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martedì 22 maggio 2012

Mutazioni sociali della salute nella prospettiva socio-biologica


Facoltà di Scienze della Formazione
Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione
Anno Accademico 2007-2008
Tesi di Sociologia della Cultura  
PROSPETTIVE CONTEMPORANEE
IN SOCIOLOGIA DELLA 
SALUTE
 

Mutazioni sociali della salute nella prospettiva socio-biologica


La sociologia nasce in un contesto dinamico e relazionale, quello dell’evoluzione umana: «l’histoire de la civilisation n’est autre chose que la suite et le complément indispensable de l’histoire naturelle de l’homme». Auguste Comte assume il punto di vista dell’evoluzione e sembra così vivere l’ansia della conoscenza, l’ansia della modernità compresa di una umanità oggettiva che diventa soggetto totale e, in quanto tale, «autorilevazione nella natura, nella sua natura» (Comte).
La «scienza del positivismo è una scienza di relazione fra fenomeni. C’è allora la necessità fra i fenomeni; la necessità non è che un’altra espressione per dire ordine. L’ordine definito nella natura è un ordine definito ovunque perché tutto è natura» (Toscano).
L’evoluzione biologica, e quindi anche umana, e disseminata di eventi contingenti, unici e irriproducibili e non sembra avere molto senso configurare un piano, ex ante facto, un disegno, dove, probabilmente non ce ne sono mai stati.
Sostenere l’aumento della complessità nell’evoluzione potrebbe non essere del tutto vero, anche per quanto riguarda gli agenti patogeni. Una singola cellula è già molto complessa e non è affatto evidente, né obiettivamente difendibile, che i micro-organismi siano meno complicati di specie che sono comparse successivamente.
L’evoluzione ha attraversato ed attraversa tutta la storia delle scienze sociali, da Comte, Durkheim e Spencer a Parsons, Hayek, Popper o Eisenstadt, solo per citare alcuni Autori significativi. In tale prospettiva, il complesso sistema teorico legato all’evoluzionismo ha uno spazio significativo e fondante nella storia della sociologia, anche con riferimento al parallelismo fra evoluzione e funzionalità. Tuttavia l’elemento comune all’interno dei diversi apparati teorici sembra essere il senso della storia, una storia non più intesa come una serie unica di eventi particolari bensì come un vero percorso evolutivo.
Esiste fra la società umana e quella naturale una somiglianza frappante che ha sempre sedotto il pensiero sociologico a partire dall’aneddoto (apologo delle membra) di Menenio Agrippa.
L’Homo sapiens, quello che meglio di altri sembra gestire la conoscenza deriva infatti dall’Homo abilis, colui che sapeva usare le mani (De Duve).
Gli studi demografici di Livi, di Gini, di Boccardo e di Tarde dimostrano che l’organismo, un sistema in equilibrio, ha la proprietà di mantenere un equilibrio e di ristabilirlo in caso di rottura. In tale prospettiva la nozione di equilibro biologico sembra corrispondere quello di qualità della vita. In tale direzione e soprattutto negli ultimi anni la nozione di qualità della vita sembra essere un tema Costante, di grande interesse anche nell’ottica dei principi della prevenzione; spesso i sostenitori della cosiddetta bioetica della qualità della vita hanno offerto una serie di indici e di algoritmi nell’obietto di definire proprio tale valore.
Nel definire la qualità della vita si fa riferimento agli stati mentali piacevoli o dolorosi dell’individuo in relazione alle sue condizioni sociali e psicofisiche, per cui si ritiene che promuovere una buona qualità di vita consista nel produrre condizioni di vita gratificanti, nel rimuovere condizioni dolorose e nel tentare di controllare i rischi.
A livello sociale, ad esempio, una politica sanitaria di allocazione delle risorse sarà ritenuta più o meno adeguata a promuovere la qualità di vita a seconda degli effetti prodotti e delle situazioni spiacevoli rimosse.
Questo approccio, per così dire bio-relazionale, non vuole riproporre, in una forma diversa il biologismo, ovvero un modello scientifico che tenta di ricondurre i comportamenti mani e le condizioni della salute alle variabili strettamente biologiche. Occorre proprio ripartire dal considerare l’aspetto biologico sia una parte de1l’interpretazione della vita poiché l’umano è una «combinazione particolare interattiva e interpretativa di cui quella distintiva è la cultura in quanto riferita ad una coscienza non puramente cognitiva ma anche valutativa» (Donati).
Il problema non sembra quello dell’insistenza sulla dimensione soggettiva della qualità della vita, sulla salute, che, quando estremizzata, può introdurre un tale carattere di relatività che, alla fine, ne è impedita una qualsiasi valutazione oggettiva, ma, semmai, considerare il biologico come fatto che ha varie e complessi livelli di compenetrazione dei diversi livelli della realtà.
Il complesso rapporto fra biologia, società e cultura, che ancora condiziona la costruzione del sapere anche biomedico, è tipico della civiltà occidentale: altre culture, non occidentali, non vedono alcuna antitesi fra il dato naturale e quello culturale, anzi si sottolinea la costante dialettica fra i due elementi. Soggetti diversi in condizioni diverse, infatti, possono benissimo dare valutazioni diverse di che cosa sia una vita di buona qualità e questa variabilità, se si compone solo con criteri di oggettività, sfocia nella più assoluta indeterminazione, contro la pretesa di fondare la valutazione del valore della vita su basi razionali e a partire da criteri verificabili e costanti. Paul Ricoeur nel suo studio sull’opera di Canguilhem, La différence entre le normale et le pathologique comme source de respect, osserva che, a livello biologico, il patologico può essere compreso in due modi: negativamente, come una mancanza rispetto ad una condizione cosiddetta oppure come una diversa interpretazione, una organizzazione “altra”, che ha le sue leggi, come una struttura “altra” in rapporto al vivente ed al suo stato.
 Tuttavia la salute, la qualità della vita in relazione alle condizioni presenti nella società sembra essere una nozione soprattutto culturale, «un concetto che non è né oggettivo né soggettivo, bensì socialmente condizionato» (Cipolla), spesso implicita e non tematizzata a sufficienza e soprattutto fenomeno originale.
In tale direzione, promuovere la qualità della vita significa rispondere in modo utilitaristico alle attese o realizzare condizioni di esistenza piacevoli ed è quindi necessario che la collettività sia in grado di apprezzare i risultati, avere attese, serbare memoria, percepire interessi.
Se come osservato precedentemente il sistema medicale è una «parte di un sistema di azione più ampio, quello che opera per la salute all’interno della società» (Donati), allora anche la parte scientifica della medicina, la biologia, ha il compito, nella ricerca, di valutare tutti rischi connessi, rischi compresi in un sistema autopoietico: se per malattia, come possibile danno al valore della vita, si intende il configurarsi, a diversi livelli dell’organizzazione dei sistemi fisiologici dell’individuo di modalità anomale di funzionamento disadattative rispetto all’ambiente allora i confini fra salute e malattia, in regime di assoluto rigore e nella prospettiva della medicina funzionalista, sembrano realmente meno definiti oggi di quanto lo fossero nei secoli passati.
Allora, anche il rincorrere la logica del rincorrere semper et ubique la malattia può non essere un vantaggio poiché l’evoluzione, in biologia, può necessitare di una valutazione anche soggettiva. Può essere quindi utile volgere uno sguardo sull’evoluzione del concetto di organismo ed i funzione organica in relazione alle trasformazioni dei modelli interpretativi che si sono succeduti nel corso della stria della biologia e della bio-medicina, e che riguardano le interazioni tra i costituenti dell’organismo individuale.
Nel tentativo di definire i percorsi che portano alla malattia il contributo della biologia resta fondamentale, non solo perché si costituisce come un mito, una delle possibili rappresentazioni del mondo, ma soprattutto perché si collega all’aspetto più significativo dell’esistenza: il corpo. Considerare la qualità della vita, nella sua dimensione fra salute e malattia, come il risultato di un processo evolutivo, significa utilizzare anche la prospettiva sociobiologia, in cui i concetti di adattamento all’ambiente, di vantaggio riproduttivo sono fondamentali.
 Tuttavia, come ha osservato Grmek, «l’uso dei concetti di evoluzione è certamente arbitrario, dipendente più dalla nostra interpretazione degli eventi storici che dalla loro natura intrinseca… l’etimologia ci aiuta a cogliere i problemi sottostanti. Evoluzione implica l’evolversi di una cosa preesistente e deriva dalla pratica di srotolare un rotolo,un manoscritto ravvolto, di forma cilindrica: dunque l’evoluzione vuoi dire inizialmente ritorno. Il termine evoluzione ha assunto solo alla fine dell’Ottocento il senso attuale dello sviluppo graduale di caratteristiche nuove, non esistenti prima».
Questa osservazione sembra necessaria proprio per introdurre, nell’interpretazione della salute e della malattia, il cambiamento delle conoscenze, la rivoluzionari,data dalla conoscenza scientifica, che accompagna la comprensione del cambiamento: «nel campo scientifico, esattamente come nella politica, le cosiddette rivoluzioni cambiano le parvenze e la loro importanza è solo quella di are una espressione visiva a un processo più profondo di evoluzione sottostante.
Le teorie evoluzioniste sembrano così conquistare progressivamente il concetto di integrazione funzionale come il risultato dinamiche selettive considerando anche che lo studio del cosiddetto sistema immune può aiutare a comprendere l’evoluzione delle specie e lo sviluppo del loro sistema immunitario.
L’ assunto teorico degli evoluzionisti sembra essere quello che considera la storia come un patrimonio culturale in grado di rivelare una certa direzionalità di senso in determinati percorsi in parti diverse del globo con l’obiettivo di fornire un sistema di spiegazione delle azioni e dei percorsi osservati (Wilson).
Ed è proprio la parola percorso che configura la natura dell’evoluzione; quando la vita è apparsa sulla terra, circa tre miliardi e mezzo di anni fa, era mobile, passava da un organismo ad un altro.
Anche in tale prospettiva, le scienze sociali, ed in particolare la sociologia, hanno, da tempo, sviluppato una relazione dualistica con le teorie evoluzioniste della società, alternando periodi di grande avvicinamento ad improvvisi e repentini allontanamenti; è a partire dalla seconda metà del XIX secolo si è avuto un grande interesse per la natura evoluzionista. Auguste Comte in Francia, John Stuart-Mill e Herbert Spencer in Inghilterra, Jakob Moleschott ed Ernst Haeckel in Germania, Roberto Ardigò, Augusto Murri e Cesare Lombroso, soltanto per citare qualche esempio di studiosi che hanno come paradigma l’evoluzione dell’universo, l’instabilità della omogeneità sembra essere la certezza che l’unica vera conoscenza è quella scientifica poiché tutta la realtà è natura. Spencer, ad esempio, insiste «sull’importanza delle doti naturali nel prevalere sugli altri oppure semplicemente nel sopravvivere rispetto alle difficoltà poste dall’ambiente» (Battisti). In tale direzione è opportuno inoltre ricordare il fondamentale lavoro di Emile Durkheim.
Le prime, essenziali, intuizioni del Nostro sono rintracciabili in De la division du travail social del 1893 in cui scrive che «l’individualisme, la libre pensée ne date ni de nos jours, ni de 1789, ni de là reforme, ni de la scolastique, ni de la chute du polythéisme gréco-romain ou des théocraties orientales. C’est un phénomène qui commence nulle part, mais qui se développe, sans s’arrêter tout au long de l’histoire ».
Il metodo delle scienze naturali vale anche per lo studio della società. Per questo la sociologia come scienza di quei fatti naturali che sono i rapporti umani e sociali nasce dentro il movimento del pensiero positivista nel quale la scienza viene esaltata come unico contesto di risoluzione dei problemi umani e sociali, i più antichi. La nozione di individualismo deve quindi essere separata da quella di atomismo. Non si tratta di considerare la società come composta da una somma di attori sociale ma che all’interno di una società si possa o non si possa apprezzare una determinata situazione o configurazione. Per Durkheim l‘individualismo ne commende nulle part perché una società non è proposta o imposta solamente ma considerata legittima o illegittima, buona o cattiva, in salute o malata, secondo l’opinione generale proprio a partire dal fatto che l’individualismo non e un dato di condizionamento originario a priori occorre ripercorrere l’interpretazione della storia recente proprio a partire dai percorsi dell’evoluzione. I cambiamenti profondi che si sono manifestati all’interno della società sono le conseguenze mediate ed immediate delle scoperte scientifiche soprattutto della fisica e della chimica.
Mai nella storia dell’umanità si era avuto una tale accelerazione nell’accumulazione della conoscenza accompagnato da grandi movimenti geo-politici. Le continue rivoluzioni geo-politiche che hanno contraddistinto il Ventesimo Secolo sembrano segnare la scomposta linea della frattura fra modernità e post-modernità o, in un’altra prospettiva, fra mondo moderno e mondo contemporaneo in cui il processo di costruzione sociale è di tipo partecipativo.
Il recente percorso sembra rappresentare una accelerazione nello stock di conoscenze proprio nella direzione della biologia, con particolare riferimento alla biologia molecolare, quella scienza che studia gli esseri viventi a partire dai meccanismi molecolari alla base della loro fisiologia (Frati), con attenzione alle interazioni fra le macromolecole, ovvero le proteine, e gli acidi nucleici DNA e RNA. Questa rivoluzione sembra permettere una ulteriore osservazione sul come si tenti di definire i confini, i criteri e le relazioni, nella individuazione dello status evolutivo, della condizione dell’individuo.
Nonostante la disponibilità di nuovi punti di osservazione, l’attore sociale del XXI secolo non sembra avere ancora sviluppato un linguaggio in grado di esprimere la nuova frontiera dell’evoluzione poiché ancora prigioniero delle logiche cartesiane riassunte nella celebre frase «cogito ergo sum».
Il presente è un equilibrio fra il passato e un complesso sistema di avvenire possibili, fra una situazione definita de facto, ed una in continua ri-definizione in cui le informazioni immateriali sembrano attraversare la materia ed interferire in tempi diversi fra l’osservatore e l’oggetto osservato, in cui si rischia di sostituire al continuum una summa di conoscenze non più critiche.
Ciò che interessa al sociologo sembra essere proprio la definizione dei criteri di scelta per considerare più legittima, e quindi più condivisibile, una determinata interpretazione del rapporto fra salute e malattia, un rapporto in continua ri-definizione, anche in tali prospettive I La sociologia si pone come una scienza in grado di fornire dei modelli di comportamento sociale, che possono rendere effettivo il riconoscimento dei problemi presenti a tutti i livelli con l’obiettivo di suggerire strategie interpretative possibili.
Una azione di questo tipo è sostanzialmente interdisciplinare ponendo su pIani complementari e collaborativi i saperi della ricerca delle scienze biologiche con quelli sociologici. È, in altri termini, la definizione e la interconnessione dei campi per le azioni di ogni attore sociale, per le scelte che si intende operare rispetto alle definizioni di chi e l’attore sociale oggi e di come si rapporta all’altro Si tratta di un gioco costante di relazione che può essere perdurante nel tempo, ma può anche mutare, se mutano le condizioni di relazione e di esperienza con le posizioni relative degli altri.


La sociologia ha compreso, prima fra le scienze, il fatto che l’attore sociale  è in grado di rappresentare i contenuti dell’immagine del mondo a prescindere dalla sua reale esistenza, in altri termini, dalla sua natura.
Alle nuove frontiere degli studi biologici, gli studi sociologici più recenti hanno mostrato che la valutazione degli oggetti e dei fatti, è una parte del mondo naturale. In particolar modo e grazie all’approccio della sociobiologia, un tentativo di spiegare in termini biologici aspetti del comportamento umano, tradizionalmente oggetto di studio delle scienze umane, che si tenta di ridefinire l’evoluzione della specie ed il suo essere.
L’attore sociale, nella sua dimensione sociale, culturale e biologica, presenta il problema di ristabilire ciò che in questa dissociazione è assente, la relazione individuo, società, specie come permanente e simultanea (Morin). L’approccio tipico della sociobiologia impiega la teoria evolutiva per interpretare il comportamento sociale animale ed umano tentando una sintesi piuttosto ampia comprendente un vasto insieme di fenomeni (Barash). In tale direzione non sembra esservi dubbio sul fatto che il problema fondamentale sta nel rapporto fra il sistema sociale e la natura, come evento biologico e, in questa relazione fra natura, evoluzione e società.
Se fino a pochi decenni fa esisteva, e forse esiste ancora, una relazione fra natura e società, fra evoluzione sociale ed evoluzione umana, con la società post-moderna le cose si sono distanziate e, in qualche modo, anche compenetrate. Questa relazione, così complessa, che necessita di scienze diverse per essere osservata compiutamente è chiaramente concettualizzata soltanto da tre secoli. Quello che si vuole sottolineare è la mancanza di linearità e di prevedibilità del processo evolutivo.
Che un individuo venisse al mondo secondo i metodi della riproduzione sessuata naturale, avesse un corpo e una mente soggetti a malattie e invecchiamento, soffrisse, godesse e morisse assieme ai suoi organi, appariva un dato di fatto inoppugnabile; come anche che l’evoluzione fosse un percorso fra ambiente naturale ed ambiente sociale. Invece sembra necessario ri-formulare molti parametri con i quali l’attore sociale ha cercato di identificare l’altro ed identificare se stesso.
Per questo è necessario riflettere sul tema vita, e non solo in termini biologici. Morin, già nel 1974, suggeriva di inserire la relazione fra individuo e società in un rapporto temano specie, individuo e società, un rapporto cultura, ambiente e società.
Una riflessione sociologica sul concetto di vita e della sua evoluzione non è necessariamente terreno scientifico dell’epistemologia e della biologia ma costituisce il tentativo di definire i contorni sul tema della vita a partire dalla grande quantità di informazioni disponibili e dei metodi per analizzare tali dati: «un termine che si incontra spesso nelle scienze sociali per designare la storia naturale è ermeneutica. Nell’uso originale e circoscritto questa espressione derivata dal greco Hermeneutikòs (capace di interpretare) designa l’analisi e l’inter-pretazione dei testi, specialmente del Vecchio e del Nuovo Testamento. Nel campo delle scienze sociali e umanistiche è stata allargata fino a comprendere l’esplorazione sistematica dei rapporti sociali e della cultura, in cui ogni soggetto viene esaminato da studiosi che esprimono punti di vista e culture diverse» (Wilson).
La comprensione della vita, anche alla luce della sociobiologia, è possibile anche relazione al fatto che “solo l’uomo ha coscienza della propria morte. Questa coscienza è legata alla facoltà immaginativa, che ci permette di proiettarci” (Ruffiè). Una sociobiologia post-moderna dovrebbe poter comprendere e registra i cambiamenti, come modificazioni storiche, come conseguenze della post-modernità.
Non si tratta solo, come osservato da Zygmunt Bauman, della perdita della forma solida della modernità e della sua trasformazione in modernità liquida, ma è soprattutto della incapacità di ordinare e governare la situazione e di indirizzarne i processi. Per Bauman due sono i caratteri che hanno segnato più di altri lo spirito moderno: «l’impulso a trascendere e andare oltre i limiti — cioè, l’impulso a trasformare le realtà oggettive — e l’impegno costante a perfezionare le capacità/possibilità di azione — cioè le capacità/possibilità di modificare le situazioni». Ciò significa che nel cuore della modernità è iscritta la vocazione a manipolare e trasformare l’oggettività del mondo al fine di superare, in uno sforzo di liberazione permanente, gli ostacoli che esso ci pone L’unico limite alle capacita trasformative potrà essere solo quello di fatto, quello dettato dalla attuale disponibilità di mezzi per metterle in atto.
Il problema, anche nelle fratture della post-modernità, sembra essere quello della conoscenza; quando aumenta la conoscenza, l’oscurità intellettuale che circonda l’attore sociale viene illuminata, e si può meglio osservare ed apprendere dal mondo naturale. Oggi le nuove conoscenze sembrano portare sia riavvicinamenti inattesi sia nuove distinzioni, destabilizzando le categorie meglio fondate nella ricerca, fra le scienze, delle possibili e diverse linee di connessione. Sembra necessario un impegno teso a chiarire, grazie al fondamentale contributo della sociologia, la spiegazione scientifica dei fenomeni biologici, fenomeni di carattere estremamente complesso e vario ed è proprio tale caratteristica che contrasta con l’esigenza primaria di ogni osservazione scientifica, ovvero la presenza in un campo di studio costituito essenzialmente dalla diversità e dalla varietà e che quindi si configura non generalizzabile a priori. Come ha osservato Grmek: «nel nostro modo di concepire un fenomeno, soprattutto un fenomeno legato alla vita, esistono sempre delle dualità essenziale tutto o parte, oppure stato o processo o funzione, causa o scopo.
Il processo può essere considerato come una continuità o come una sere di discontinuità fondamentali: evoluzione o rivoluzione, continuità materiale o continuità informatica. Questa dialettica parte-tutto non vale solo per un organismo, ma anche per il rapporto fra individuo ed ambiente.


Fino ad una quindicina di anni fa la maggioranza delle persone, e tra queste la maggioranza degli operatori, tendeva ancora a considerare la qualità dei servizi sanitari come una loro componente implicita e non ben definibile, prevalentemente focalizzata sugli aspetti tecnici.
La soddisfazione dei cittadini o, più genericamente, le loro valutazioni sulla qualità dei servizi erano ritenute marginali. Tuttavia la situazione è andata rapidamente modificandosi, prima con la progressiva presa di coscienza delle diverse componenti della «qualità» (tecnica, organizzativa, relazionale), poi con la richiesta sempre più pressante di superare la tradizionale autoreferenzialità del personale e delle strutture per raggiungere modalità oggettive di definizione, misurazione e valutazione dei livelli qualitativi dei servizi forniti.
Lo sviluppo di questi principi, unito all’aumentata coscienza dei propri diritti da parte dei cittadini, ha portato a sempre maggiori richieste di trasparenza di tutela dei diritti. La capacità di garantire predefiniti livelli qualitativi è diventata quindi una esigenza crescente, sia in una logica strettamente contrattuale (garanzia della qualità del servizio fornito), sia in una logica più generale quale quella di un sistema sanitario pubblico a cui è richiesto di garantire ai cittadini prestazioni/servizi, noi solo in termini quantitativi ma anche qualitativi.
La normativa è intervenuta in questo settore con di versi atti, tra i quali meritano di essere ricordati i seguenti: decreto legislativo 502/1992, che riordinava la disciplina in materia sanitaria, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994 sui principi a cui deve uniformarsi progressivamente l’erogazione dei servizi pubblici, anche se svolti in regime di concessione o mediante convenzione.
In base al decreto del presidente del consiglio de ministri del 27 gennaio 1994 tutte le aziende sanitarie accreditate, pubbliche o private, devono garantire il rispetto e la promozione di alcuni principi fondamentali:
Eguaglianza: erogazione dei servizi con regole uguali per tutti, indipendentemente da sesso, età, razza, lingua, religione, opinioni politiche;
Imparzialità: erogazione obiettiva, non condizionata da pregiudizi, o da valutazioni improprie;
Continuità: l’erogazione, nell’ambito delle modalità stabilite dalla normativa di settore, deve essere continua, regolare e senza interruzioni;
Diritto di scelta: l’utente ha diritto di scegliere il soggetto erogatore del servizio;
Partecipazione: il cittadino-utente ha diritto a partecipare alle prestazioni, anche attraverso le associazioni di utenti, di volontariato e di tutela;
Efficienza ed efficacia: i servizi erogati devono essere in grado di ottenere i risultati migliori e ai costi minori.
Infine il decreto del presidente del consiglio dei ministri del 19 maggio 1995 fornisce lo schema di riferimento della «Carta dei servizi pubblici sanitari» e costituisce un atto fondamentale per l’introduzione di una nuova modalità di rapporto del Servizio sanitario nazionale con il cittadino. Oltre alla affermazione di una serie di principi e modalità organizzative, .si precisano le responsabilità delle regioni e delle ASL. Queste ultime devono, in particolare, garantire:
Informazione: su prestazioni fornite, modalità di accesso, procedure, partecipazione; 
Accoglienza: limitare disagi, comprendere bisogni, accompagnare, corretto uso dei servizi e delle strutture; 
Tutela: regolamenti per la tutela dei diritti, gestione dei reclami, attivazione degli uffici relazione con il pubblico (URP);
Partecipazione: progetti di adeguamento alle esigenze dei cittadini, rilevazione gradimento, rapporti coi personale e comfort;
Adozione di standard di qualità e quantità.

Nell’ambito normativo è opportuno ricordare anche «Carta dei diritti del malato» presentata a Bruxelles il novembre 2002 e redatta da un insieme di associazioni di tutela dei diritti dei malati. Il documento, per quali la «Carta dei diritti non costituisca un atto normativo, è un importante riferimento culturale per la rilevanza dei principi affermati e l’ampiezza del dibattito di cui sono frutto (per maggiori informazioni, si veda www.cittadinanzattiva.it) Esso propone la proclamazione di quattordici diritti dei pazienti, che nel loro insieme cercano di rendere concreti i diritti fondamentali previsti dal trattato di Nizza del 2000, applicabili e appropriati all’attuale fase di transizione dei servizi sanitari. Tutti questi diritti mirano a garantire un «alto livello di protezione della salute umani (art. 35 della «Carta dei diritti fondamentali») e assicurare l’alta qualità dei servizi erogati dai diversi sistemi sanitari nazionali. Essi dovrebbero essere tutelati in tutto il territorio dell’ Unione Europea, e sono: 
Diritto a interventi e misure di prevenzione; 
Diritto all’accesso; 
Diritto all’informazione; 
Diritto al consenso;
Diritto alla libera scelta;
Diritto alla privacy e alla confidenzialità;
Diritto al rispetto del tempo dei pazienti;
Diritto al rispetto di standard di qualità;
Diritto alla sicurezza;
Diritto alla innovazione;
Diritto a evitare le sofferenze e il dolore non necessari;
Diritto a un trattamento personalizzato;
Diritto al reclamo;
Diritto al risarcimento.
In ogni situazione nella quale il cittadino abbia la sensazione che i suoi diritti, o quelli dei suoi familiari, siano stati lesi, ha il diritto di presentare reclamo alla struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, che ha il dovere di rispondere in modo confacente e in tempi contenuti.
Oggi tutte le aziende sanitarie hanno procedure per la gestione dei reclami; solitamente è necessario presentare un reclamo scritto, indirizzato al direttore generale, spiegando in modo sintetico ma chiaro l’oggetto del reclamo e segnalando l’indirizzo a cui si desidera ricevere la risposta. Il cittadino può presentare direttamente il reclamo o può farlo attraverso le associazioni di tutela dei diritti del malato o del consumatore. Un costante aggiornamento delle informazioni può essere reperito all’indirizzo Internet  www.ministerosalute.it/qualita/qualita.jsp   


1.  Al fine di garantire il costante adeguamento delle strutture e delle prestazioni sanitarie alle esigenze dei cittadini utenti del Servizio sanitario nazionale il ministro della Sanità definisce con proprio decreto, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome i contenuti e le modalità di utilizzo degli indicatori di qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie relativamente alla personalizzazione ed umanizzazione dell’assistenza, al diritto all’informazione, alle prestazioni alberghiere, nonché dell’andamento delle attività di prevenzione delle malattie. A tal fine il ministro della Sanità, d’intesa con il ministro dell’Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e con il ministro degli Affari sociali, può avvalersi anche della collaborazione delle Università, del Consiglio nazionale delle ricerche, delle organizzazioni rappresentative degli utenti e degli operatori del Servizio sanitario nazionale nonché delle organizzazioni di volontariato e di tutela dei diritti.
2. Le Regioni utilizzano il suddetto sistema di indicatori per la verifica, anche sotto il profilo sociologico, dello stato di attuazione dei diritti dei cittadini, per la programmazione regionale, per la definizione degli investimenti di risorse umane, tecniche e finanziarie. Le Regioni promuovono inoltre consultazioni con i cittadini e le loro organizzazioni anche sindacali ed in particolare con gli organismi di volontariato e di tutela dei diritti al fine di fornire e raccogliere informazioni sull’organizzazione dei servizi, Tali soggetti dovranno comunque essere sentiti nelle fasi dell’impostazione della programmazione e verifica dei risultati conseguiti e ogniqualvolta siano in discussione provvedimenti su tali materie. Le Regioni determinano altresì le modalità della presenza nelle strutture degli organismi di volontariato e di tutela dei diritti, anche attraverso la previsione di organismi di consultazione degli stessi presso le Unità sanitarie locali e le Aziende ospedaliere.


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