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martedì 27 marzo 2012

La flessibilità organizzativa

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Come ogni organismo vivente si adatta alle mutevoli situazioni del suo habitat, così le organizzazioni si trasformano e si adattano alle mutevoli condizioni del tempo economico, del dinamismo della concorrenza, della complessità dei mercati. La flessibilità organizzativa è la leva con cui le imprese, sospinte dall’innovazione o dalla necessità, modificano l’organizzazione del lavoro in termini di tempo, di spazio, di processi e di capitale umano. Lo scopo è di ottenere la massima efficacia operativa; si raggiunge quando la flessibilità organizzativa interagisce perfettamente con il capitale umano: adottando le norme della flessibilità coerenti con i criteri di gestione, individuando le metodologie di formazione adeguate ai cambiamenti organizzativi e aggiornando le competenze delle risorse umane con interventi formativi volti a implementare la cultura generatrice del business.
Inforgroup offre la necessaria flessibilità organizzativa e il capitale umano, interdipendenti, per assecondare nelle imprese le esigenze di produttività e la ricerca di una sempre maggior agilità.
Pertanto l’esperienza conta.
Applicare la conoscenza alla organizzazione del lavoro. Se l’adattabilità è un fine, la governance della flessibilità organizzativa è il mezzo. Quando l’impresa aumenta o diminuisce il peso della sua organizzazione, quando adatta il tempo dei lavoratori alle variazioni di tempo della produzione, quando non deve sostituire solo persone, ma anche persone di talento che impiega in ruoli diversi, quando riduce la complessità organizzativa affidando ad un outsourcer interi processi di lavoro o parte di essi, l’impresa utilizza gli strumenti della flessibilità organizzativa. Non sono strumenti che applicano al lavoro formule matematiche ma sono strumenti empirici collaudati solo dalle esperienze e naturalmente dagli errori, pertanto la soluzione più efficace si concretizza quando la si confronta con le soluzioni possibili, quelle che possono garantire risultati dello stesso tenore ma con differenti modalità organizzative. L’esperienza che conta è quella dei servizi per la flessibilità organizzativa.
Chi non li usa è perchè non li conosce. Invece chi li conosce e sa come usarli, gestisce l’organizzazione in un’epoca di instabilità disponendo di strumenti con cui adattare l’impresa ai rapidi cambiamenti, sperimentare nuove persone e nuovi processi senza correre rischi elevati. La decisione di quale intervento converrebbe adottare dipende dalle possibili soluzioni. Per esempio quando Inforgroup concerta con il cliente le modalità di utilizzo del lavoro a termine non dimentica di valutare alternative come l'outsourcing. Quando invece viene richiesto uno skill particolare, può diventare utile l’impiego dello staff leasing. L’alternativa allo staff leasing è la ricerca e selezione del candidato, seguita dal contratto a termine del cliente, alla cui cessazione la persona potrà nuovamente essere presa in carico da Inforgroup con la tipologia contrattuale che presenti la miglior convenienza organizzativa. Quando appare in tutta evidenza la soluzione di esternalizzare i processi, entrano in campo le “forze tattiche ” del Gruppo: Progetto Lavoro la società specializzata in outsourcing di processi e la società di consulenza organizzativa Sanmarco Consulting. L'esperienza del Gruppo, conta.
Diversi non si nasce, si diventa nelle imprese collaborative. L’effetto diversità si riscontra in Inforgroup e nelle società del Gruppo De Pasquale, Progetto Lavoro e Sanmarco Consulting, che basano il loro successo su una infrastruttura collaborativa e processi interdipendenti anche col favore della prossimità logistica. Una situazione speciale che incoraggia la collaborazione fra colleghi, i quali integrano le loro competenze assimilando gli uni dagli altri nuove conoscenze. Collaborando su progetti di outsourcing pluriennali con società di primaria importanza dei comparti Assicurativo, Banca e Finanza, Editoria, Grande Distribuzione, Manufactoring, Pharma e Servizi, Inforgroup ha acquisito le buone prassi della conoscenza organizzativa, e grazie alla profondità del coinvolgimento nelle analisi dei ruoli e dello skill, ha raggiunto la massima precisione e accuratezza nella elaborazione dei profili e di quanto sia propedeutico alla formazione delle persone. Pertanto è l’interlocutore naturale delle imprese che hanno bisogno di flessibilità organizzativa e di interventi formativi per adeguare le competenze ai nuovi standard di efficacia richiesti dalla evoluzione dei ruoli e delle mansioni. La diversità come risultato di esperienze condivise, conta.



I servizi al lavoro

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Allenare la conoscenza… è il modo per diventare efficaci. Confrontiamo l’allenamento della conoscenza con l’allenamento fisico. L’uno e l’altro hanno bisogno di un trainer che conosce i limiti ed il potenziale della persona e sappia identificare i giusti strumenti per conseguire i risultati. Solo che invece della visita medica, dei “pesi” o del “tapis roulant” l’allenatore della conoscenza prende in considerazione ciò che una persona sa e potrebbe realizzare, rendendola consapevole e orientandola al cammino che deve seguire, oppure mette in evidenza le sue capacità e potenzialità per farne, insieme con lo specialista di inforgroup, un bilancio e valutare le diverse ipotesi di miglioramento con percorsi formativi. Ci sono anche gli allenamenti straordinari come il coaching che si sviluppa su basi con forte valenza psicologica e lo scouting, che consiste nella ricerca di opportunità lavorative con accompagnamento all’ impresa di persone espulse dal lavoro, in cassa integrazione in deroga, in mobilità in deroga che vogliono rientrare dopo l’allenamento.

La formazione conta

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Nessuno dice il contrario…. tuttavia le organizzazioni che fanno appello alla formazione come fattore di tenuta e di sviluppo del business, non sono la maggioranza nel paese. E proprio chi ne avrebbe maggior necessità invece latita, anche se versa regolarmente il contributo al fondo professionale per la formazione continua. E’ il caso della piccola e media impresa a cui Inforgroup rivolge questo appello: "quando nell'organizzazione grande o piccola entra la formazione esce la sfiducia, entra il benessere lavorativo ed esce l’inefficienza, entra la padronanza dei ruoli e degli obiettivi ed esce la demotivazione, entrano l’ottimismo e l’impegno di imparare ed escono la visione pessimistica di se stessi degli altri e del futuro, entra il rinnovamento organizzativo ed escono ammuffite abitudini, entrano l’efficacia e l’energia mentale ed esce la vulnerabilità". Dopo 10 anni di attività formativa l’esperienza conta.

La selezione per elevate prestazioni

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Non è un modo di dire..o un modo di apparire; è più semplicemente il modo di Inforgroup di rispondere alle nuove necessità delle imprese emerse durante il recente ciclo di rallentamento economico.
Le spinte ad una maggior produttività ed il contenimento dei costi, hanno messo le aziende nella condizione di rivedere i processi organizzativi, accorciare il ciclo produttivo, realizzare una maggior integrazione delle funzioni accompagnata dalla riduzione dei livelli gerarchici. Un contesto nuovo nel quale le persone sono chiamate a svolgere più funzioni e diverse mansioni sia nella rotazione dei compiti che nella partecipazione simultanea a più attività. Alla base di questa rivoluzione organizzativa c’è la risorse umana, versatile, polivalente, con la passione dell’apprendimento, ed estremamente flessibile. Per queste persone sempre meno braccia e sempre più cervello la selezione per elevate prestazioni è il giusto riconoscimento del loro valore.

L'educazione formale

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Non è il “pezzo di carta”
che delimita il confine fra la passione per l’apprendimento e il perfetto agnosticismo di chi studia solo per conseguire un diploma o una laurea. Non è il pezzo di carta che può essere di aiuto se non si è imparato il “Metodo” di studio con cui si approfondiscono gli argomenti ed i concetti. Un punto a favore di chi eccelle nell'apprendimento. Costoro, avendo metodo, imparano più facilmente sia nei percorsi scolastici che in quelli organizzativi nelle aziende in cui dovranno mostrare il loro talento. Per la scelta delle persone per la propria organizzazione e per i clienti, Inforgroup considera preminenti la capacità e la motivazione all'apprendimento acquisiti nei percorsi di studio.
L’esperienza acquisita con anni di colloqui, confortata da riscontri oggettivi, evidenzia che le persone con una brillante educazione formale mantengono nelle organizzazioni un comportamento proattivo e responsabile, orientato a conseguire i risultati che l’organizzazione si aspetta da lui.

martedì 20 marzo 2012

La discalculia evolutiva


La discalculia evolutiva viene classificata come un disturbo specifico dell’apprendimento, in
assenza di ritardo mentale o altre patologie neurologiche. Comporta una difficoltà selettiva
nell’apprendimento dei concetti logico-matematici e può essere associata a dislessia.
In genere ci si accorge che un bambino è affetto da questo genere di disturbi soltanto al suo
ingresso nella scuola primaria. Il problema però risale ad un periodo anteriore e potrebbe essere
individuato attraverso segnali che, purtroppo, vengono invece sottovalutati dall’insegnante di scuola
dell’infanzia.
Secondo quanto indicato nell’ICD-10 ed in accordo con quanto descritto nel DSM-IV, i
sintomi delle difficoltà aritmetiche sono:
a) incapacità di comprendere i concetti di base di particolari operazioni;
b) mancanza di comprensione dei termini o dei segni matematici;
c) mancato riconoscimento dei simboli numerici;
d) difficoltà ad attuare le manipolazioni aritmetiche standard;
e) difficoltà nel comprendere quali numeri sono pertinenti al problema aritmetico che si
sta considerando;
f) difficoltà ad allineare correttamente i numeri o ad inserire decimali
g) problemi nella comprensione e nell’uso dei simboli durante i calcoli;
h) scorretta organizzazione spaziale dei calcoli;
i) incapacità ad apprendere in modo soddisfacente le «tabelline» della moltiplicazione.
Questa classificazione comprende varie forme di disturbo, tutte accomunate da deficit nelle
abilità di elaborazione numerica e di calcolo, ma con differenze considerevoli per quanto riguarda la
natura del deficit e le specifiche abilità compromesse: dalla comprensione dei simboli aritmetici,
alla comprensione del valore quantitativo dei numeri; dalla scelta dei dati per la soluzione di un
problema, all’allineamento in colonna; dalla semplice memorizzazione di combinazioni tra numeri
(come nel caso delle tabelline), all’uso competente delle procedure di calcolo.
Secondo la classificazione proposta da Trisciuzzi possiamo distinguere:
a) una discalculia legata a disturbi dello schema motorio, in cui è compromessa la
capacità di formarsi un’immagine mentale, che a sua volta sta alla base della
formazione del concetto di quantità;
b) una discalculia legata ad una difficoltà nel riconoscere i numeri, a leggerli secondo la
posizione delle cifre, a eseguire operazioni in colonna, a memorizzare tabellone e
così via. Questa forma sarebbe spesso associata a dislessia.
c) una discalculia legata ad una carenza nella formazione dei concetti di tempo e di
spazio e nell’attribuzione di un ordine cronologico alle operazioni e agli eventi.
Trisciuzzi pone l’accento sulle varie tappe della formazione del concetto di tempo che sta
alla base di tutte le operazioni logiche del bambino. Per il lattante fino ai sei mesi (quando inizia a
comparire una primordiale capacità di cogliere le modificazioni nell’oggetto esterno) il tempo non
esiste. Il bambino è governato dalle sensazioni di benessere e malessere ed è tutto incentrato sulle
informazioni provenienti dal proprio corpo. Ripercorrendo gli stadi di sviluppo del pensiero
individuati da Piaget ci si rende conto che il concetto di tempo come misura del movimento degli
oggetti all’interno dello spazio è una conquista raggiunta non prima dello stadio delle operazioni
concrete, cioè intorno agli otto anni, con la liberazione dall’egocentrismo spaziale e mentale. Prima
di questo stadio l’idea di tempo è inclusa in quella di spazio e si riferisce alla trasformazione degli
oggetti come risultato di una manipolazione che sottende unicamente una ricognizione percettiva e
non una reale consapevolezza della reversibilità delle operazioni logiche. La reversibilità è molto
importante perché permette al bambino di ricostruire la storia delle proprie azioni e di apprendere
da esse nuovi concetti e abilità, di riordinare cronologicamente un insieme di contenuti e di
anticipare le conseguenze di una determinata azione, avviandosi alla risoluzione dei problemi.
Un disturbo nell’apprendimento dei concetti logico – matematici non comporta
soltanto una diminuzione del profitto scolastico ma si traduce in difficoltà ben più gravi di
problematizzazione della realtà e di apprendimento di abilità sociali che richiedono la
reversibilità, la seriazione, la classificazione e la comprensione delle relazioni spaziali e
temporali.
La discalculia evolutiva rappresenta un fenomeno estremamente complesso. Dagli anni ’90
in poi gli studi scientifici si sono focalizzati meno sulle classificazioni e sulle descrizioni, per
occuparsi invece dei processi neuropsicologici alla base delle operazioni di calcolo. Gli studi,
condotti per lo più su soggetti adulti, cercando poi un riscontro nei bambini, hanno evidenziato che
la rappresentazione mentale della conoscenza numerica, oltre ad essere indipendente da altri sistemi
cognitivi, è strutturata in tre moduli a loro volta distinti funzionalmente. Il sistema di comprensione
trasforma la struttura superficiale dei numeri (diversa a seconda del codice, verbale o arabo) in una
rappresentazione astratta di quantità. Il sistema del calcolo assume questa rappresentazione come
input, per poi manipolarla attraverso il funzionamento di tre componenti: i segni delle operazioni, i
«fatti aritmetici» o operazioni base e le procedure del calcolo. I meccanismi di produzione
rappresentano l’ output del sistema del calcolo, forniscono cioè le risposte numeriche.
Secondo tale modello, nella produzione e nella comprensione dei numeri intervengono
meccanismi lessicali e sintattici, tra loro indipendenti, responsabili rispettivamente
dell’elaborazione delle singole cifre contenute nel numero e dell’elaborazione dei rapporti fra le
cifre che costituiscono il numero. L’elaborazione di un numero comporta inizialmente una sua
rappresentazione concettuale o semantica, tramite cui vengono identificati tutti gli elementi che
costituiscono il numero, specificando per ciascuno di essi le informazioni relative alla quantità e
all’ordine di grandezza. Tali informazioni regolano il lessico dei numeri e sono in stretta
interdipendenza con la sintassi che regola i numeri stessi (valore posizionale delle cifre).
Ricostruendo l’architettura del sistema di calcolo si è agevolati nell’individuazione di quelle
componenti il cui cattivo funzionamento compromette l’esecuzione del compito.
L’analisi degli errori commessi dai bambini e la conoscenza dei suddetti modelli di
elaborazione hanno permesso alla Temple di individuare tre tipi di discalculia:
1) La dislessia per le cifre, caratterizzata da difficoltà nell’acquisizione dei processi lessicali
sia nel sistema di comprensione del numero che di produzione del calcolo. La processazione
sintattica è intatta, mentre risulta compromessa la processazione lessicale per la selezione e il
recupero dei singoli elementi lessicali.
2) La discalculia procedurale è caratterizzata da difficoltà nell’acquisizione delle procedure
e degli algoritmi implicati nel sistema del calcolo. Il bambino affetto da questo tipo di discalculia
riesce a leggere e scrivere correttamente i numeri, ha compreso il significato di addizione,
sottrazione, etc. ma non è in grado di applicare le procedure necessarie all’esecuzione del calcolo
(ad esempio commette errori nell’incolonnamento, nel riporto, nel prestito).
3) La discalculia per i fatti aritmetici è caratterizzata da difficoltà nell’acquisizione dei fatti
numerici all’interno del sistema del calcolo. La capacità di elaborazione dei numeri è intatta, così
come la conoscenza delle procedure di calcolo, mentre risulta compromesso il recupero dei fatti
aritmetici.
Possiamo ipotizzare, quindi, che dietro questi differenti tipi di disturbi ci sia la
compromissione di processi mentali in qualche misura indipendenti.
Anche se la classificazione fornita da Temple è giudicata la più completa poiché fornisce
un’analisi dei tipi di errore in base ai modelli neuropsicologici che stanno dietro i processi di
calcolo, manca tuttora una modalità univoca di interpretazione, diagnosi e riabilitazione per le
discalculie.
Esistono tuttavia degli strumenti di diagnosi sufficientemente attendibili grazie a quali è
possibile focalizzare il problema ed elaborare strategie di intervento mirate.
Attraverso l’analisi degli errori commessi durante l’esecuzione di un compito è possibile
riconoscere le componenti del sistema di elaborazione che risultano compromesse ed individuare
una strategia d’intervento adeguata.
Seguendo la classificazione della Temple esposta poco sopra possiamo distinguere: a) errori
procedurali e di applicazione di strategie; b) errori nel recupero di fatti aritmetici; c) difficoltà
visuo-spaziali.
Esistono poi delle batterie di test che permettono di evidenziare le difficoltà in matematica,
ad esempio quelle proposte dal gruppo MT (AC-MT 6-11 e 11-14) e da Lucangeli e Tressoldi
(ABCA).
Nella scuola dell’Infanzia tuttavia non è possibile somministrare questo genere di prove. A
quest’età non i può ancora parlare di vera e propria discalculia, dal momento che il bambino non ha
ancora avuto accesso all’apprendimento formale dei fatti aritmetici. È possibile tuttavia rilevare
eventuali anomalie nelle abilità considerate prerequisiti per il successivo apprendimento attraverso
altri strumenti diagnostici in forma di questionario come il test IPDA di Tretti, Terrani e Corcella, o
altre checklist volte a verificare l’acquisizione di concetti spaziali e temporali (test TCR di
Edmoston e Thane) o di abilità cognitive in generale (la sezione “abilità cognitive” del LAP di
Kiernan e Jones, ad esempio).
Una volta rilevata l’anomalia è possibile approfondire la conoscenza dei processi che non
funzionano come dovrebbero, per elaborare un piano di intervento. Bisogna, cioè, osservare il
bambino durante l’esecuzione di vari tipi di compito (ad esempio, nelle attività di seriazione, di
classificazione, di riordino delle sequenze secondo la successione temporale, di confronto tra
quantità) e capire perché fallisce in quel compito. Bisogna, in altre parole, scomporre il compito in
varie fasi ed individuare l’anello mancante della catena.
Se il bambino non riesce ad eseguire un compito di classificazione, dobbiamo anzitutto
verificare che non ci siano a monte problemi di attenzione. Una volta escluso questo, passiamo ad
esaminare la sua capacità di discriminazione visiva, sottoponendogli stimoli sempre più ricchi di
particolari e dalle differenze sempre meno marcate. Se anche la discriminazione visiva è a posto,
dobbiamo verificare che il bambino sia in possesso delle abilità cognitive e linguistiche necessarie a
comprendere la consegna e a ricordarsene. Se i “processi che non funzionano” riguardano soltanto
l’esecuzione di compiti di natura logico-matematica, se vengono esclusi, cioè, carenze in processi
più generali di attenzione, comprensione e memoria, ci troviamo di fronte ad un potenziale soggetto
con discalculia evolutiva.
Questo non deve portarci a pensare che il nostro intervento debba consistere soltanto nella
proposta di operazioni logico-matematiche. Se il bambino, ad esempio, ha avuto difficoltà non
nell’individuare, ma solo nel raggruppare gli elementi simili e nel collocarli dentro un’area
delimitata da uno spago sul pavimento, non diremo semplicemente che quel bambino ha difficoltà
nel classificare gli oggetti, ma che ha soprattutto dei problemi di orientamento spaziale. In questi
casi è molto utile fare dei giochi motori che sviluppino le sue capacità di orientamento e favoriscano
l’acquisizione di concetti spaziali di base: sopra/sotto, dentro/fuori, davanti/dietro. Se la difficoltà
principale consiste nel nominare gli oggetti possiamo proporre giochi linguistici, filastrocche con o
senza accompagnamento musicale, tombole o altri giochi da tavolo in cui vengano coinvolte le
abilità lessicali. La conoscenza dei fatti aritmetici è legata al concetto di tempo, al concetto di
quantità e alle trasformazioni. Il concetto di tempo può essere sviluppato attraverso l’ascolto e
l’invenzione di storie, il riordino di fotografie scattate durante un’attività svolta a scuola dal
bambino stesso, la “lettura” di libri illustrati, l’ascolto di canzoni con un testo sufficientemente
lungo. La manipolazione di oggetti e materiali diversi favorisce l’acquisizione dei concetti di
quantità e di trasformazione.
Come si vede non occorre per forza predisporre delle attività specifiche per l’intervento
precoce sulla discalculia evolutiva nella scuola dell’infanzia. È auspicabile però condurre le
consuete attività didattiche con un “occhio di riguardo” per le abilità di cui abbiamo parlato poco
sopra. È anche molto importante organizzare gli spazi della scuola in modo da favorire
l’orientamento del bambino, fornire contenitori in plastica colorata di grandi e piccole dimensioni,
scaffali e cassetti contrassegnati da simboli noti al bambino. L’attività del “mettere in ordine le
costruzioni” non deve essere vista come sgradevole interruzione dei giochi, ma come una preziosa
opportunità per mettere in gioco le proprie capacità di classificazione. Il bambino prova una grande
soddisfazione nel mettere da solo, senza l’aiuto dell’adulto, ogni cosa al proprio posto; così come la
prova nel distribuire oggetti, nell’accumularli, nel nominarli e perché no nel trasformarli in
qualcos’altro.

Pedagogia della musica



Occuparsi di formazione musicale significa prima di tutto fare i conti con due realtà istituzionali.
La prima, quella di una scuola che fa difficoltà a non identificare la cultura con i saperi formali, già strutturati in discipline e aree di sapere ben definite. La seconda, quella di una cultura musicale che, condizionata da un’estetica romantica in cui l’arte viene relegata nella "bella apparenza", è scarsamente interessata alla didattica ( o, perlomeno, alla sua messa a tema consapevole perché anche quella solfeggistica è una didattica, sia pur negativa). Complice l’immobilismo delle due istituzioni, in entrambi i casi viene a mancare la messa a fuoco della questione centrale: la natura costruttiva dell’elaborazione della conoscenza. La costruzione della conoscenza, che nella dimensione musicale trova la sua più incisiva esemplificazione, ha una natura circolare . Essa parte dall’esperienza sensibile, corporea, per giungere a forme simboliche che poi si ripresentano
all’esperienza sotto forma di prodotti, di pratiche. Come ci ricorda la fenomenologia, ancora prima del linguaggio strutturato ( le strutture disciplinari o, nel nostro caso, la musica come forma elaborata), c’è uno strato più elementare, quello della corporeità percettiva, di cui le forme non sono che lo sviluppo. Le forme sono storicamente e culturalmente condizionate e hanno a che fare prima di tutto con la relazione sensoriale ed emotiva . La conoscenza è prima di tutto conoscenza sensibile. E’ da questo punto di vista che gli autori, dopo aver indagato quella via maestra della conoscenza che dovrebbe ispirare ogni didattica correttamente orientata, prendono in esame che cosa ciò possa significare nel campo della formazione musicale di base. Ponendosi dal punto di vista del bambino , con la sua multisensorialità , vengono indagati gli strati più elementari di senso dell’esperienza musicale (suono \ silenzio, forte \ piano, acuto \ grave, ecc.) che precedono naturalmente ogni visione di tipo prospettico, misurativo ( le durate, l’identificazione delle altezze, ecc.). L’intreccio naturale tra coppie primarie e forme organizzate (imitazione \ ripetizione \ variazione, contrasto \ opposizione, uniformità, figura \ sfondo, ecc.) va a costituire l’impianto di regole su cui possono essere costruite le produzioni musicali e articolato l’intervento pedagogico - didattico.
Nella parte terza del volume si contestualizza il discorso pedagogico fin qui prefigurato all’interno dell’organizzazione scuola, oggi impegnata nelle radicali trasformazioni connesse alla riforma dell’autonomia. Vengono così indagate le questioni della didattica della musica come progetto pedagogico (senso e significato di una progettualità didattica orientata alla forma ma aperta alla continua rinegoziazione ), del laboratorio musicale come luogo del "fare" produttivo di senso e di conoscenza e, infine, la questione cruciale della formazione degli insegnanti (viziata da sempre, come si sa, e più che in altre aree disciplinari, da una mancata formazione iniziale).
Il volume si conclude con alcuni capitoli dedicati alle proposte didattiche : prime esplorazioni e manipolazioni dei suoni ( esperienze multisensoriali delle coppie oppositive che costituiscono l’esperienza primaria del bambino con i suoni), parola ritmo, melodia (esperienze ritmico – melodiche con la voce, il corpo, gli strumenti: cellule ritmiche e ritmico - melodiche, brevi cenni di armonia), ascolto (esempi di percorsi di ascolto che, a partire dalle principali strutture compositive, portano a delineare, mediante giochi di improvvisazione creazione, nuovi percorsi da sviluppare in molteplici direzioni), sonorizzazione ( attività di esplorazione delle potenzialità espressivo - musicali presenti in un testo).
Il testo , dedicato principalmente alla formazione musicale di base , si rivolge a studenti di musica e di scienze dell’educazione, a insegnanti (in particolare della scuola di base e a quelli di loro che, con lo sviluppo dei laboratori musicali , intendono occuparsi di progettualità didattica e formativa con particolare riferimento alla musica) ad animatori musicali e culturali, a formatori.
A titolo esemplificativo, riportiamo di seguito due giochi musicali proposti nel volume, rispettivamente nel capitolo decimo (Prime esplorazioni e manipolazioni dei suoni) e undicesimo (Parola, ritmo, melodia. Esperienze ritmico - melodiche con la voce, il corpo, gli strumenti).
"Il direttore d’orchestra". Suono/silenzio, piano/forte. Prima esperienza di musica d’insieme
(p. 129).

Il direttore, in piedi in mezzo alla stanza, tende le braccia in avanti con i pugni chiusi uno vicino all’altro inducendo all’attenzione e al silenzio. Quando i pugni si aprono facendo vibrare le dita, tutti suonano il proprio strumento, ma quando i pugni del direttore d’orchestra tornano a essere chiusi ritorna il silenzio.
In questo gioco, grazie all’utilizzo dello schema corporeo e allo scambio di ruolo tra esecutore e direttore d’orchestra , si avvia in modo attivo e partecipato l’esplorazione dei principali elementi del linguaggio musicale, spesso basati su coppie oppositive come suono/silenzio, forte/piano, acuto/grave, crescendo/diminuendo.
Le braccia tese in avanti indicano che si deve suonare nella modalità piano , le braccia completamente aperte in fuori indicano il suono forte. Ciò accade solo se le mani sono aperte e le dita vibrano. Con i pugni chiusi ,infatti, in qualsiasi posizione c'è il silenzio. Come per la coppia suono/silenzio, anche qui la principale discriminazione è tra due polarità: il piano e il forte.
Giocando sull’intensità, il bambino percepisce prima di tutto la distinzione semplice e binaria forte/piano e, solo successivamente e con gradualità, riesce ad acquisire le altre gradazioni di intensità. Ecco perché partiamo prima dalla distinzione netta forte/piano e solo in un secondo momento inseriamo anche il crescendo e il diminuendo. Per far questo le braccia dell’insegnante si allargano lentamente facendo aumentare l’intensità del suono fino al massimo (braccia completamente aperte) e poi ritornano, sempre lentamente, alla posizione di partenza diminuendo gradualmente il suono.

"Una gru a spasso con un gatto". Dall’espressione ritmico -corporea a quella grafico - strumentale (pp.151 – 152).
L’insegnante disegna alla lavagna la figura della gru e ne imita l’andatura , portando verso l’alto un braccio e tenendo la mano racchiusa in avanti così da rappresentare il lungo collo con il grosso becco. L’altro braccio, piegato lateralmente e con dita appoggiate sulla spalla, rappresenta una delle due ali. le gambe si muovono lentamente con grandi passi. Ogni volta che i piedi dell’insegnante toccano il pavimento , tutta la scolaresca batte le mani sulle cosce e contemporaneamente dice: "Gru".
In questa prima fase del gioco i bambini sono impegnati in un lavoro di coordinamento oculo – verbo - motorio. Essi osservano, pronunciano la parola "gru" e battono le mani sulle cosce , guidati dalla cadenza lenta e regolare imposta dai passi dell’animale. Essi, pronunciando ripetutamente la parola "gru" determinano sequenze ritmiche regolari paragonabili a semiminime (1/4).
Ma ecco che la gru si ferma: ha visto un gatto, un suo vecchio amico. Questo nuovo personaggio si muove in modo differente dalla gru. Infatti cammina battendo forte il piede sinistro seguito subito da quello destro il quale, a sua volta, batte piano. Il ritmo della camminata del gatto è regolare ma più veloce rispetto a quella della gru. Corrisponde, più o meno, a una duina di crome (1\8 + 1\8). Come per la gru, anche in questo caso i bambini seguono i passi dell’insegnante - gatto e ritmano la camminata con la voce e con il gesto - suono. Il primo passo (quello forte), fa dire "Gat…" con la voce e battere un colpo sulle cosce , il secondo fa dire "…to" contemporaneamente a un battito di mani. Ora l’insegnante invita tutti i bambini a provare i passi della gru e del gatto. Per far questo suona i due tamburi grande e piccolo, con i quali ritma alternativamente le due andature. Quando i tamburi non suonano, tutti stanno fermi.
Inizialmente si ripete più volte lo stesso animale in modo che i bambini abbiano il tempo di provare, correggere (con l’aiuto dell’educatore ) e interiorizzare il coordinamento ritmico - corporeo necessario per fare il passo della gru e del gatto. L’insegnante o l’educatore mostra a questo punto come devono essere suonati sui tamburi i due ritmi. A turno ogni bambino prova a batterli mentre gli altri si muovono con il passo della gru o del gatto a seconda dell’indicazione che arriva dal compagno che sta suonando.
Esecuzione con lettura grafica. Riprodotte graficamente alla lavagna le due cellule verbo - ritmiche, i bambini leggono ad alta voce le varie sequenze. Contemporaneamente battono le mani sulle cosce in corrispondenza dell’accento tonico e le mani tra loro in corrispondenza dell’impulso debole.
Invenzioni di ritmi con gru e gatto. Dopo aver familiarizzato con il ritmo della gru e del gatto attraverso vari passaggi che hanno coinvolto i bambini dal punto di vista cognitivo, corporeo ed emotivo, siamo ora pronti per inventare semplici sequenze da scrivere ed eseguire con la voce, il corpo e gli strumenti. le due cellule ritmiche vengono combinate in vari modi.

La dislessia: come imparare a conoscerla


La dislessia evolutiva
La dislessia è un disturbo della lettura di natura neurobiologica che si manifesta in individui in età evolutiva privi di deficit neurologici, cognitivi, sensoriali e relazionali e che hanno usufruito di normali opportunità educative e scolastiche.
È un disturbo di automatizzazione delle procedure di transcodifica dei segni scritti nei corrispondenti fonologici in soggetti che non abbiano patologie o traumi a differenza della dislessia acquisita.
L’O.M.S, l’Organizzazione mondiale della Sanità, ha stabilito che il livello intellettivo deve essere nella norma, il livello di lettura deve essere significativamente distante da quello di un coetaneo, il soggetto deve essere indenne da problemi sensoriali e neurologici, il disturbo deve essere persistente e deve presentare conseguenze sulla scolarizzazione o nelle attività sociali in cui è richiesto l’impiego della lettura. È una condizione clinica che interessa circa un bambino ogni trenta e deve essere considerata non una patologia vera e propria ma una variante rispetto alla normalità.
La perdita della capacità di leggere in seguito a eventi patologici che comportano danni cerebrali viene invece definita Dislessia acquisita.
I bambini dislessici mostrano una inefficace automatizzazione del processo di lettura, abilità che dovrebbe appresa alla fine della seconda elementare circa ed essere strutturata dalla terza elementare, età in cui il bambino dovrebbe velocizzare la lettura e accedere direttamente al significato. Per quanto concerne la comprensione del testo succede spesso che bambini dislessici riescano a comprendere ciò che hanno letto anche con una qualità di lettura piuttosto scadente.
Da ciò si evince che i problemi di lettura del bambino dislessico riguardano la velocità e la correttezza di lettura e non la comprensione del testo cioè tutti i cosiddetti processi automatizzabili, diversamente da quanto accade ai “cattivi lettori” che possono oralizzare bene ma comprendono meno.
Alcune ricerche effettuate su soggetti della scuola media inferiore hanno evidenziato che in lingue cosiddette “trasparenti” come l’italiano (con un’elevata consistenza nelle corrispondenze grafema-fonema) il corso naturale della dislessia evolutiva indica che i ragazzi di queste età hanno migliorato sensibilmente le loro capacità di leggere correttamente anche le parole ortograficamente complesse, mentre la loro velocità rimane significativamente deficitaria. Da ciò si deduce che il vero “nocciolo duro” del problema sia il parametro della rapidità che sottende l’automatizzabilità dei processi.
A seconda della gravità dei soggetti essi possono essere classificati in:
· Medio-lievi con un buon compenso ed una fluenza di lettura sufficiente.
· Dislessici severi con discrepanza crescente che rende difficile la comprensione.
Fasi della dislessia evolutiva
Prime fasi di apprendimento ( 1° elementare)
· Difficoltà e lentezza nell’apprendimento del codice alfabetico e nell’applicazione delle “mappature” grafema-fonema;
· Controllo limitato delle operazioni di analisi e sintesi fomemica con errori che alterano in modo grossolano la struttura fonologica delle parole lette;
· Accesso lessicale limitato o assente anche quando le parole sono lette correttamente;
· Capacità di lettura, come riconoscimento di un numero limitato di parole note
Fasi successive (2°-4° elementare)
· Graduale apprendimento del codice alfabetico e delle “mappature” grafema-fonema;
· Possono persistere difficoltà nel controllo delle “mappature” ortografiche più complesse;
· L’analisi e la sintesi fonemica restano operazioni laboriose e scarsamente automatizzate;
· Migliora l’accesso lessicale, anche se resta lento e limitato alle parole più frequenti.

parliamo di... Assertività!


Assertività: Definizione
Essere assertivi significa comunicare in maniera appropriata i propri pensieri, le proprie idee, le proprie opinioni, i propri sentimenti. Significa rendere espliciti i propri bisogni, le proprie richieste, le proprie necessità.
Significa esprimere un'opinione, anche quando è contraria a quella dell'interlocutore.
Significa confronto.
La persona assertiva non cerca di vincere e prevaricare sull'altro; semplicemente cerca di risolvere i problemi e di ottenere il risultato migliore per tutti.
Assertività non è aggressività. La persona assertiva è meno aggressiva, meno arrabbiata, meno ansiosa.
Assertività non è passività. La persona assertiva è meno paurosa, meno timida, meno passiva.
Quando l'assertività è importante
è importante essere assertivi nelle circostanze che vengono generalmente ritenute "difficili":
Parlare in pubblico o con persone con cui non si ha famigliarità.
Fare richieste, chiedere favori.
Far valere i propri diritti, farsi rispettare.
Esprimere emozioni negative: lamentele, risentimenti, critiche, disaccordo o semplicemente il desiderio di essere lasciato in pace.
Rifiutare richieste, dire di no.
Esprimere emozioni positive, di gioia, orgoglio, attrazione, piacere. Fare complimenti.
Accettare i complimenti degli altri, senza negare o minimizzare.
Chiedere spiegazioni, chiarimenti.
Mettere in discussione gli atteggiamenti autoritari o basati sulla tradizione.
Conversare in maniera sicura e rilassata, esprimendo e condividendo opinioni, emozioni, esperienze.
I propri diritti

Identificare doveri e diritti
Essere assertivi significa esprimere, far rispettare, far valere, in maniera efficace, i propri diritti, nel rispetto dei diritti degli altri.
Per poter far valere i propri diritti è necessario capire quali sono i diritti di ognuno.
La nostra educazione ci porta a seguire delle regole, delle cose che pensiamo di dover o di non dover fare.
Non essere egoista, non essere emotivo, non fare critiche, non essere irragionevole, non disturbare o infastidire gli altri con i tuoi problemi, non lamentarti. Fai quello che ti dicono, aiuta sempre chi ne ha bisogno.
Sono regole molto sensate, ed è normale averle imparate, è corretto insegnarle ai nostri figli. Queste regole, però, vanno rispettate con intelligenza. Se rispettate sempre alla lettera ci portano ad un atteggiamento passivo e ci impediscono di far valere i nostri diritti.
Ogni tanto abbiamo diritto a pensare a noi stessi, ad esprimere il nostro stato emotivo, ad esprimere delle critiche o delle perplessità, a fare degli errori o a non essere troppo ragionevoli. Abbiamo il diritto di dire di no a chi ci chiede un aiuto, se dire di si comporta un costo troppo alto. Abbiamo diritto noi stessi di chiedere aiuto, di chiedere spiegazioni, di chiedere rispetto, di essere riconosciuti, di essere stanchi, di non avere tempo e, a volte, di non avere voglia.
I diritti
Il diritto di decidere della tua vita, di perseguire i tuoi obiettivi, stabilire le tue priorità.
Il diritto di avere e sostenere i tuoi valori, le tue credenze, le tue opinioni, le tue emozioni; il diritto di essere rispettato per questo, a prescindere dalle opinioni degli altri.
Il diritto di non dover giustificare o dare spiegazione delle tue azioni o dei tuoi sentimenti.
Il diritto di dire agli altri come desideri essere trattato.
Il diritto di esprimere te stesso, di dire "NO", "non lo so", "non ho capito", "non mi importa".
Il diritto di prenderti il tempo necessario per formulare le tue idee prima di esprimerle.
Il diritto di chiedere informazioni, di chiedere aiuto, senza per questo sentirti in colpa.
Il diritto di cambiare idea, di fare errori, a volte di comportarti in maniera illogica. A patto, naturalmente, di accettare le conseguenze del tuo comportamento.
Il diritto di piacerti, di accettarti anche se non sei perfetto. Di fare, a volte, meno del massimo delle tue possibilità.
Il diritto di avere relazioni positive, soddisfacenti che ti facciano sentire bene e libero di esprimerti onestamente. Il diritto di cambiare, o concludere le relazioni se queste non vanno incontro alle tue esigenze.
Il diritto di cambiare la tua vita, migliorarla, il diritto di evolvere, nei termini che tu ritieni opportuni.
Questi diritti, naturalmente, vanno esercitati con buon senso, ragionevolezza, intelligenza. Non riconoscere a se stessi questi diritti, però, può portarci a comportarci in maniera passiva in alcune circostanze, anche importanti, della nostra esistenza. Se permettiamo che i bisogni, le opinioni, i giudizi degli altri diventino più importanti dei nostri, rischiamo di renderci infelici, stressati, magari anche aggressivi. Assumere un atteggiamento anassertivo, passivo, significa comportarsi in maniera disonesta con se stessi.
Assertività ed egoismo
Essere assertivi non significa essere egoisti. Essere egoisti significa dare valore solo ai propri diritti, senza rispettare o comprendere i diritti degli altri.
Aggressività, prevaricazione, egoismo
La non assertività si può esprimere non solo nei termini di passività, ma anche in quelli di aggressività o prevaricazione.
Passività e moralità
A volte chi si comporta in maniera passiva pensa di essere più bravo, pensa che quello sia l'unico modo per essere giusti, buoni, corretti. In realtà il comportamento passivo non è né buono, né corretto, né giusto.
Le persone passive spesso mentono a se stesse, non rispettano se stesse, e dunque non sono sincere né corrette con se stesse.
Le persone passive non sono sincere, perché non dicono la verità sui loro sentimenti, sulle loro opinioni. Magari non dicono bugie, ma comunque lasciano credere agli altri cose non vere.
Se una persona si comporta in maniera passiva con il proprio partner impedisce alla relazione di crescere, di maturare. La relazione non può basarsi sul rispetto, sull'amore, ma sulla finzione, sull'umiliazione.
Comportarsi in maniera passiva non è corretto perché si impedisce una relazione costruttiva in cui le persone possano crescere.
I presupposti dell'assertività

Per essere assertivi è importante avere chiaro in testa alcune cose. In primo luogo, come abbiamo visto, è necessario essere consapevole dei diritti che ognuno di noi ha.
Se essere assertivi significa essere efficaci nelle circostanze difficili, vale la pena di capire quali sono, per ognuno di noi, queste circostanze. Dobbiamo dunque identificare quali sono le situazioni problematiche.
I nostri comportamenti possono essere efficaci se siamo consapevoli dei nostri obiettivi e dei valori che ci guidano.
Infine, dobbiamo identificare i comportamenti appropriati, al fine di essere efficaci e di evitare di metterci nei guai.
Identificare i problemi
Identificare le circostanze in cui ci comportiamo in maniera passiva, in cui non sappiamo dire di no, non riusciamo ad esprimere i nostri diritti, non riusciamo a fare delle richieste, a chiedere un favore. Non riusciamo ad esprimere un dissenso o una critica. Facciamo fatica ad esprimere le nostre emozioni, anche quando sono positive; ci è difficile dire ad una persona che ci piace. Quando qualcuno ci fa dei complimenti minimizziamo, neghiamo i nostri meriti. Quando non capiamo qualcosa ci vergognamo di chiedere spiegazioni. Se qualcuno si rivolge a noi in maniera autoritaria non ne mettiamo in discussione l'atteggiamento.
Questa passività ci rende depressi, nervosi, lamentosi e si ripercuote sulla nostra salute fisica.
Identificare le circostanze in cui ci comportiamo in maniera aggressiva - ad una critica, ad un conflitto, ad un contrattempo, ad una richiesta di chiarimenti, ad una richiesta di favore o quando qualcuno ci dice no.
Identificare le circostanze in cui ci comportiamo in maniera ansiosa, imbarazzata.
Identificare le modalità di asserzione appropriate in base al contesto
Essere assertivi non significa correre rischi inutili o "mettere il sedere nelle pedate". Dire sempre quello che si pensa costi quel che costi non è assertivo, perché è controproducente. L'assertività si basa sul concetto di efficacia. La finalità è quella di far valere i propri diritti, ed un comportamento controproducente non è assertivo.
L'atteggiamento assertivo si preoccupa di gestire i conflitti, non di farli precipitare. L'atteggiamento assertivo si propone di essere effettivo, corretto, appropriato.
Strategie assertive

Diventare assertivi non è semplice, non fosse altro perché significa essere efficaci nelle circostanze che consideriamo difficili.
Con la pratica si riesce ad essere efficaci con una certa naturalezza. Ma se abbiamo una storia di atteggiamenti passivi (o aggressivi) alle spalle, può essere utile adottare delle strategie e delle tecniche che ci aiutino ad affrontare meglio i problemi.
Proviamo ad identificare alcune strategie che possono risultare utili.
Identificare dei buoni modelli
Per imparare ad essere assertivi può essere utile studiare il comportamento degli altri, analizzarne gli aspetti positivi e negativi, capire se sono passivi o aggressivi o assertivi. Conviene identificare una persona che sa essere assertiva, e prenderla a modello.
Discutere del problema con qualcuno
Per affrontare al meglio una discussione è utile avere le idee chiare, è importante sapere come esprimerle ed è fondamentale poter confrontare il proprio punto di vista con quello di altri. Ecco perché un consiglio può essere quello di discutere il problema con un amico prima di affrontare l'interlocutore.
Il primo vantaggio di questa strategia è che, se si discute con qualcuno del problema prima di affrontarlo, è possibile avere l'opinione di altri, capire se il proprio punto di vista è falsato dalle emozioni o dalla rabbia.
Il secondo vantaggio è legato al fatto che lo scopo della comunicazione assertiva è quello di identificare delle buone soluzioni; confrontarsi con qualcuno può aiutare a trovare delle possibili soluzioni da presentare all'interlocutore al momento della discussione e della negoziazione.
Infine se ci si confronta con un amico è possibile fare un gioco di ruolo: l'amico può interpretare il ruolo dell'interlocutore e dunque si ha la possibilità di un allenamento, di prevedere le contromosse dell'interlocutore ed imparare così a rispondere a tono alle obiezioni.
Il dialogo assertivo passo per passo

Per aver maggiori probabilità di essere efficace nella propria comunicazione, può essere utile tenere presente, nella discussione, i seguenti passaggi.
Descrizione del problema
Descrivi il problema secondo la tua prospettiva. Cerca di essere il più specifico possibile. Evita accuse o lamentele generiche sulla persona o sulla circostanza problematica; critica il comportamento, non la persona. Cerca di essere obiettivo. Cerca di dimostrare che comprendi e rispetti i suoi motivi, le sue opinioni, il suo punto di vista.
Esprimi il tuo messaggio in maniera chiara. sii persistente e mantieni il fuoco della discussione sul tuo messaggio finché non è stato affrontato.
Espressione delle emozioni
Descrivi le tue emozioni, possibilmente usando la prima persona singolare, in modo da assumerti le tue responsabilità. Mi sento xxx perché yyy. Cerca di essere fermo e sicuro in quello che dici, sicuro di te stesso. Mentre discuti, però, non lasciarti travolgere dalle emozioni, non lasciare che le emozioni ti portino dove non vorresti.
Focalizzati sulle emozioni positive, soprattutto sugli aspetti positivi degli obiettivi che ti proponi.
Formulazione di possibili soluzioni
Suggerisci delle possibili soluzioni al problema che hai espresso. Descrivi i cambiamenti che vorresti o che vorresti fare, cerca di essere specifico su ciò che vorresti terminasse e ciò che vorresti che iniziasse.
Assicurati che le richieste e le proposte siano ragionevoli, tieni in considerazione le esigenze degli altri, mostrati aperto anche alle richieste di cambiamento degli altri.
Non fare richieste se non sei ragionevolmente sicuro di poter affrontare le conseguenze qualora vengano accettate.
Descrizione delle conseguenze delle scelte
Descrivi quali sono le conseguenze che tu prevedi in caso le tue richieste vengano accettate, e quelle che prevedi in caso le tue richieste vengano rifiutate.
Ascolto delle risposte
Ascolta le risposte. Rielabora il problema in base alle risposte che hai ottenuto. Riformula la questione, ribadendo le tue emozioni, le tue motivazioni e la natura del problema, integrandola però con le questioni emerse nella risposta dell'interlocutore. Cerca di delineare una linea d'azione che possa integrare le varie posizioni.
Negoziazione
Impegno di soluzione

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