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lunedì 21 maggio 2012

STORIA DELLA POLIZIA E SUA ORGANIZZAZIONE


Tesi di Laurea in Sociologia Generale.

 In nome del “dovere”.

Selezione e Formazione degli operatori dell’ordine.

CAPITOLO PRIMO di Giuseppina D'Auria
Non vi è Stato al mondo che tra i suoi ordinamenti non ponga e risolva, in qualche misura e pro-tempore, sin dal primo atto costitutivo, il problema dell’“ordine”, dell’”uso della forza” al servizio dell’ordine. Per quanto riguarda il nostro Paese, dal Risorgimento la storia della Polizia italiana ci accompagna  fino ai giorni nostri. E’ nel momento della costituzione dello Stato nazionale che re Carlo Alberto introduce la nuova denominazione di Pubblica Sicurezza: nasce in Italia con il Regio Decreto n. 798 del 30 settembre 1848; “l’importanza di tale atto risiede nel fatto che la struttura di polizia già esistente diviene civile” (1). Solo nel 1852 con la legge di Pubblica Sicurezza si crea una forza di natura civile, il nuovo Corpo militarizzato delle Guardie di P.S., esclusivamente dipendente dal Ministero dell’Interno (2).  Nel 1852, con la legge sull’organizzazione del personale dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, venne istituito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza che, creato prima a Torino e Genova, nel 1867 si estese progressivamente in tutte le Province del Regno durante il governo Ricasoli. “Nel 1860 il segretario generale del Ministero dell’Interno è Silvio Spaventa, professore di filosofia cui viene affidato l’incarico di redigere il regolamento per il Corpo: la posizione dell’”uomo  a servizio dell’ordine” che ne deriva è “una via di mezzo tra l’ordine monastico (il celibato è obbligatorio per le guardie) e la necessaria obbedienza cieca ed assoluta allo Stato (l’arruolamento avviene in ambito provinciale sotto il controllo diretto dei Prefetti)” (3).“C’era nella polizia, alla fine del secolo, un tale stato di disordine che rendeva impossibile un’efficiente lotta contro i cosiddetti delinquenti (4); l’uso delle forze dell’ordine fatto al fianco dell’esercito era in chiave antipopolare: il brigantaggio con la sua spietata repressione ne sarà testimonianza più eloquente” (5). “Nel biennio  1876-78 il Ministro dell’Interno  è Nicotera: ma nemmeno con l’avvento della sinistra storica si ha una inversione di tendenza. La politica dell’ordine pubblico si adegua al criterio, seguito dalla destra, del “prevenire, non reprimere” che, tradotto in pratica “significava anticipare i disordini con arresti preventivi e con restrizioni della libertà di riunione e di movimento”(6).
Col governo Depretis, nel 1876, si avviò un periodo di riforme e riordinamenti nella Pubblica Sicurezza: Successivamente anche Crispi mise mano alla riforma con la fondazione, nel 1890, di un nuovo Corpo, le Guardie di Città, nel quale confluirono le Guardie di Pubblica Sicurezza e le Milizie Municipali.
Nel 1852, con la legge sull'organizzazione del personale dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, venne istituito il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza che, creato prima a Torino e Genova, nel 1867 si estese progressivamente in tutte le Province del Regno durante il governo Ricasoli.
Dopo la costituzione dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza nacquero la Milizia Comunale e la Guardia Nazionale (7). La creazione del Corpo delle guardie di città (Legge n. 7321 del 21 dicembre 1890) in sostituzione di quello delle guardie di p.s. appare connessa al “tentativo di Crispi di centralizzare l'istituto, attribuendo i compiti della polizia municipale ad un corpo nazionale unico: tale nuova denominazione parrebbe indicare anche un tentativo di fornire una corrispondenza tra funzione svolta e nome, tale da eliminare qualsiasi equivoco tra corpo della p.s. e Carabinieri.) Ciò si può inquadrare in un progressivo spostamento  dell'azione di repressione dal piano militare  a quello di polizia” (8).  Dopo la spietata repressione operata dal generale Bava Beccaris a Milano ed il tentativo  di involuzione che ne segue, con l'avvento di Giolitti il Corpo si rafforza considerevolmente,  nell'ambito  della  politica  giolittiana “tendente a sviluppare le istituzioni democratiche liberali”(9). Dal punto di vista dell'ordine pubblico la  posizione  di  Giolitti  risulterà  modificata almeno nella forma rispetto a quella pratica fino ad allora;  ma  “con l'accentuarsi  delle  tensioni sociali dovute alla crescente presenza dei lavoratori e delle loro organizzazioni nemmeno Giolitti rinuncia  all'uso  repressivo  delle  forze  dell'ordine, pur limitandolo” (10). Nel 1902, con Giolitti, nacque la prima Scuola di Polizia Scientifica.
 Nell’ottobre 1919 il governo Nitti diede vita alla Regia Guardia di Pubblica Sicurezza (25.000 uomini impegnati nell’ordine pubblico) “che, contrariamente a quanto previsto per il precedente corpo, viene considerata come parte integrante delle forze armate dello Stato”, e gli Agenti Investigativi (8.000 uomini con incarichi di alta qualificazione professionale). “Fu una scelta di matrice essenzialmente politica: ossia il frutto del tentativo di riassorbire tutti gli elementi di disordine che potevano essere costituiti dalla disoccupazione post bellica degli ex combattanti rientrati dalla Prima Guerra Mondiale e privati di sbocchi nelle forze armate dello Stato”. Entrambi i Corpi vennero sciolti nel 1922.
Tre anni dopo, nel 1925, con Regio Decreto, “la Regia Guardia venne sciolta e fu costituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, di cui si servì il regime nei primi anni di assestamento. “Si trattava di una polizia non inquadrata nell’organizzazione statale e fedele sotto il profilo politico”(11). Appena consolidato il fascismo, Mussolini volle ricostruire la p.s. che tornò alla denominazione di Corpo di Agenti di p.s., contemporaneamente la Milizia venne privata delle attribuzioni di polizia”. “La pressione cui vengono sottoposti gli uomini della P.S. determina situazioni di scontento sempre più frequenti e condizioni di vita estremamente disagiate: non ci sono orari prestabiliti di lavoro, non è previsto  il giorno di riposo settimanale, gli stipendi sono ancora molto bassi, gli alloggi  per coloro che non hanno famiglia sono inadeguati se non malsani; inoltre il Regolamento prescrive un’età per contrarre il matrimonio (28 anni) oppure avere maturato almeno sei anni di servizio, ma tutto è subordinato a rigorosi accertamenti sulla moralità della futura consorte e della sua famiglia fino alla 7° generazione: uno zio suicida o un nonno incarcerato possono costituire motivo ostativo alle nozze (12)”. A ciò si abbina una gerarchia impreparata, inefficiente, spesso guidata esclusivamente da interessi personali, che si serve dei regolamento militari per rendere ancora più gravosa la vita  dei dipendenti, in molti casi compiendo soprusi. Per fare un esempio dei condizionamenti sulla vita affettiva e sociale delle Guardie, Paloscia racconta che “quando la fidanzata era in attesa di un figlio la soluzione era il matrimonio religioso. Tutto doveva avvenire in gran segreto, come per Renzo e Lucia, altrimenti l’agente correva il rischio di restare senza lavoro (13). Dal punto di vista del lavoro i mezzi tecnici di cui dispone la P.S. sono vetusti (nell’immediato dopoguerra si vanno a ripescare le jeep ed i mezzi pesanti abbandonati dagli alleati), mancano collegamenti radio, le stesse suppellettili vengono fornite da qualche occasionale benefattore. Le voci di dissenso sono fidamene annullate grazie alle cosiddette ‘aggregazioni (giustificate formalmente con esigenze di servizio) che si trasformano in trasferimenti dei responsabili. Altra arma in possesso dei vertici della P.S. è l’allontanamento coattivo dall’Amministrazione: si tratta di un provvedimento sempre praticabile nei confronti del personale ‘ausiliario’ o ‘aggiunto’, che deve attendere molti anni prima di veder consolidata la propria posizione lavorativa, ma anche il personale ‘effettivo’ può essere allontanato rapidamente, magari con la minaccia della denuncia al tribunale militare (14). Nonostante l’esistenza di tali circostanze sfavorevoli “si ha notizia di varie forme di protesta, forse connesse all’immissione massiccia di ex partigiani nella struttura della P.S.; ma di tali proteste non è pervenuta altra testimonianza storica se non il documento dei cosiddetti ‘Agenti Democratici, redatto il 21/2/1947, conservato presso la Camera del Lavoro di Genova, che risulta inviato alla Costituente, dove però non trova sbocco in alcuna riforma legislativa (15). Di tale documento colpiscono l’essenzialità del testo e la precisione con cui sono enumerate le richieste di vari miglioramenti.
Come tutte le opere e le operazioni umane neppure l’organizzazione dalle Polizia sotto il Fascismo era impenetrabile; infatti come scriveva Massimo Buggea “il Corpo degli agenti di p.s. non è integralmente votato alla logica imposta dal Fascismo: i dissensi sono tali da indurre il governo, nel 1928, ad emanare un decreto nel quale prevede la dispensa dal servizio per gli ufficiali e gli impiegati che non danno completa garanzia di fedele adempimento dei doveri e che comunque siano in posizione incompatibile rispetto alle direttive politiche generali del governo”. A partire dal 1926, sotto la gestione del prefetto Bocchini, i compiti della polizia crescono in modo abnorme anche nel campo amministrativo, dove lo Stato subordina il rilascio di qualsiasi licenza all’esistenza dei presupposti dell’ordine pubblico e dell’utilità per il regime (17). L’opera di Bocchini è rivoluzionaria per il periodo in cui viene concepita: comincia con la creazione della Divisione di Polizia Politica (i cui uffici provinciali sono diretti da funzionari di polizia ma dipendono dai Prefetti, spesso di nomina politica, che, dipendenti dal Sottosegretario all’Interno, sfuggono al controllo del Prefetto Bocchini) e della Divisione di Polizia di Frontiera e dei trasporti. Nel giro di circa un anno ristruttura sia la Direzione Generale sia gli uffici periferici e getta le basi di una polizia che sarà la più moderna d’Europa (18). “L’istruzione del personale viene migliorata con un conseguente innalzamento delle condizioni degli operatori nei settori della preparazione professionale, della disciplina e della stima per il proprio lavoro, nonostante permanga un diffuso malcontento derivante dalle disagiate condizioni economiche. Tutto l’apparato viene reso più agile, rinforzato e dotato di mezzi tecnici più efficienti (19). Bocchini fu il creatore della moderna polizia italiana: una polizia che, oltre a costituire un ottimo strumento di prevenzione e di repressione è adeguata a tastare il polso dell’opinione pubblica, mentre la stampa, sottoposta a censura, non può più assolvere a tale compito.  Come afferma Paloscia “la polizia durante il regime, artefice Bocchini, ebbe una sola faccia in cui fu molto produttiva, quella della repressione contro gli oppositori politici, per cui fu chiamata polizia fascista per far intendere che si era sposata con la dittatura”(20). Nonostante questo clima “non mancano nella p.s. esempi di umanità e di professionalità, come testimoniano i numerosi episodi di solidarietà da parte di appartenenti al Corpo verso esponenti dell’opposizione salvati dalla prigione se non dalla morte. Inoltre non è irrilevante il contributo del Corpo alla resistenza, mentre è del tutto inutile il tentativo di Mussolini di ricostruire una polizia asservita compiuto nel novembre 1943, istituendo la Guardia Nazionale Repubblicana e la Milizia Ausiliaria Repubblicana: dopo pochi mesi degli appartenenti a queste due formazioni si allontanarono portando con loro le armi e si ebbero numerosi episodi di sabotaggio” (21). Il 31 luglio 1943 il governo Badoglio militarizzò la P.S., con esclusione dei funzionari e del personale addetto alla polizia femminile (si trattò di un provvedimento provvisorio che avrebbe dovuto essere revocato con il mutare della situazione storica; “al contrario la p.s. è rimasta strutturata militarmente fino alla legge di riforma attuata nel 1981”) e il  primo governo Bonomi, formato dopo la liberazione di Roma istituì il nuovo Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza (decreto del 2.11.1944), interamente dipendente dal Ministero dell’Interno. Per “impedire che la polizia del nord Italia fosse troppo politicizzata e sindacalizzata al termine della lotta di liberazione, il governo Bonomi emanò un decreto che prevedeva il divieto per il personale civile e militare dell’amministrazione della p.s. di appartenere a partiti politici o ad associazioni sindacali anche se a carattere apolitico”.
Dopo la caduta del fascismo il governo Badoglio militarizza gli agenti di p.s., già strutturati in modo paramilitare ma il cui personale godeva di uno stato giuridico civile (22). “Proprio alla vigilia della Liberazione e mentre in Italia si stanno per avviare processi di cambiamenti sociali nel nuovo clima politico di libertà, la polizia resta relegata al ruolo di scomodo trait d’union con il passato regime, senza possibilità per un suo sviluppo né per un serio inserimento nella vita del Paese” (23).
Il referendum del 2 Giugno 1946 mutò, com'è noto, la forma istituzionale dello Stato italiano. Sia pure non in misura schiacciante, la forma repubblicana prevalse su quella monarchica (nota a piè di pagina Esattamente, 12.717.923 furono i voti in favore della Repubblica, 10.719.284 quelli per la Monarchia; i voti nulli 1.458.150. Questi i dati che il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione Giuseppe Pagano lesse nella Sala della Lupa, alla Camera dei Deputati, il 18 Giugno successivo.
Un passaggio non indolore segnò la storica data, poiché non poche furono le riserve avanzate dalla parte perdente, invano controbattute dal governo in carica con ripercussioni popolari che raggiunsero qua e là punte altamente drammatiche). Il Re Umberto II, prima di lasciare l’Italia, nonostante il parere dei sui più vicini consiglieri, tagliò, come si suol dire, la testa al toro: anche e soprattutto per non voler esser causa di ulteriori sciagure per l'Italia, già tanto provata, sciolse dal giuramento le Forze Armate e le organizzazioni civili dello Stato e, nel pomeriggio del  10 Giugno,  dall'aeroporto di Ciampino, partì in volontario esilio per il Portogallo (Cintra prima, Cascais dopo) (24).
 Con la Repubblica la Polizia ebbe “compiti molto gravosi e l'ordine pubblico fu uno dei principali problemi del Paese. La costituzione della "Celere", nel primo semestre del 1946, fornì la Pubblica Sicurezza di uno strumento flessibile particolarmente adatto per gli interventi di ordine pubblico” (25).
Una data importante, dunque, quella del 2  Giugno 1946 nella storia d'Italia e, come tale, ricordata pressoché ogni anno con feste e parate militari, talune davvero imponenti, alle quali, fino alla Legge di riforma del 1981, partecipò sempre brillantemente la Polizia con rappresentanze degli istituti d'istruzione, dei reparti ad inquadramento diretto, della Stradale e degli squadroni a cavallo. I momenti e le date che segnano la storia della Polizia in Italia non devono trarci in inganno in quanto costituivano i riferimenti di massima di processi dolorosi e complessi, “la seconda guerra mondiale era da poco finita, ma le innumerevoli ferite da essa inferta, erano tuttora sanguinanti e soprattutto gli animi erano esacerbati da odi violentissimi contro coloro che, volenti o nolenti, avevamo portato il Paese alla rovina. E c'era stata poi la lunga guerra civile, che aveva scavato solchi profondi in larghi strati del popolo italiano. I partiti politici ne catalizzavano i diversi sentimenti e speso li esasperavano; talché la dialettica democratica, che avrebbe dovuto avere come limite invalicabile il rigoroso rispetto reciproco delle idee, trovava cento pretesti per superare questi argini e dilagare in sopraffazioni e violenze. II principale bersaglio delle controversie era, appunto, l'istituzione monarchica, considerata la causa prima dei tanti mali piombati sull'Italia e, quindi, bubbone da estirpare a tutti i costi. Gli avversari di tale concezione, che non erano pochi, reagivano, di conseguenza, con pari determinazione e furore” (26). In questa fase che segna il rischioso passaggio da una forma di Stato ad un’altra un contributo notevole fu dato dalla Polizia, “che si trovò, si può dire quotidianamente, in quella lunga rovente vigilia, in mezzo a mischie furibonde per salvaguardare le ancor deboli strutture istituzionali, garantire le libertà democratiche e difendere l'incolumità stessa degli antagonisti. Quel periodo ormai così lontano rappresentò davvero, per la nostra Polizia, una prova estremamente significativa di maturità. Essa, probabilmente, fu la prima, tra gli organismi preposti al mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna, a concepire l'altissima delicatezza politica dei suo ruolo. ‘Sub lege libertas’, il motto che si diede e che seppe subito onorare con fatti inoppugnabili, sovente pagando prezzi non lievi in termini umani. …Spesso, in non poche circostanze eccezionalmente drammatiche, la Polizia risultò la sola barriera fisica - a volte esile barriera, forte soprattutto della sua dignità, peraltro non una volta soltanto apprezzata dalle stesse fazioni contrapposte - ad evitare lo straripamento delle passioni nell'illegalità e nel danneggiamento, se non nella distruzione, di prestigiose sedi istituzionali, dalle conseguenze morali e sociali disastrose…”(27). Ricordando i colloqui avuti con gli agenti, con i dirigenti ed i direttori delle diverse riviste, questi motivi di scontento si ritrovano quasi tutti presenti nella realtà quotidiana odierna. Rimane d’augurarsi solo che quanto accadeva in passato, nel passato recente ed accade oggi non debba accadere in futuro. E ciò anche perché per via delle complicazioni del vivere sociale, tutte le forze dell’ordine saranno chiamate ad assicurare le più alte garanzie di democrazia alla vita civile.
Proseguendo nella nostra analisi “gli anni che seguono la fine della seconda Guerra Mondiale vedono un crescente impiego del la polizia da parte del governo come mezzo di controllo dell'ordine pubblico, mentre parallelamente, è costantemente disatteso l'impegno sul fronte della lotta alla criminalità: tale atteggiamento determina uno squilibrio nello sviluppo dell'organizzazione della p.s. tale da incidere profondamente sul suo grado di efficienza operativa e nei rapporti con i cittadini.  Del resto l'atteggiamento da parte della popolazione nei confronti delle forze dell'ordine è  riconducibile  al pessimismo nutrito dai cittadini verso l'intero   complesso   dell'attività   giudiziaria oltre che ad avere radici  nei  comportamenti spesso illegali,  autoritari  o lassisti  degli appartenenti alla forza pubblica” (29).
Il terzo governo De Gasperi, nato nel gennaio 1947, ha come titolare del dicastero dell’Interno Mario Scelba. Il 1° maggio 1947 la strage di Portella della Ginestra apre il periodo di crisi tra governo ed opposizioni di cui si aveva sentore dopo la sconfitta del “Fronte Popolare” nelle elezioni per la Regione Sicilia del 18 aprile 1947 (30). “Durante il 1947 c’è un crescendo di conflittualità nei rapporti tra il Viminale e le opposizioni” (31).
L’anno 1947 vede la riorganizzazione dei servizi di Polizia Stradale alle cui esigenze doveva provvedere il personale del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Buggea riferisce che “nel 1949 viene nominata una commissione parlamentare con l’incarico di stabilire se sia opportuno o meno convertire in legge il decreto del 1943, nonostante la sinistra si mostri preoccupata dall’uguaglianza prevista tra agenti di polizia e soldati, il decreto viene convertito in legge nel maggio 1949”. Intanto “…l'equipaggiamento  degli  uomini  della Celere viene ammodernato e potenziato mentre nuovi battaglioni vengono istituiti nelle città dove più forti sono i contrasti sociali;  le esigenze connesse all'ordine pubblico fanno si che anche i successori di Scelba (Fanfani dal 17 agosto 1953 e Andreotti dal 9 febbraio 1954) privilegino lo sviluppo di questi reparti” (32).
Paloscia fa un elenco dettagliato delle assunzioni e dei mezzi forniti alla Polizia in vista delle elezioni del 1948; infatti “per provvedere all’accasermamento i Prefetti hanno la facoltà di requisire per brevi periodi (6-10 mesi) edifici appartenenti al demanio, ad enti pubblici e a privati. L’armamento viene migliorato con la dotazione dei mitra e con la fornitura di autoblindo”(33). Sempre secondo la lucida cronaca degli eventi fatta da Paloscia, “durante il 1948 vi fu una vera e propria epurazione dei partigiani dalla Polizia” ad opera di Scelba il quale ammise “molti anni dopo, nel 1971 al quotidiani ‘Il resto del Carlino’, che la sua intenzione era di ‘far piazza pulita’.
La maggior parte dei partigiani si dimise perché subiva dalle gerarchie discriminazioni che riteneva motivate da volontà di persecuzione politica. La ‘Celere’,  inventata  dal  predecessore  di  Scelba,  il  socialdemocratico  Giuseppe Romita, “si trasforma da mezzo per sciogliere più rapidamente gli assembramenti  in un autentico esercito, pronto ad essere usato con durezza in qualsiasi parte dell'Italia” (34). Secondo Paloscia la Celere “nelle intenzioni di Romita doveva essere una struttura addestrata a far fronte ad ogni emergenza dell’ordine pubblico con interventi incruenti. L’uso dello sfollagente doveva sostituire l’impiego delle armi da fuoco, …e il carosello delle camionette …doveva aggiungere un fattore decisivo per la riuscita dell’intervento”(35).
Ma così non fu perché la Polizia fu dotata di armi da fuoco che superavano quelle delle altre specialità di polizia, quali la pistola calibro 7,65 e il mitra Beretta.
L’impiego della Celere nei servizi di ordine pubblico avrebbe dovuto rappresentare un passo avanti verso la strategia di polizia civile, ma si trasformò, nel 1949, “in una forza di controguerriglia, fornita di autoblindo, mitragliatrici pesanti e perfino mortai. I battaglioni Celere costituivano una specie di cintura di sicurezza intorno ai territori in cui si temeva potessero insorgere gravi emergenze”(36). Nel corso degli Anni Cinquanta furono introdotte le prime novità in tema di ammodernamento: una sala operativa al Viminale, un progetto per installarne altre nelle Questure. Si avviò della rete di collegamenti radio con le auto impegnate nei servizi anti-rapina. Crebbe la Polizia Scientifica, ma la novità assoluta fu l'istituzione del Corpo di Polizia Femminile (1959) con compiti limitati alla tutela delle donne e dei minori. Secondo Paloscia gli anni ’50 misero in evidenza “esitazioni dei pubblici poteri nel colpire i delitti di mafia… …i documenti degli archivi della Criminalpol dicono che fu una guerra di tipo gagsteristico tra i vari sodalizi mafiosi interessati a definire i confini territoriali e le competenze nella gestione delle nuove fonti di illecito guadagno” (37). Il periodo fino al 1968 sarà tranquillo sotto il profilo degli scontri di piazza. E’ interessante notare come durante questo periodo la realtà lavorativa per i componenti dalla P.S.  non subisca sostanziali modifiche: “nemmeno il memorandum Bye”, redatto dal colonnello inglese nel 1947, “su incarico della commissione alleata di controllo, per evidenziare i mali della Polizia con gli eventuali rimedi, riesce a scuotere l’atteggiamento apatico”, dovuto alle lacune di carattere sociale, “nei confronti di qualsiasi miglioramento”(38), causando il basso rendimento delle forze di polizia in Italia. Nelle riflessioni del Colonnello Bye “erano poste con rilievo le questioni dei bisogni vitali dei poliziotti, dei valori professionali, dell’autonomia dei progressi di carriera dal potere politico, del rapporto con la società.
Il colonello Bye è preciso nel proporre la cura per la p.s.: "Riorganizzazione della Polizia su basi regionali, con capi di ogni regione autorizzati a provvedere direttamente all'arruolamento; riconoscimento del diritto al giorno di riposo settimanale e al pagamento del lavoro straordinario; costituzione dì un comitato rappresentativo con la funzione di far conoscere ai massimi gradi delle gerarchie i problemi attinenti al benessere degli uomini del Corpo”(39). Paloscia in un paragrafo della sua opera, intitolato “il poliziotto negato”, fa il resoconto dello “stato di salute” della Polizia italiana, propagandato, all’epoca, come “eccellente”, ma solo sotto la facciata, poiché … “c’èrano i mali profondi che l’istituzione si trascinava da un secolo. E il più grave di questi mali, il distacco tra la Polizia e la società, impediva di scorgere come erano cresciuti i difetti della struttura e le sofferenze del personale” (40). Negli anni ’50 ogni lavoro di pulizia pesava sugli agenti; si poteva fare la doccia calda solo una volta la settimana; il vitto era scarso, raramente il poliziotto mangiava la carne; spesso i vincitori dei concorsi per sottufficiali dovevano rinunciare perché non potevano mantenersi al corso di specializzazione”(41). Le pagine di cronaca narrano di suicidi, dovuti alle pesanti condizioni di vita dei poliziotti, “tanto che negli anni ’50 il Viminale ne fece oggetto di una circolare con cui si invitavano gli ufficiali ad avvicinare e seguire attentamente gli uomini affidati al loro diretto comando, chiedendo, nei casi difficili, la collaborazione dei cappellani militari (42).
Paloscia racconta di come “i poliziotti avessero bisogno di sentire intorno a loro la stima dei cittadini”. Si sentivano ripagati assai più da questo che dagli apprezzamenti del governo e dall’autocompiacimento dei superiori.
Da una parte, i riflettori  del governo illuminavano l’immagine di una Polizia capace di garantire l’ordine e la libertà, dall’altra le campagne dell’opposizione denunciavano i maltrattamenti di indiziati durante gli interrogatori, gli eccessi nell’uso delle armi, gli abusi verso i cittadini, la tolleranza per i rigurgiti del fascismo, i compromessi con la mafia” (43).
Magistri, che ha vissuto in un’epoca immediatamente successiva la sua professionalità in Polizia ricorda in un suo scritto che “dal punto di vista del lavoro i mezzi tecnici di cui dispone la p.s. sono vetusti (nell'immediato dopo guerra si vanno a ripescare le jeep ed i mezzi pesanti abbandonati da gli alleati), mancano collegamenti radio, le stesse suppellettili vengono fornite da qualche occasionale benefattore”(44). 
Come narra Paloscia “il memorandum Bye era stato accolto con freddezza dal governo. Per molti anni ancora i poliziotti subirono l’isolamento, il valore della professionalità fu  condizionato dalle influenze clientelari, le caserme rimasero fatiscenti e prive di riscaldamento, l’addestramento scarso e fatto su modelli sbagliati. Dagli studi di Buggea è emerso che “le voci di dissenso venivano rapidamente  annullate  grazie  alle  cosiddette “aggregazioni”   (giustificate   formalmente   con “esigenze di servizio”) che si trasformavano in trasferimenti dei responsabili. Altra arma in possesso dei vertici della p.s. era l’allontanamento coattivo dall'Amministrazione: si trattava di un provvedimento sempre praticabile nei confronti del personale “ausiliario” o “aggiunto”, che doveva attendere molti anni prima di veder consolidata la propria posizione lavorativa, ma anche il personale “effettivo” puteva essere a1lontanato rapidamente, magari con la minaccia della denuncia al tribunale militare” (45). “Nonostante l'esistenza di tali circostanze sfavorevoli si ha notizia di varie forme di protesta, forse connesse all'immissione massiccia di ex partigiani nella struttura della p.s.; ma di tali proteste non è pervenuta altra testimonianza storica se non il documento dei cosiddetti  “Agenti  democratici”,  redatto  il  21 febbraio 1947, conservato presso la Camera del Lavoro di Genova, che risulta inviato alla Costituente dove però non trova sbocco in alcuna riforma legislativa”(46). Del documento, riportato integralmente sia in Marinelli che in Paloscia, colpisce l'essenzialità del testo ma anche la precisione con cui sono enumerate richieste di vari miglioramenti. Già al punto 1: "Dare al Corpo un completo aspetto civile togliendolo dalla situazione confusa in cui si trova" si coglie una problematica che resterà insoluta a lungo. La richiesta di cui al punto 2 troverà attuazione solo con la legge di riforma del 1981: "Le forze di p.s. chiedono di costituirsi in sindacato di categoria perché siano riconosciuti i loro diritti morali, materiali ed economici"; inoltre la richiesta  di  un  nuovo  regolamento  (punto  3), di varie migliorie  sotto  il  profilo  retributivo  e pensionistico,  la richiesta  del beneficio delle case popolari (punto 11) e di una valida assistenza sanitaria (punto 12);  infine  la proposta per l'abolizione delle punizioni  militari  con  l'instaurazione   di  un  diverso  regime  disciplinare (punto 13)(47). Nel campo della prevenzione e nella formazione del personale, l’istituzione rimase per tutti gli anni ’50 ai livelli denunciati dal colonnello Bye. Vicari, in quanto capo della Polizia, aveva in mente concetti di rifondazione, poiché, come riferisce Paloscia, volle “lo slogan ‘La Polizia al servizio del cittadino’ ben visibile in tutti gli uffici di polizia. …Voleva essere il portatore dell’idea che i referenti della polizia sono il Parlamento e la società. …Vicari ebbe anche il buon senso di suggerire costantemente moderazione nelle misure di ordine pubblico, ma non riuscì a far cessare definitivamente da parte delle forze di polizia il ricorso alle armi da fuoco” (48).
Negli Anni Sessanta fu istituita la Criminalpol. Ci fu anche una crescita nel campo della formazione professionale con l’istituzione nel novembre 1960 della divisione scuole della polizia e, nel 1964, l'Accademia che formava gli Ufficiali del Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. La cronaca storica della riforma Vicari trasmessaci da Paloscia evidenzia con amarezza quale “macigno pesava sulla condizione degli agenti: lo stato militare non ere solo una forma ma lo strumento oppressivo che negava l’esercizio dei diritti costituzionali a chi doveva prodigarsi per garantirli ai cittadini: Ogni rivendicazione degli agenti, ogni protesta, offendeva la gerarchia, era considerata insubordinazione; si rispondeva con le punizioni, l’espulsione dal Corpo, la denuncia ai tribunali militari” (49).
La filosofia di Vicari non migliorò il clima delle caserme, non attenuò le asprezze del rapporto gerarchico. Ogni critica, anche la più ovvia, doveva essere espressa solo in condizioni di sicura clandestinità”.
Vicari riassunse la filosofia di rifondazione delle scuole nove anni dopo aver preso la guida della Polizia. Nella presentazione al libro Le scuole di Polizia in Italia, edito dal Vicinale nel luglio del 1969, scrisse di aver riformato le scuole di polizia secondo due principi: “1, devono formare uomini preparati spiritualmente e tecnicamente a svolgere la funzione di polizia , quale è delineata dalla Costituzione della Repubblica; 2, devono raggiungere la massima efficienza tecnica attraverso un’accurata specializzazione”(50).
L’esperienza dell’Accademia, istituita nel 1964 “fu, nel complesso, positiva, produsse vari benefici… risolse la crisi che minacciava di portare all’estinzione l’organico degli ufficiali… Dalla vita civile non si presentavano candidati perché si chiedeva per l’ammissione al concorso la laurea e il servizio militare già fatto. Chi aveva quei requisiti preferiva cercare un impiego più tranquillo e più remunerativo…L’Accademia dava la possibilità di programmare la formazione dell’ufficiale sulla base delle esigenze della polizia… dei quadri preparati con cura a svolgere tutti i compiti propri dell’istituzione, …poiché fino al ’64 il reclutamento veniva effettuato fra gli ufficiali dell’Esercito, delle altre forze armate e fra i sottufficiali del Corpo, i quali venivano avviati a frequentare corsi di istruzione, di durata variabile a seconda della provenienza” (51), presso la Scuola Allievi Ufficiali e sottufficiali di Roma, attualmente sede dell’Istituto Superiore di Polizia.
Il  1969 è un periodo storico in cui iniziano le stragi e lo Stato è al centro di trame  e moti studenteschi; “treni e banche divennero obiettivo di attentati preannunciati… Vicari e il suo consigliere per l’ordine pubblico, il questore Troisi, migliorarono la protezione dei reparti per ottenere interventi più controllati e misurati nelle situazioni di emergenza”(52); l’elmo di plastica con visiera sostituì l’elmetto di metallo, il nuovo manganello, più lungo e morbido, avrebbe consentito di colpire da una distanza maggiore, provocando al contempo lesioni meno gravi…” (53). Gli Anni Settanta furono anche quelli della lotta al terrorismo: venne creato il Nucleo Operativo Centrale Sicurezza (Nocs). C’è una svolta nella lotta contro l’eversione; “il Viminale si riorganizza, vengono soppressi gli Affari Riservati, e nasce l’Ispettorato per la lotta al terrorismo (S.D.S.), affidato al questore Santillo. Finalmente un potere statale rompeva l’omertà con i poteri invisibili. Il rilievo di questo fatto sarà riconosciuto più tardi. Nel 1977 l’attività dell’S.D.S. si avviò alla conclusione in attuazione della riforma dei servizi segreti. Furono trasferiti ad un apparato nuovo, il SISDE, i principali compiti di ‘intelligence’ nella lotta al terrorismo, e fu istituito un braccio operativo contro l’eversione nell’ambito della direzione generale di P.S., l’UCIGOS” (54). Naturalmente la storia dei servizi segreti e delle tecniche operative usate è molto lunga e altamente istruttiva. Ma, per un’analisi, non basterebbe un’altra Tesi.
 Paloscia, in merito agli anni ’70, commenta che “difficilmente si potrà risolvere il problema dell’eredità del terrorismo se non si accetta come punto di partenza la consapevolezza che la natura dell’anomalia ha a che fare con sociopatie da noi stessi prodotte” (55). Nel 1981 comincia la "nuova era" della Polizia italiana. Viene approvata la Legge di Riforma della Pubblica Sicurezza (1° aprile 1981, nr. 121). La riforma “prese spunto dalle rivendicazioni portate avanti per quasi un decennio da un numero consistente di appartenenti, che avevano il comune obiettivo della revisione dell’istituto di polizia” (56).
La smilitarizzazione, le rappresentanze sindacali, le pari opportunità di carriera tra uomini e donne, sono alcune delle novità sostanziali della Polizia di Stato: è questa infatti la denominazione dell'Istituzione che va a sostituirsi alla precedente (Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza).
L'Amministrazione della Pubblica Sicurezza si configura come la cornice  complessiva entro la quale opera il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, responsabile del coordinamento tecnico-operativo di tutte le Forze di Polizia.
L'emergenza mafia caratterizza in maniera forte la fine degli Anni Ottanta fino ai nostri giorni, e determina le strategie di contrasto connesse a questo fenomeno criminale. Il Dipartimento risponde dando impulso alla creazione di strutture specializzate e instaurando una forte collaborazione operativa con le Polizie degli altri Paesi, collaborazione internazionale che è ormai diventata l'elemento essenziale della nuova Europa, alla cui domanda di sicurezza rispondono, dopo gli accordi di Schengen, l'Europol e le strutture ad esso collegate (57).
Lungo la stesura di questo capitolo, nel quale abbiamo seguito soprattutto un tracciato di tipo storico, abbiamo rilevato la lenta e costante crescita di una coscienza di categoria che, a volte, ha avuto momenti di incertezze e perplessità, ma, nell’insieme, di crescita. Si vedano le numerose riviste e le conquiste sindacali realizzate.















NOTE AL PRIMO CAPITOLO

1.          Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), Firenze, Università degli Studi di Firenze-Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”, A.a. 1989/1990, p. 12.

2.          Ibidem, cit., p. 14.

3.          Buggea Massimo, La Polizia di Stato in “I.P.A. Italia”, 1997, n. 1, p.2.

4.           Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 16.

5.          Ibidem, cit., p. 17.

6.          Ibidem, cit., p. 18.

7.          Ministero dell’Interno, Polizia di Stato-La storia, Roma, Ministero dell’Interno, 1999, p. 3.

8.          Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 18.

9.          Ibidem, p. 18

10.       Ibidem, p. 19.

11.       Ibidem, p. 21.

12.       Paloscia Annibale, Storia della polizia, Roma, Newton Compton, ottobre 1989, pp. 152-153.

13.       Ibidem, cit., p. 152.

14.       Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., pp. 22-23-24.

15.       Paloscia Annibale, Storia della polizia, cit., p.117.

16.       Scrive Paloscia che “l’Assemblea Costituente” non varò una riforma di Polizia,…non trattò in modo esplicito le questioni relative al modo di essere della Polizia, ma il testo della Costituzione, approvato il 22/12/1947, offriva ai Prefetti e agli operatori della Polizia un quadro di riferimenti che li collocava in una situazione nuova della società nazionale. Ma dovranno passare venti anni prima che ci sia coerenza tra i principi costituzionali e la qualità della Polizia. V. Paloscia Annibale, Storia della Polizia, cit., p.118.

17.       Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 22.

18.       Ibidem, cit., p. 23.

19.       Ibidem,  cit., pp. 23-24.

20.       Ibidem, cit., p. 25.

21.       Ibidem, cit., p. 26.

22.       Ibidem,  cit., p. 31.

23.       Paloscia Annibale, Storia della Polizia,  cit., p.119.

24.       Come ricorda ancora lo stesso Autore, “erano tempi, quelli, in cui i movimenti delle forze di Polizia erano affidati alle gambe dei singoli: autocarri e pullman vennero dopo, molto dopo. Ci si muoveva dalle caserme per tempo - anche di notte o in ore antelucane - e, perfettamente inquadrati, si  raggiungevano i posti di servizio a volte lontani chilometri. E, dopo ore ed ore di interventi snervanti, allo stesso modo si rientrava in sede. A rifocillarsi con le... minestrine in polvere degli americani). …Gran parte delle stesse scarpe calzate da quegli uomini erano appartenute a soldati alleati caduti”. V. Magistri Francesco, La Polizia all’alba della Repubblica, in “Fiamme D’Oro”- A.N.P.S., Maggio-Giugno 1999, n. 5-6, pp. 8-9.

25.       Ministero dell’Interno, Polizia di Stato-La storia, cit., p. 3.

26.       Magistri Francesco, La Polizia all’alba della Repubblica,  cit., p. 9.

27.       Ibidem, cit., p. 8.

28.       Anche Paloscia osserva che “la paga era bassa, l’accasermamento precario, molte notti si passavano all’addiaccio, il vitto era scarso, i mezzi di trasporto erano insicuri perchè si trattava di residuati bellici dell’esercito americano”. V. Paloscia Annibale., Storia della Polizia, cit., p. 136.

29.       Buggea Massimo,  La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981)-La polizia durante il fascismo, cit., p. 32.

30.       Paloscia Annibale, Storia della Polizia, cit., p. 119.

31.       Ibidem, cit., p. 120.

32.       Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981),  cit., p. 38.

33.       Paloscia Annibale, Storia della polizia, cit., p. 146.

34.       Ibidem, cit., pp. 38-39.

35.       Ibidem, cit., p. 146.

36.       L’equipaggiamento dei ‘celerini’ era costituito da mitra e pistole, tascapane contenente una bomba a mano, elmetto, occhiali di protezione per i gas lacrimogeni, guanti da motociclista, giubbone di panno, tuta da meccanico. Per la mitragliatrice pesante le istruzioni ministeriali avvertivano che doveva essere usata ‘per far fronte ad eventuali necessità eccezionali’… “Una forza di Polizia come la Celere non aveva riscontro in nessuna parte del mondo”. V. Paloscia, Storia della Polizia, cit., p. 147.

37.       Ibidem, cit., p. 142.

38.       Ibidem, cit., p. 150.

39.       Buggea Massimo,  La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981)-La polizia dalla caduta del fascismo al 1969, cit., p. 39.

40.       Paloscia Annibale, Storia della Polizia, cit., p. 151.

41.       Ibidem, cit., p. 151.

42.       Buggea Massimo,  La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., pp. 33-34.
43.       Paloscia Annibale, Storia della Polizia, cit., p. 154.

44.       Magistri Francesco, La Polizia all’alba della Repubblica,  cit., p. 9.

45.       Buggea Massimo, La questione del sindacato di polizia dalle origini alla legge di riforma della pubblica sicurezza (1974/1981), cit., p. 35.

46.       Ibidem, cit., p. 36.

47.       Ibidem, pp. 36-37.

48.       Paloscia Annibale, Storia della Polizia, cit., p. 187.   

49.       Le idee del ’68 crearono movimenti culturali e politici che ovunque trovarono resistenza, in ogni parte del mondo, in ogni settore della società, produssero forte conflittualità; le forme di lotta ovunque si organizzavano, avevano lo stesso carattere: erano spontanee, senza gerarchie, e riuscivano a far marciare insieme la gente. “L’esperienza del ’68”, a detta di Paloscia, “fece maturare la Polizia. Il difficile ruolo che fu chiamata a sostenere la rese consapevole che  al suo interno c’era molto da cambiare. Le immagini diffuse ogni giorno degli agenti che si battevano furiosamente con gli studenti produssero un interesse nuovo. Il poliziotto diventò il pianeta da esplorare e non fu più uno sconosciuto, …e i suoi superiori dovettero accorgersi che era un uomo pieno di bisogni”. Pier Paolo Pasolini pubblicò sull’Espresso dell’11 giugno 1968 dei versi, dando al poliziotto una connotazione di classe sociale. V. Paloscia Annibale, op. cit., p. 190.

50.       Ibidem, cit., pp. 187-189.

51.       Ibidem, cit., p. 189.

52.       Ibidem, cit., pp. 199 e 214.

53.       Ibidem, cit., p. 220 e  pp. 222-223.

54.       Ibidem, cit., pp. 253.

55.       Tinti Daniele, Dai Reali Carabinieri alla 121- Origini e storia delle Forze di Polizia in Italia, Perugia, Rodana, ottobre 1999, pp. 211-212.

56.       Ibidem, cit., p. 213. 57. Ministero dell’Interno, Polizia di Stato-La storia, cit., p. 3.
57. Ministero dell’Interno, Polizia di Stato-La storia, cit., p. 3

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