinseca…
l’etimologia ci aiuta a cogliere i problemi sottostanti. Evoluzione implica l’evolversi di una cosa preesistente e deriva
dalla pratica di srotolare un rotolo,un manoscritto ravvolto, di forma
cilindrica: dunque l’evoluzione vuoi dire inizialmente ritorno. Il termine
evoluzione ha assunto solo alla fine dell’Ottocento il senso attuale dello
sviluppo graduale di caratteristiche nuove, non esistenti prima».
Questa
osservazione sembra necessaria proprio per introdurre, nell’interpretazione
della salute e della malattia, il cambiamento delle conoscenze, la
rivoluzionari,data dalla conoscenza scientifica, che accompagna la comprensione
del cambiamento: «nel campo scientifico, esattamente come nella politica, le
cosiddette rivoluzioni cambiano le parvenze e la loro importanza è solo quella
di are una espressione visiva a un processo più profondo di evoluzione
sottostante.
Le
teorie evoluzioniste sembrano così conquistare progressivamente il concetto di
integrazione funzionale come il risultato dinamiche selettive considerando
anche che lo studio del cosiddetto sistema immune può aiutare a comprendere
l’evoluzione delle specie e lo sviluppo del loro sistema immunitario.
L’
assunto teorico degli evoluzionisti sembra essere quello che considera la
storia come un patrimonio culturale in grado di rivelare una certa direzionalità di senso in determinati
percorsi in parti diverse del globo con l’obiettivo di fornire un sistema di
spiegazione delle azioni e dei percorsi osservati (Wilson).
Ed è
proprio la parola percorso che configura la natura dell’evoluzione; quando la
vita è apparsa sulla terra, circa tre miliardi e mezzo di anni fa, era mobile,
passava da un organismo ad un altro.
Anche
in tale prospettiva, le scienze sociali, ed in particolare la sociologia,
hanno, da tempo, sviluppato una relazione dualistica con le teorie
evoluzioniste della società, alternando periodi di grande avvicinamento ad
improvvisi e repentini allontanamenti; è a partire dalla seconda metà del XIX secolo
si è avuto un grande interesse per la natura evoluzionista. Auguste Comte in
Francia, John Stuart-Mill e Herbert Spencer in Inghilterra, Jakob Moleschott ed
Ernst Haeckel in Germania, Roberto Ardigò, Augusto Murri e Cesare Lombroso,
soltanto per citare qualche esempio di studiosi che hanno come paradigma
l’evoluzione dell’universo, l’instabilità della omogeneità sembra essere la
certezza che l’unica vera conoscenza è quella scientifica poiché tutta la
realtà è natura. Spencer, ad esempio, insiste «sull’importanza delle doti
naturali nel prevalere sugli altri oppure semplicemente nel sopravvivere
rispetto alle difficoltà poste dall’ambiente» (Battisti). In tale direzione è
opportuno inoltre ricordare il fondamentale lavoro di Emile Durkheim.
Le prime, essenziali, intuizioni del Nostro sono
rintracciabili in De la division du
travail social del 1893 in cui scrive che «l’individualisme, la libre pensée
ne date ni de nos jours, ni de 1789, ni de là reforme, ni de la scolastique, ni
de la chute du polythéisme gréco-romain ou des théocraties orientales. C’est un
phénomène qui commence nulle part, mais qui se développe, sans s’arrêter tout
au long de l’histoire ».
Il
metodo delle scienze naturali vale anche per lo studio della società. Per
questo la sociologia come scienza di quei fatti naturali che sono i rapporti
umani e sociali nasce dentro il movimento del pensiero positivista nel quale la
scienza viene esaltata come unico contesto di risoluzione dei problemi umani e
sociali, i più antichi. La nozione di individualismo deve quindi essere
separata da quella di atomismo. Non si tratta di considerare la società come
composta da una somma di attori sociale ma che all’interno di una società si
possa o non si possa apprezzare una determinata situazione o configurazione.
Per Durkheim l‘individualismo ne commende
nulle part perché una società non è proposta o imposta solamente ma
considerata legittima o illegittima, buona o cattiva, in salute o malata,
secondo l’opinione generale proprio a partire dal fatto che l’individualismo
non e un dato di condizionamento originario a priori occorre ripercorrere
l’interpretazione della storia recente proprio a partire dai percorsi
dell’evoluzione. I cambiamenti profondi che si sono manifestati all’interno
della società sono le conseguenze mediate ed immediate delle scoperte
scientifiche soprattutto della fisica e della chimica.
Mai
nella storia dell’umanità si era avuto una tale accelerazione nell’accumulazione
della conoscenza accompagnato da grandi movimenti geo-politici. Le continue
rivoluzioni geo-politiche che hanno contraddistinto il Ventesimo Secolo
sembrano segnare la scomposta linea della frattura fra modernità e
post-modernità o, in un’altra prospettiva, fra mondo moderno e mondo
contemporaneo in cui il processo di costruzione sociale è di tipo
partecipativo.
Il
recente percorso sembra rappresentare una
accelerazione nello stock di conoscenze proprio nella direzione della biologia,
con particolare riferimento alla biologia molecolare, quella scienza che studia
gli esseri viventi a partire dai meccanismi molecolari alla base della loro
fisiologia (Frati), con attenzione alle interazioni fra le macromolecole,
ovvero le proteine, e gli acidi nucleici DNA e RNA. Questa rivoluzione sembra
permettere una ulteriore osservazione sul come si tenti di definire i confini,
i criteri e le relazioni, nella individuazione dello status evolutivo, della
condizione dell’individuo.
Nonostante
la disponibilità di nuovi punti di osservazione, l’attore sociale del XXI
secolo non sembra avere ancora sviluppato un linguaggio in grado di esprimere
la nuova frontiera dell’evoluzione poiché ancora prigioniero delle logiche
cartesiane riassunte nella celebre frase «cogito ergo sum».
Il
presente è un equilibrio fra il passato e un complesso sistema di avvenire
possibili, fra una situazione definita de facto, ed una in continua
ri-definizione in cui le informazioni immateriali sembrano attraversare la
materia ed interferire in tempi diversi fra l’osservatore e l’oggetto
osservato, in cui si rischia di sostituire al continuum una summa di conoscenze
non più critiche.
Ciò
che interessa al sociologo sembra essere proprio la definizione dei criteri di
scelta per considerare più legittima, e quindi più condivisibile, una
determinata interpretazione del rapporto fra salute e malattia, un rapporto in
continua ri-definizione, anche in tali prospettive I La sociologia si pone come
una scienza in grado di fornire dei modelli di comportamento sociale, che
possono rendere effettivo il riconoscimento dei problemi presenti a tutti i
livelli con l’obiettivo di suggerire strategie interpretative possibili.
Una
azione di questo tipo è sostanzialmente interdisciplinare ponendo su pIani
complementari e collaborativi i saperi della ricerca delle scienze biologiche
con quelli sociologici. È, in altri termini, la definizione e la
interconnessione dei campi per le azioni di ogni attore sociale, per le scelte
che si intende operare rispetto alle definizioni di chi e l’attore sociale oggi
e di come si rapporta all’altro Si tratta di un gioco costante di relazione che
può essere perdurante nel tempo, ma può anche mutare, se mutano le condizioni
di relazione e di esperienza con le posizioni relative degli altri.
La
sociologia ha compreso, prima fra le scienze, il fatto che l’attore
sociale è in grado di rappresentare i
contenuti dell’immagine del mondo a prescindere dalla sua reale esistenza, in
altri termini, dalla sua natura.
Alle
nuove frontiere degli studi biologici, gli studi sociologici più recenti hanno
mostrato che la valutazione degli oggetti e dei fatti, è una parte del mondo
naturale. In particolar modo e grazie all’approccio della sociobiologia, un
tentativo di spiegare in termini biologici aspetti del comportamento umano,
tradizionalmente oggetto di studio delle scienze umane, che si tenta di
ridefinire l’evoluzione della specie ed il suo essere.
L’attore
sociale, nella sua dimensione sociale, culturale e biologica, presenta il
problema di ristabilire ciò che in questa dissociazione è assente, la relazione
individuo, società, specie come permanente e simultanea (Morin). L’approccio
tipico della sociobiologia impiega la teoria evolutiva per interpretare il
comportamento sociale animale ed umano tentando una sintesi piuttosto ampia
comprendente un vasto insieme di fenomeni (Barash). In tale direzione non
sembra esservi dubbio sul fatto che il problema fondamentale sta nel rapporto
fra il sistema sociale e la natura, come evento biologico e, in questa
relazione fra natura, evoluzione e società.
Se
fino a pochi decenni fa esisteva, e forse esiste ancora, una relazione fra
natura e società, fra evoluzione sociale ed evoluzione umana, con la società
post-moderna le cose si sono distanziate e, in qualche modo, anche compenetrate.
Questa relazione, così complessa, che necessita di scienze diverse per essere
osservata compiutamente è chiaramente concettualizzata soltanto da tre secoli.
Quello che si vuole sottolineare è la mancanza di linearità e di prevedibilità
del processo evolutivo.
Che
un individuo venisse al mondo secondo i metodi della riproduzione sessuata
naturale, avesse un corpo e una mente soggetti a malattie e invecchiamento,
soffrisse, godesse e morisse assieme ai suoi organi, appariva un dato di fatto
inoppugnabile; come anche che l’evoluzione fosse un percorso fra ambiente
naturale ed ambiente sociale. Invece sembra necessario ri-formulare molti
parametri con i quali l’attore sociale ha cercato di identificare l’altro ed
identificare se stesso.
Per
questo è necessario riflettere sul tema vita, e non solo in termini biologici. Morin,
già nel 1974, suggeriva di inserire la relazione fra individuo e società in un
rapporto temano specie, individuo e società, un rapporto cultura, ambiente e
società.
Una
riflessione sociologica sul concetto di vita e della sua evoluzione non è
necessariamente terreno scientifico dell’epistemologia e della biologia ma
costituisce il tentativo di definire i contorni sul tema della vita a partire
dalla grande quantità di informazioni disponibili e dei metodi per analizzare
tali dati: «un termine che si incontra spesso nelle scienze sociali per
designare la storia naturale è ermeneutica. Nell’uso originale e circoscritto
questa espressione derivata dal greco Hermeneutikòs
(capace di interpretare) designa l’analisi e l’inter-pretazione dei testi,
specialmente del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nel campo delle scienze
sociali e umanistiche è stata allargata fino a comprendere l’esplorazione
sistematica dei rapporti sociali e della cultura, in cui ogni soggetto viene
esaminato da studiosi che esprimono punti di vista e culture diverse» (Wilson).
La
comprensione della vita, anche alla luce della sociobiologia, è possibile anche
relazione al fatto che “solo l’uomo ha coscienza della propria morte. Questa
coscienza è legata alla facoltà immaginativa, che ci permette di proiettarci”
(Ruffiè). Una sociobiologia post-moderna dovrebbe poter comprendere e registra
i cambiamenti, come modificazioni storiche, come conseguenze della
post-modernità.
Non
si tratta solo, come osservato da Zygmunt Bauman, della perdita della forma solida della modernità e della sua
trasformazione in modernità liquida,
ma è soprattutto della incapacità di ordinare e governare la situazione e di
indirizzarne i processi. Per Bauman due sono i caratteri che hanno segnato più
di altri lo spirito moderno: «l’impulso a
trascendere e andare oltre i limiti — cioè, l’impulso a trasformare le realtà
oggettive — e l’impegno costante a perfezionare le capacità/possibilità di
azione — cioè le capacità/possibilità di modificare le situazioni». Ciò
significa che nel cuore della modernità è iscritta la vocazione a manipolare e
trasformare l’oggettività del mondo al fine di superare, in uno sforzo di
liberazione permanente, gli ostacoli che esso ci pone L’unico limite alle
capacita trasformative potrà essere solo quello di fatto, quello dettato dalla
attuale disponibilità di mezzi per metterle in atto.
Il
problema, anche nelle fratture della post-modernità, sembra essere quello della
conoscenza; quando aumenta la conoscenza, l’oscurità intellettuale che circonda
l’attore sociale viene illuminata, e si può meglio osservare ed apprendere dal
mondo naturale. Oggi le nuove conoscenze sembrano portare sia riavvicinamenti
inattesi sia nuove distinzioni, destabilizzando le categorie meglio fondate
nella ricerca, fra le scienze, delle possibili e diverse linee di connessione.
Sembra necessario un impegno teso a chiarire, grazie al fondamentale contributo
della sociologia, la spiegazione scientifica dei fenomeni biologici, fenomeni
di carattere estremamente complesso e vario ed è proprio tale caratteristica
che contrasta con l’esigenza primaria di ogni osservazione scientifica, ovvero
la presenza in un campo di studio costituito essenzialmente dalla diversità e
dalla varietà e che quindi si configura non generalizzabile a priori. Come ha
osservato Grmek: «nel nostro modo di concepire un fenomeno, soprattutto un
fenomeno legato alla vita, esistono sempre delle dualità essenziale tutto o
parte, oppure stato o processo o funzione, causa o scopo.
Il
processo può essere considerato come una continuità o come una sere di
discontinuità fondamentali: evoluzione o rivoluzione, continuità materiale o
continuità informatica. Questa dialettica parte-tutto non vale solo per un
organismo, ma anche per il rapporto fra individuo ed ambiente.
Fino
ad una quindicina di anni fa la maggioranza delle persone, e tra queste la
maggioranza degli operatori, tendeva ancora a considerare la qualità dei servizi
sanitari come una loro componente implicita e non ben definibile,
prevalentemente focalizzata sugli aspetti tecnici.
La
soddisfazione dei cittadini o, più genericamente, le loro valutazioni sulla
qualità dei servizi erano ritenute marginali. Tuttavia la situazione è andata
rapidamente modificandosi, prima con la progressiva presa di coscienza delle
diverse componenti della «qualità» (tecnica, organizzativa, relazionale), poi
con la richiesta sempre più pressante di superare la tradizionale autoreferenzialità
del personale e delle strutture per raggiungere modalità oggettive di
definizione, misurazione e valutazione dei livelli qualitativi dei servizi
forniti.
Lo
sviluppo di questi principi, unito all’aumentata coscienza dei propri diritti
da parte dei cittadini, ha portato a sempre maggiori richieste di trasparenza
di tutela dei diritti. La capacità di garantire predefiniti livelli qualitativi
è diventata quindi una esigenza crescente, sia in una logica strettamente
contrattuale (garanzia della qualità del servizio fornito), sia in una logica
più generale quale quella di un sistema sanitario pubblico a cui è richiesto di
garantire ai cittadini prestazioni/servizi, noi solo in termini quantitativi ma
anche qualitativi.
La
normativa è intervenuta in questo settore con di versi atti, tra i quali
meritano di essere ricordati i seguenti: decreto legislativo 502/1992, che
riordinava la disciplina in materia sanitaria, e il decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri del 27 gennaio 1994 sui principi a cui deve uniformarsi
progressivamente l’erogazione dei servizi pubblici, anche se svolti in regime
di concessione o mediante convenzione.
In
base al decreto del presidente del consiglio de ministri del 27 gennaio 1994
tutte le aziende sanitarie accreditate, pubbliche o private, devono garantire
il rispetto e la promozione di alcuni principi fondamentali:
Eguaglianza:
erogazione dei servizi con regole uguali per tutti, indipendentemente da sesso,
età, razza, lingua, religione, opinioni politiche;
Imparzialità:
erogazione obiettiva, non condizionata da pregiudizi, o da valutazioni
improprie;
Continuità:
l’erogazione, nell’ambito delle modalità stabilite dalla normativa di settore,
deve essere continua, regolare e senza interruzioni;
Diritto
di scelta: l’utente ha diritto di scegliere il soggetto erogatore del servizio;
Partecipazione:
il cittadino-utente ha diritto a partecipare alle prestazioni, anche attraverso
le associazioni di utenti, di volontariato e di tutela;
Efficienza
ed efficacia: i servizi erogati devono essere in grado di ottenere i risultati
migliori e ai costi minori.
Infine
il decreto del presidente del consiglio dei ministri del 19 maggio 1995
fornisce lo schema di riferimento della «Carta dei servizi pubblici sanitari» e
costituisce un atto fondamentale per l’introduzione di una nuova modalità di
rapporto del Servizio sanitario nazionale con il cittadino. Oltre alla
affermazione di una serie di principi e modalità organizzative, .si precisano
le responsabilità delle regioni e delle ASL. Queste ultime devono, in
particolare, garantire:
Informazione:
su prestazioni fornite, modalità di accesso, procedure, partecipazione;
Accoglienza:
limitare disagi, comprendere bisogni, accompagnare, corretto uso dei servizi e
delle strutture;
Tutela:
regolamenti per la tutela dei diritti, gestione dei reclami, attivazione degli
uffici relazione con il pubblico (URP);
Partecipazione:
progetti di adeguamento alle esigenze dei cittadini, rilevazione gradimento,
rapporti coi personale e comfort;
Adozione
di standard di qualità e quantità.
Nell’ambito
normativo è opportuno ricordare anche «Carta dei diritti del malato» presentata
a Bruxelles il novembre 2002 e redatta da un insieme di associazioni di tutela
dei diritti dei malati. Il documento, per quali la «Carta dei diritti non
costituisca un atto normativo, è un importante riferimento culturale per la
rilevanza dei principi affermati e l’ampiezza del dibattito di cui sono frutto
(per maggiori informazioni, si veda www.cittadinanzattiva.it) Esso propone la
proclamazione di quattordici diritti dei pazienti, che nel loro insieme cercano
di rendere concreti i diritti fondamentali previsti dal trattato di Nizza del
2000, applicabili e appropriati all’attuale fase di transizione dei servizi sanitari.
Tutti questi diritti mirano a garantire un «alto livello di protezione della
salute umani (art. 35 della «Carta dei diritti fondamentali») e assicurare
l’alta qualità dei servizi erogati dai diversi sistemi sanitari nazionali. Essi
dovrebbero essere tutelati in tutto il territorio dell’ Unione Europea, e
sono:
Diritto
a interventi e misure di prevenzione;
Diritto
all’accesso;
Diritto
all’informazione;
Diritto
al consenso;
Diritto
alla libera scelta;
Diritto
alla privacy e alla confidenzialità;
Diritto
al rispetto del tempo dei pazienti;
Diritto
al rispetto di standard di qualità;
Diritto
alla sicurezza;
Diritto
alla innovazione;
Diritto
a evitare le sofferenze e il dolore non necessari;
Diritto
a un trattamento personalizzato;
Diritto
al reclamo;
Diritto
al risarcimento.
In
ogni situazione nella quale il cittadino abbia la sensazione che i suoi
diritti, o quelli dei suoi familiari, siano stati lesi, ha il diritto di
presentare reclamo alla struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, che
ha il dovere di rispondere in modo confacente e in tempi contenuti.
Oggi
tutte le aziende sanitarie hanno procedure per la gestione dei reclami;
solitamente è necessario presentare un reclamo scritto, indirizzato al
direttore generale, spiegando in modo sintetico ma chiaro l’oggetto del reclamo
e segnalando l’indirizzo a cui si desidera ricevere la risposta. Il cittadino
può presentare direttamente il reclamo o può farlo attraverso le associazioni
di tutela dei diritti del malato o del consumatore. Un costante aggiornamento
delle informazioni può essere reperito all’indirizzo Internet www.ministerosalute.it/qualita/qualita.jsp
1. Al fine di garantire il costante adeguamento
delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze dei cittadini
utenti del Servizio sanitario nazionale il ministro della Sanità definisce con
proprio decreto, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le Regioni e le Province autonome i contenuti e le modalità di utilizzo
degli indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie
relativamente alla personalizzazione ed umanizzazione dell’assistenza, al
diritto all’informazione, alle prestazioni alberghiere, nonché dell’andamento
delle attività di prevenzione delle malattie. A tal fine il ministro della
Sanità, d’intesa con il ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e
tecnologica e con il ministro degli Affari sociali, può avvalersi anche della
collaborazione delle Università, del Consiglio nazionale delle ricerche, delle
organizzazioni rappresentative degli utenti e degli operatori del Servizio
sanitario nazionale nonché delle organizzazioni di volontariato e di tutela dei
diritti.
2.
Le Regioni utilizzano il suddetto sistema di indicatori per la verifica, anche
sotto il profilo sociologico, dello stato di attuazione dei diritti dei
cittadini, per la programmazione regionale, per la definizione degli investimenti
di risorse umane, tecniche e finanziarie. Le Regioni promuovono inoltre
consultazioni con i cittadini e le loro organizzazioni anche sindacali ed in
particolare con gli organismi di volontariato e di tutela dei diritti al fine
di fornire e raccogliere informazioni sull’organizzazione dei servizi, Tali
soggetti dovranno comunque essere sentiti nelle fasi dell’impostazione della
programmazione e verifica dei risultati conseguiti e ogniqualvolta siano in
discussione provvedimenti su tali materie. Le Regioni determinano altresì le
modalità della presenza nelle strutture degli organismi di volontariato e di
tutela dei diritti, anche attraverso la previsione di organismi di
consultazione degli stessi presso le Unità sanitarie locali e le Aziende ospedaliere.
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