Il maggior mistero della medicina non è la malattia bensì la salute.
Ogni giorno il nostro corpo è invaso da miliardi di germi, è sottoposto
allo stress della vita moderna e subisce gli "insulti" che noi stessi
gli facciamo (fumo, sedentarietà, cattiva alimentazione ecc.): ciò
nonostante ci manteniamo sani, almeno entri certi limiti. Questa
capacità di sopravvivere del nostro organismo è così singolare che c’è
veramente da meravigliarsi che qualcuno riesca ad ammalarsi. Il fatto è che la nostra salute è protetta da una serie ingegnosa di
difese disposte in profondità, come linee successive di un esercito
trincerato per respingere l’invasore. I globuli bianchi del sangue, per
esempio, costituiscono una delle nostre difese più curiose ed efficaci:
essi sono attratti come da una calamita verso la sede di invasione dei
germi; quando la raggiungono "ingoiano" tutte le particelle estranee che
vi trovano oppure le distruggono tramite quella specie di siluri
chiamati anticorpi.
Ma la cosa forse più affascinante, tra tutte le meraviglie della vita, è
la capacità dell’organismo di riparare i danni subiti e di continuare a
vivere.Per esempio, tutte le volte che ci facciamo un piccolo taglio,
sbucciando la frutta o aprendo la fiala di un farmaco, inizia
immediatamente un lavoro di ricostruzione molto più complicato di quello
che serve per innalzare un grattacielo. Siamo tutti portati a
considerare questa capacità rigenerativa come una cosa semplice,
naturale, e quindi a non darle molta importanza: in realtà, se non ci
fosse, anche la più piccola ferita potrebbe portare alla morte.
Inoltre, gli organi del nostro corpo possiedono riserve alle quali si
può fare ricorso in caso di bisogno. Si può così asportare quasi metà
del fegato perché quello che resta è ancora sufficiente alla funzione
dell’organo. Analogamente, è possibile togliere un rene perché quello
rimasto può compiere il lavoro di tutti e due. Nel corso di un
intervento chirurgico si possono tagliare e legare molti vasi sanguigni
perché noi possediamo molti più vasi di quelli che ci occorrono. Si può
anche asportare una considerevole parte degli oltre 8 metri di intestino
senza che ne derivino importanti conseguenze, e così via.
Nella lotta contro la malattia abbiamo dunque una
preziosissima alleata: una forza difensiva naturale straordinariamente
potente, ingegnosa e silenziosa, che combatte ogni giorno per garantirci
la salute. Questa stessa forza naturale tenta ogni giorno di opporsi al
fenomeno dell’invecchiamento.
Non è possibile stabilire un momento critico a partire dal quale si
possa parlare di invecchiamento, in quanto questo inizia dal momento
stesso della prima formazione dei tessuti: tranne le cellule nervose,
tutte le altre cellule nascono, crescono, invecchiano, muoiono in
continuazione e vengono sostituite da sempre nuove cellule durante tutta
la vita. Quando i meccanismi di sostituzione non avvengono più con
ritmo efficiente allora si parla di senescenza (Con il termine invecchiamento si intende la graduale modificazione cui
vanno incontro le strutture dell’organismo con il passare degli anni,
modificazione non imputabile a malattie prevedibili o ad altre
situazioni morbose suscettibili di aumentare le probabilità di morte;
dunque l’invecchiamento riguarda soprattutto la quantità di
modificazioni che hanno luogo nel tempo a livello cellulare e tessutale.
La senescenza, invece, riguarda la qualità delle modificazioni e la
comparsa di quelle deleterie; essa rappresenta la fase più tardiva
dell’invecchiamento).
Inoltre è difficoltoso anche dare una esatta definizione della parola
"invecchiamento", soprattutto perché sono ancora in gran parte
sconosciuti i meccanismi che portano prima alla senescenza e poi alla
morte gli organismi viventi.
Se volessimo dare alla vita un significato teleologico, finalistico,
potremmo pensare che l’organismo va incontro alla senescenza, cioè ad un
processo di degenerazione, perché ad un certo punto viene a mancare la
spinta evolutiva. In altre parole l’organismo, una volta oltrepassata
l’età fertile, non essendo più utile ai fini del mantenimento della
specie e cioè non essendo più utile ai disegni prestabiliti dal processo
evolutivo, sarebbe per così dire lasciato a se stesso, indifeso, e
andrebbe in questo modo incontro più o meno rapidamente alla propria
eliminazione. Forse un esempio può chiarire questo concetto: un
proiettile che fallisce l’obiettivo perde importanza nel momento stesso
in cui avviene tale fallimento e tutto quello che succede in seguito non
riveste alcun interesse per chi lo aveva lanciato.
Dunque l’evoluzione sembrerebbe avere scelto la strategia dell’usa e getta.
Volendo comunque dare una definizione sintetica non in prospettiva
evoluzionistica, possiamo dire che l’invecchiamento è un processo
biologico caratterizzato da un progressivo decadimento dei meccanismi di
difesa verso le normali variazioni dell’ambiente esterno.
Numerosi tentativi sono stati fatti per trovare una spiegazione al
processo della senescenza ma le nostre conoscenze sono ancora troppo
scarse per permetterci anche solo di intravedere dei punti fermi nel
campo della biologia dell’invecchiamento.
Il reale problema è capire come mai da due cellule si riesca a
sviluppare una crescita ordinata e preordinata, cioè capire come, o
meglio perché, si arrivi passo dopo passo alla formazione di un
organismo vivente.
Quando ci sarà finalmente chiaro il problema della vita, con tutta
probabilità automaticamente si capirà anche come mai un organismo
invecchia.
L’ipotesi oggi più accreditata è che l’invecchiamento sia un processo in
massima parte geneticamente determinato. Ciò si fonda sostanzialmente
sui seguenti elementi:
• La durata della vita di figli nati da soggetti longevi è maggiore rispetto a quella di nati da genitori non longevi.
• La coesistenza di longevità nei gemelli omozigoti (nati da un solo
uovo) è due volte maggiore rispetto agli eterozigoti (nati da uova
diverse).
• Ogni specie presenta una caratteristica durata massima della vita, che è fissa.
Per l’uomo questa durata è 113 anni (secondo alcuni, invece, è di
125 anni) ma esiste una estrema variabilità tra le varie specie: ad
esempio, alcune tartarughe possono raggiungere i 170 anni, il mollusco
Artica islandica 220 anni, alcune piante come la Sequoia gigante o il
Pino longevo possono arrivare ad alcune migliaia di anni e addirittura
un lichene chiamato Larrea tridentata può raggiungere i 10.000 anni.
(Vedi anche Illustrazione 1).
• Una malattia umana definita "sindrome da invecchiamento precoce"
sembra essere causata da mutazioni di un singolo gene. Il problema è
riuscire ad individuare la relazione tra questa sindrome e
l’invecchiamento fisiologico.
•
Classici esperimenti dimostrano che i fibroblasti si moltiplicano un
numero di volte che è in diretta relazione con la longevità della
specie. Così i fibroblasti di topo (vita massima 3 anni) si dividono
circa 15 volte, quelli di uomo (vita media 79 anni) circa 50 volte
mentre quelli delle tartarughe Galapagos (vita media stimata 170 anni)
arrivano a replicarsi fino a 90 volte.
• Salvo rare eccezioni, per ogni specie, compresa quella umana, il
maschio vive meno della femmina. Questo fenomeno è stato messo in
relazione con la possibile presenza di qualche gene presente nei
cromosomi sessuali che possa influenzare la vulnerabilità a malattie
degenerative.
- Cromosomi di una cellula umana divisi in 23 coppie di cui una è
definita coppia di cromosomi sessuali (nella figura sono evidenziati i
cromosomi sessuali X-Y di una cellula di un maschio).
In particolare, l’attuale attenzione degli studiosi è focalizzata
essenzialmente su due teorie dell’invecchiamento, che vedono entrambe
come attore principale il DNA:
- 1 - Teoria della senescenza programmata (detta anche teoria
fondamentalista oppure, con termine suggestivo, teoria dell’orologio
biologico): secondo questa ipotesi l’invecchiamento sarebbe il risultato
di un programma genetico predeterminato, che configurerebbe una
sequenza ordinata di espressioni genetiche differenti, analogamente al
processo di sviluppo. In parole più semplici, secondo questa teoria la
senescenza dipenderebbe da una serie di eventi già programmati, almeno
in via generale, fin dal momento della nascita. Sembrerebbe, dunque, che
nel codice genetico vi siano non soltanto le informazioni necessarie
alla duplicazione e alla differenziazione della cellula ma anche le
informazioni che portano alla sua stasi ed infine quelle che ne
decretano la morte. Si può così supporre che un vero e proprio orologio
biologico marchi il ciclo vitale della cellula portandola
inevitabilmente (anche se attraverso modulazioni operate da ormoni,
sostanze metaboliche e sostanze assunte dall’ambiente) verso
l’inattività e la morte. Il controllo di tale orologio sarebbe modulato
sì ma mai abrogato, tranne nel caso di cellule che diventano "immortali"
per processi tumorali.
- 2 - Teoria della senescenza non programmata (detta anche teoria
stocastica): secondo questa teoria l’invecchiamento sarebbe invece un
fenomeno del tutto casuale, dovuto all’accumulo di errori acquisiti nel
corso del tempo dalle molecole contenenti l’informazione genetica a
causa di stress, infezioni, traumi, fattori dietetici negativi,
sollecitazioni varie. Secondo quest’altra ipotesi, dunque, si
invecchierebbe soltanto a causa dell’impatto con l’ambiente e non per
eventi già "scritti", predeterminati. I deficit dell'invecchiamento
sarebbero cioè il risultato dell'accumulo di danni a carico del
materiale genetico, danni che ridurrebbero progressivamente la
funzionalità delle cellule, fino a causarne la morte.
Nonostante il gran numero di teorie diverse, la maggior parte dei
ricercatori è comunque d'accordo sul fatto che l'invecchiamento non sia
il risultato di un singolo evento o meccanismo, ma di un insieme di
processi che agiscono in modo concertato.
CONCETTO DI NORMALITÀ NELL’ ANZIANO
Come abbiamo già accennato, anche in presenza di alterazioni multiple
l’organismo umano, nel suo complesso corpo-psiche, è spesso in grado di
fornire aggiustamenti, compensi, che limitano i danni e reintegrano via
via un nuovo equilibrio ad un livello di solito meno elevato ma adeguato
all’età. Questi compensi sono però molto variabili da soggetto a
soggetto e quindi si è portati a valutare i diversi parametri clinici
più nell’ambito del singolo individuo che non rispetto a riferimenti di
ordine generale della popolazione.
Ciò non toglie che sia necessaria una certa definizione della
normalità degli anziani, anche se le difficoltà sono obiettivamente
enormi sia sul piano pratico (difficile reperimento di adeguate
casistiche da cui attingere valori di riferimento) sia sul piano teorico
( difficoltà di trovare valori-soglia al di qua dei quali si possa
parlare di invecchiamento fisiologico e al di là dei quali si debba
parlare di malattia).
Una esemplificazione ci viene data dal comportamento della pressione
arteriosa nella popolazione: convenzionalmente noi medici abbiamo deciso
che deve considerarsi iperteso un individuo adulto con valori uguali o
superiori a 160/95, ma non si tratta altro che di un artificio che noi
facciamo, un artificio certamente "logico" ma comunque arbitrario.
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