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domenica 13 maggio 2012

Senescenza: concetti generali e specifici

Il maggior mistero della medicina non è la malattia bensì la salute.
Ogni giorno il nostro corpo è invaso da miliardi di germi, è sottoposto allo stress della vita moderna e subisce gli "insulti" che noi stessi gli facciamo (fumo, sedentarietà, cattiva alimentazione ecc.): ciò nonostante ci manteniamo sani, almeno entri certi limiti. Questa capacità di sopravvivere del nostro organismo è così singolare che c’è veramente da meravigliarsi che qualcuno riesca ad ammalarsi.
Il fatto è che la nostra salute è protetta da una serie ingegnosa di difese disposte in profondità, come linee successive di un esercito trincerato per respingere l’invasore. I globuli bianchi del sangue, per esempio, costituiscono una delle nostre difese più curiose ed efficaci: essi sono attratti come da una calamita verso la sede di invasione dei germi; quando la raggiungono "ingoiano" tutte le particelle estranee che vi trovano oppure le distruggono tramite quella specie di siluri chiamati anticorpi. 
Ma la cosa forse più affascinante, tra tutte le meraviglie della vita, è la capacità dell’organismo di riparare i danni subiti e di continuare a vivere.Per esempio, tutte le volte che ci facciamo un piccolo taglio, sbucciando la frutta o aprendo la fiala di un farmaco, inizia immediatamente un lavoro di ricostruzione molto più complicato di quello che serve per innalzare un grattacielo. Siamo tutti portati a considerare questa capacità rigenerativa come una cosa semplice, naturale, e quindi a non darle molta importanza: in realtà, se non ci fosse, anche la più piccola ferita potrebbe portare alla morte.
Inoltre, gli organi del nostro corpo possiedono riserve alle quali si può fare ricorso in caso di bisogno. Si può così asportare quasi metà del fegato perché quello che resta è ancora sufficiente alla funzione dell’organo. Analogamente, è possibile togliere un rene perché quello rimasto può compiere il lavoro di tutti e due. Nel corso di un intervento chirurgico si possono tagliare e legare molti vasi sanguigni perché noi possediamo molti più vasi di quelli che ci occorrono. Si può anche asportare una considerevole parte degli oltre 8 metri di intestino senza che ne derivino importanti conseguenze, e così via.
Nella lotta contro la malattia abbiamo dunque una preziosissima alleata: una forza difensiva naturale straordinariamente potente, ingegnosa e silenziosa, che combatte ogni giorno per garantirci la salute. Questa stessa forza naturale tenta ogni giorno di opporsi al fenomeno dell’invecchiamento.
Non è possibile stabilire un momento critico a partire dal quale si possa parlare di invecchiamento, in quanto questo inizia dal momento stesso della prima formazione dei tessuti: tranne le cellule nervose, tutte le altre cellule nascono, crescono, invecchiano, muoiono in continuazione e vengono sostituite da sempre nuove cellule durante tutta la vita. Quando i meccanismi di sostituzione non avvengono più con ritmo efficiente allora si parla di senescenza (Con il termine invecchiamento si intende la graduale modificazione cui vanno incontro le strutture dell’organismo con il passare degli anni, modificazione non imputabile a malattie prevedibili o ad altre situazioni morbose suscettibili di aumentare le probabilità di morte; dunque l’invecchiamento riguarda soprattutto la quantità di modificazioni che hanno luogo nel tempo a livello cellulare e tessutale. La senescenza, invece, riguarda la qualità delle modificazioni e la comparsa di quelle deleterie; essa rappresenta la fase più tardiva dell’invecchiamento).
Inoltre è difficoltoso anche dare una esatta definizione della parola "invecchiamento", soprattutto perché sono ancora in gran parte sconosciuti i meccanismi che portano prima alla senescenza e poi alla morte gli organismi viventi.
Se volessimo dare alla vita un significato teleologico, finalistico, potremmo pensare che l’organismo va incontro alla senescenza, cioè ad un processo di degenerazione, perché ad un certo punto viene a mancare la spinta evolutiva. In altre parole l’organismo, una volta oltrepassata l’età fertile, non essendo più utile ai fini del mantenimento della specie e cioè non essendo più utile ai disegni prestabiliti dal processo evolutivo, sarebbe per così dire lasciato a se stesso, indifeso, e andrebbe in questo modo incontro più o meno rapidamente alla propria eliminazione. Forse un esempio può chiarire questo concetto: un proiettile che fallisce l’obiettivo perde importanza nel momento stesso in cui avviene tale fallimento e tutto quello che succede in seguito non riveste alcun interesse per chi lo aveva lanciato.
Dunque l’evoluzione sembrerebbe avere scelto la strategia dell’usa e getta.
Volendo comunque dare una definizione sintetica non in prospettiva evoluzionistica, possiamo dire che l’invecchiamento è un processo biologico caratterizzato da un progressivo decadimento dei meccanismi di difesa verso le normali variazioni dell’ambiente esterno.
Numerosi tentativi sono stati fatti per trovare una spiegazione al processo della senescenza ma le nostre conoscenze sono ancora troppo scarse per permetterci anche solo di intravedere dei punti fermi nel campo della biologia dell’invecchiamento.
Il reale problema è capire come mai da due cellule si riesca a sviluppare una crescita ordinata e preordinata, cioè capire come, o meglio perché, si arrivi passo dopo passo alla formazione di un organismo vivente. 
Quando ci sarà finalmente chiaro il problema della vita, con tutta probabilità automaticamente si capirà anche come mai un organismo invecchia.
L’ipotesi oggi più accreditata è che l’invecchiamento sia un processo in massima parte geneticamente determinato. Ciò si fonda sostanzialmente sui seguenti elementi:
• La durata della vita di figli nati da soggetti longevi è maggiore rispetto a quella di nati da genitori non longevi.
• La coesistenza di longevità nei gemelli omozigoti (nati da un solo uovo) è due volte maggiore rispetto agli eterozigoti (nati da uova diverse).
• Ogni specie presenta una caratteristica durata massima della vita, che è fissa. 
Per l’uomo questa durata è 113 anni (secondo alcuni, invece, è di 125 anni) ma esiste una estrema variabilità tra le varie specie: ad esempio, alcune tartarughe possono raggiungere i 170 anni, il mollusco Artica islandica 220 anni, alcune piante come la Sequoia gigante o il Pino longevo possono arrivare ad alcune migliaia di anni e addirittura un lichene chiamato Larrea tridentata può raggiungere i 10.000 anni. (Vedi anche Illustrazione 1).
• Una malattia umana definita "sindrome da invecchiamento precoce" sembra essere causata da mutazioni di un singolo gene. Il problema è riuscire ad individuare la relazione tra questa sindrome e l’invecchiamento fisiologico.
• Classici esperimenti dimostrano che i fibroblasti si moltiplicano un numero di volte che è in diretta relazione con la longevità della specie. Così i fibroblasti di topo (vita massima 3 anni) si dividono circa 15 volte, quelli di uomo (vita media 79 anni) circa 50 volte mentre quelli delle tartarughe Galapagos (vita media stimata 170 anni) arrivano a replicarsi fino a 90 volte.
• Salvo rare eccezioni, per ogni specie, compresa quella umana, il maschio vive meno della femmina. Questo fenomeno è stato messo in relazione con la possibile presenza di qualche gene presente nei cromosomi sessuali che possa influenzare la vulnerabilità a malattie degenerative.
- Cromosomi di una cellula umana divisi in 23 coppie di cui una è definita coppia di cromosomi sessuali (nella figura sono evidenziati i cromosomi sessuali X-Y di una cellula di un maschio).
In particolare, l’attuale attenzione degli studiosi è focalizzata essenzialmente su due teorie dell’invecchiamento, che vedono entrambe come attore principale il DNA:
- 1 - Teoria della senescenza programmata (detta anche teoria fondamentalista oppure, con termine suggestivo, teoria dell’orologio biologico): secondo questa ipotesi l’invecchiamento sarebbe il risultato di un programma genetico predeterminato, che configurerebbe una sequenza ordinata di espressioni genetiche differenti, analogamente al processo di sviluppo. In parole più semplici, secondo questa teoria la senescenza dipenderebbe da una serie di eventi già programmati, almeno in via generale, fin dal momento della nascita. Sembrerebbe, dunque, che nel codice genetico vi siano non soltanto le informazioni necessarie alla duplicazione e alla differenziazione della cellula ma anche le informazioni che portano alla sua stasi ed infine quelle che ne decretano la morte. Si può così supporre che un vero e proprio orologio biologico marchi il ciclo vitale della cellula portandola inevitabilmente (anche se attraverso modulazioni operate da ormoni, sostanze metaboliche e sostanze assunte dall’ambiente) verso l’inattività e la morte. Il controllo di tale orologio sarebbe modulato sì ma mai abrogato, tranne nel caso di cellule che diventano "immortali" per processi tumorali.
- 2 - Teoria della senescenza non programmata (detta anche teoria stocastica): secondo questa teoria l’invecchiamento sarebbe invece un fenomeno del tutto casuale, dovuto all’accumulo di errori acquisiti nel corso del tempo dalle molecole contenenti l’informazione genetica a causa di stress, infezioni, traumi, fattori dietetici negativi, sollecitazioni varie. Secondo quest’altra ipotesi, dunque, si invecchierebbe soltanto a causa dell’impatto con l’ambiente e non per eventi già "scritti", predeterminati. I deficit dell'invecchiamento sarebbero cioè il risultato dell'accumulo di danni a carico del materiale genetico, danni che ridurrebbero progressivamente la funzionalità delle cellule, fino a causarne la morte.
Nonostante il gran numero di teorie diverse, la maggior parte dei ricercatori è comunque d'accordo sul fatto che l'invecchiamento non sia il risultato di un singolo evento o meccanismo, ma di un insieme di processi che agiscono in modo concertato.
CONCETTO DI NORMALITÀ NELL’ ANZIANO
Come abbiamo già accennato, anche in presenza di alterazioni multiple l’organismo umano, nel suo complesso corpo-psiche, è spesso in grado di fornire aggiustamenti, compensi, che limitano i danni e reintegrano via via un nuovo equilibrio ad un livello di solito meno elevato ma adeguato all’età. Questi compensi sono però molto variabili da soggetto a soggetto e quindi si è portati a valutare i diversi parametri clinici più nell’ambito del singolo individuo che non rispetto a riferimenti di ordine generale della popolazione. 
Ciò non toglie che sia necessaria una certa definizione della normalità degli anziani, anche se le difficoltà sono obiettivamente enormi sia sul piano pratico (difficile reperimento di adeguate casistiche da cui attingere valori di riferimento) sia sul piano teorico ( difficoltà di trovare valori-soglia al di qua dei quali si possa parlare di invecchiamento fisiologico e al di là dei quali si debba parlare di malattia).
Una esemplificazione ci viene data dal comportamento della pressione arteriosa nella popolazione: convenzionalmente noi medici abbiamo deciso che deve considerarsi iperteso un individuo adulto con valori uguali o superiori a 160/95, ma non si tratta altro che di un artificio che noi facciamo, un artificio certamente "logico" ma comunque arbitrario.
 

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