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giovedì 15 febbraio 2018

Il sistema nazionale di valutazione scolastica per l'infanzia


Indicazioni per la compilazione del rapporto di autovalutazione della scuola dell’infanzia

Struttura del rapporto di autovalutazione
Il rapporto di autovalutazione è articolato in 5 sezioni. La prima sezione, Contesto e risorse, permette alle scuole di esaminare il loro contesto e di evidenziare i vincoli e le leve positive presenti nel territorio per agire efficacemente sugli esiti in termini di benessere e apprendimento dei bambini. Questi ultimi rappresentano la seconda sezione. La terza sezione è relativa ai processi messi in atto dalla scuola. La quarta sezione invita a riflettere sul processo di autovalutazione in corso e sull'eventuale integrazione con pratiche autovalutative pregresse nella scuola. L'ultima sezione consente alle scuole di individuare le priorità su cui si intende agire al fine di migliorare gli esiti, in vista della predisposizione di un piano di miglioramento.
1. Contesto e risorse
1.1. Modelli di offerta e tipologia di scuola dell’infanzia
1.2. Accesso al servizio e popolazione scolastica
1.3. Territorio e capitale sociale
1.4. Risorse economiche e materiali
1.5. Risorse professionali
2. Esiti in termini di benessere, sviluppo e apprendimento per i bambini
2.1. Risultati in termini di benessere dei bambini al termine del trienni
2.2. Risultati di sviluppo e apprendimento (incluse competenze di cittadinanza)
2.3. Risultati a distanza
3. Processi
o Pratiche educative e didattiche
3.1. Curricolo, progettazione, valutazione
3.2. Ambiente di apprendimento
3.3. Inclusione e differenziazione
3.4. Continuità e orientamento
o Pratiche gestionali e organizzative
3.5. Orientamento strategico e organizzazione della scuola
3.6. Sviluppo e valorizzazione delle risorse umane
3.7. Integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie
4. Il processo di autovalutazione
5. Individuazione delle priorità
5.1. Priorità e Traguardi
5.2. Obiettivi di processo
Utilizzo delle domande guida
Le domande poste all'inizio di ciascuna area rappresentano uno stimolo per riflettere sui risultati raggiunti dalla scuola in quello specifico settore. Partendo dalla lettura dei dati, si chiede alla scuola di riflettere su
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quanto realizzato in ogni ambito, focalizzandosi specificatamente sui risultati raggiunti ed individuando punti di forza e di debolezza. Successivamente sarà possibile esprimere un giudizio complessivo sull’area, sintetiz-zato dall’assegnazione di un livello (vedi rubrica di valutazione).
Utilizzo degli indicatori
Gli indicatori messi a disposizione rappresentano un utile strumento informativo, se utilizzati all’interno di una riflessione e interpretazione più ampia da parte della scuola. Gli indicatori consentono alla scuola di con-frontare la propria situazione con valori di riferimento esterni. Pertanto gli indicatori contribuiscono a sup-portare il gruppo di autovalutazione per l'espressione del giudizio su ciascuna delle aree in cui è articolato il Rapporto di Autovalutazione. L'espressione del giudizio non deve derivare dalla semplice lettura dei valori numerici forniti dagli indicatori, ma dall’interpretazione degli stessi e dalla riflessione che ne scaturisce. D'al-tra parte è necessario che i giudizi espressi siano esplicitamente motivati in modo da rendere chiaro il nesso con gli indicatori e i dati disponibili.
Utilizzo della rubrica di valutazione
Per ciascuna area degli Esiti e dei Processi la scuola dovrà esprimere un giudizio complessivo, utilizzando una scala di possibili situazioni che va da 1 a 7. Le situazioni 1 (Molto critica), 3 (Con qualche criticità), 5 (Positiva) e 7 (Eccellente) sono corredate da una descrizione analitica. Le descrizioni non hanno la pretesa di essere una fotografia della situazione di ciascuna singola scuola. Esse servono piuttosto come guida per capire dove meglio collocare la propria scuola lungo una scala. Le situazioni 2, 4 e 6 non sono descritte e permettono di posizionare le scuole che riscontrano una corrispondenza tra la descrizione e la situazione effettiva solo in relazione ad alcuni aspetti. Per esempio la scuola può scegliere di indicare 4 se ritiene che la propria situa-zione sia per alcuni aspetti positiva (5) mentre per altri presenti qualche criticità (3). Per ciascuna area si chiede infine di motivare brevemente le ragioni della scelta del giudizio assegnato, indicando i fattori o gli elementi che hanno determinato la collocazione della scuola in uno specifico livello della scala.
Criteri per fornire una motivazione del giudizio assegnato
Al termine di ciascuna area degli Esiti e dei Processi è presente uno spazio di testo aperto, intitolato “Moti-vazione del giudizio assegnato”. In questo spazio si richiede alla scuola di argomentare il motivo per cui ha assegnato un determinato livello di giudizio nella scala di valutazione. Per la compilazione di questa parte si suggerisce di tenere conto dei seguenti criteri generali:
• Completezza - utilizzo dei dati e degli indicatori messi a disposizione centralmente (MIUR, INVALSI, ecc.) e capacità di supportare il giudizio individuando ulteriori evidenze e dati disponibili a scuola.
• Accuratezza - lettura dei dati e degli indicatori in un'ottica comparativa, confrontando la situazione della scuola con i valori di riferimento forniti (medie nazionali o regionali, andamento generale delle scuole di riferimento, ecc.).
• Qualità dell’analisi - approfondimento e articolazione della riflessione a partire dall’analisi dei dati disponibili. L'analisi è articolata quando non ci si limita a elencare i dati o a descrivere ciò che la scuola fa, ma i dati vengono interpretati tenendo conto della specificità del contesto, oppure si evidenziano i punti di forza e di debolezza dell'azione della scuola, o ancora si individuano aspetti strategici.
Glossario dei termini utili:
Glossario  
Progetto pedagogico – costituisce il documento in cui si definisce l’identità e la fisionomia pedagogica del servizio (o di un insieme di servizi), declinandone gli orientamenti e gli intenti educativi di fondo ed esplicitandone le coordinate di indirizzo metodologico. Il Progetto pedagogico rappresenta un documento d’impegni con il territorio e un piano generale di azione, contestualizzato e realizzabile, in cui sono precisate le finalità, i criteri e le modalità di organizzazione educativa del servizio.  
Progetto educativo – è il documento di pianificazione dell’attività educativa elaborato periodicamente da ciascun gruppo o sottogruppo di lavoro. Il progetto educativo traduce a livello operativo le intenzioni educative e le linee metodologiche definite nel Progetto pedagogico, descrivendo le ipotesi di lavoro concrete e flessibili che  verranno privilegiate in un periodo di riferimento (l’anno scolastico, alcuni mesi, ecc.). Il progetto educativo rappresenta, quindi, un piano di lavoro più o meno strutturato che può riguardare l’insieme delle proposte formative che vengono fatte da un servizio o da una singola sezione durante un anno scolastico, oppure alcuni percorsi più specifici di durata limitata o riferiti a determinate attività. I modi di definizione e sviluppo di un progetto educativo  
sono legati alle diverse forme di progettazione che vengono privilegiate all’interno dei servizi.  
Dimensione – è un elemento (che può essere declinato analiticamente in ulteriori aspetti più specifici, cioè sottodimensioni) che si considera come significativo per poter valutare le caratteristiche qualitative di un servizio. Definire le dimensioni vuol dire individuare quali aspetti devono essere analizzati per poter giudicare la qualità di un servizio.  
Criterio – i criteri di valutazione sono le idee di qualità in base alle quali si giudicano le caratteristiche di un servizio. I criteri sono riferiti alle varie dimensioni che sono state identificate. Se quindi, ad esempio, l’organizzazione dello spazio è una dimensione che si ritiene importante per poter valutare la qualità educativa di un servizio per l’infanzia, un criterio di valutazione può essere rappresentato dalla “differenziazione funzionale dello spazio”.  
Indicatore – è una variabile che, misurata, dà informazioni su un particolare fenomeno o situazione consentendo di verificare la realizzazione o il grado di realizzazione di un criterio. Il termine “indicatore” fa riferimento ad un dato numerico che possiede un alto contenuto informativo e che ha la funzione di mettere in evidenza  (“dare indicazioni”) in forma estremamente sintetica una determinata situazione; ad esempio, in relazione ad un possibile criterio di “vivibilità” dello spazio di un servizio educativo per l’infanzia, un indicatore potrebbe essere il “numero medio di mq per bambino”. Gli indicatori devono rispettare alcuni requisiti di ordine metodologico e di natura concettuale, in particolare devono essere rilevanti, cioè misurare una caratteristica importante della situazione che si vuole esaminare.  
Descrittore – quando la dimensione dell’indagine è qualitativa, al termine “indicatore” è più opportuno sostituire quello di “descrittore”. In questo caso ci si riferisce, infatti, ad “una descrizione (basata sull’uso del codice alfabetico) di caratteristiche o di proprietà che hanno la capacità di rappresentare una determinata situazione” (Cecconi, 2001); esempi di descrittori sono i contenuti delle voci in cui si articolano le scale di valutazione della qualità educativa del nido. Anche i descrittori precisano le evidenze che occorre rilevare per verificare il grado di realizzazione di un criterio.  


domenica 4 febbraio 2018

“La prospettiva interculturale e inclusiva nella costruzione ed attuazione del curricolo”.L'esperienza positiva di una insegnante.

Giuseppina D'Auria - anno 2005.
Questo argomento di studio, quale nostro lavoro di chiusura del corso universitario, s’immerge nell’attualità, in “media res”. Abbiamo motivo di augurarci che questi nuovi livelli di conoscenza possano creare ulteriori spazi di reciproca comprensione tra tutti coloro che, per sensibilità personale e professionale, vogliano “documentarsi circa i percorsi strutturali che sorreggono l’edificio dell’attuale assetto dell’Istruzione in Italia, della società contemporanea e della stessa civiltà moderna”. 
Una lettura socio-pedagogica dei processi sociali e culturali, alla base della definizione della forma sociale dell’inclusione e della multiculturalità, sembra quindi indispensabile nel più generale obiettivo di ricerca costituito dallo spazio sociale dell’istruzione pubblica. La questione sembra spostarsi sempre di più non solo nel rapporto dell’attore sociale con la formazione ma anche con una inclusione/integrazione non ancora pienamente realizzata a cui il soggetto è predisposto, ancora prima della sua nascita. 
La sfida pedagogica da portare avanti è quella di concedere, attraverso un’offerta di formazione completa e articolata su più temi, l’opportunità per i docenti di acquisire e sviluppare nuove competenze per leggere e affrontare la complessità delle sfide che la scuola sempre più multiculturale e plurilingue ha di fronte a se nei prossimi anni. Tale prospettiva costituisce un’ulteriore novità a livello di concettualizzazione, della formazione e dell’istruzione, sia per le strategie didattico - pedagogiche, sia per l’impatto nel sistema sociale e culturale, in quanto gli interventi non potranno più essere a livello di gruppi ma bensì su basi condivise ed estese a tutto il territorio nazionale.
Una visione sociale della pedagogia sembra quindi spostare l’attenzione nella promozione e nella informazione della formazione, sui determinanti sociali, culturali, politici ed economici dell’istruzione in termini di fattori e variabili in relazione fra di loro senza dimenticare che al centro vi è l’individuo. È in questa prospettiva di tipo relazionale che la pedagogia intende guardare alla inclusione sociale e agli aspetti interculturali della formazione, in una realtà post-moderna in cui i valori sembrano spostarsi continuamente verso un individualismo sistemico, una esigenza di efficienza, una moltiplicazione dei ruoli dell’attore sociale. Ci è sembrato opportuno consultare una serie di lavori concernenti la Pedagogia e la Sociologia.  Dagli autorevoli interventi sono emerse tutte le scottanti problematiche della società in trasformazione, coinvolta nei processi di globalizzazione e stravolta nei suoi più intimi valori etici. 
Concludono la nostra Tesina alcune rapide ed essenziali considerazioni in materia di progettazione e attuazione del curricolo con riferimento all’esperienza positiva vissuta in qualità di insegnante.
   Nella nostra scuola la “società multietnica” è ormai una realtà. Quindi l’accoglienza e l’integrazione non possono essere solo dei termini “astratti” ma, nella concretezza, entrambi devono essere visti come “risorsa” e non come “problema”. Attualmente gli alunni stranieri vivono ancora situazioni di disagio nei rapporti con la scuola, con la società, con i coetanei. Tendono a chiudersi nel loro gruppo etnico, limitando i rapporti con gli italiani al solo momento scolastico. Col crescere queste situazioni problematiche sono alimentante da una tendenza assai diffusa tra i giovani all’isolamento, alla non verbalizzazione dei propri pensieri, in definitiva da una difficoltà nella comunicazione, che riguarda anche i ragazzi italiani. Per affrontare il problema dell’integrazione degli alunni provenienti da altri stati, bisogna perseguire linee programmatiche che consentano di vedere l’inserimento degli stranieri come un arricchimento per l’intero Istituto. Compito della scuola quindi è quello di facilitare la pacifica convivenza di culture, usi e costumi diversi. La sola iscrizione non risolve i problemi e non consente di utilizzare al meglio la risorsa “diversità” come effettiva esperienza di apprendimento e di scambio tra tutti gli alunni, italiani e non, se non è supportata da interventi di sostegno all’integrazione.
Essendo la scuola una realtà educativa e partendo dal principio che la “diversità” è arricchimento sia personale che culturale, la scuola intende offrire in particolare a questi alunni, un ambiente ricco di stimoli e prioritariamente favorire l’integrazione attraverso l’apprendimento dello strumento fondamentale di comunicazione che è la lingua italiana. Il fenomeno immigratorio è in continua evoluzione e necessita di costante monitoraggio, al fine di coglierne i mutamenti in atto. L’immigrazione straniera è un fenomeno articolato, in costante crescita ed oggi in piena fase di assestamento e di stabilizzazione. Poiché la stabilità comporta la necessità di favorire il processo di integrazione della popolazione immigrata con la società ricevente, convivenza decisiva e necessaria per lo sviluppo del Paese, la scuola intende prestare particolare attenzione in quanto sede privilegiata di integrazione per le nuove generazioni, luogo di confronto di lingue, culture, religioni e sistemi di valori diversi.
Di particolare importanza risulta la capacità della scuola di facilitare la comunicazione con la famiglia dell’alunno, prestando attenzione anche agli aspetti non verbali, facendo ricorso, ove è possibile a mediatori culturali o ad interpreti, per superare le difficoltà linguistiche e facilitare la comprensione delle scelte educative della scuola.
Ogni persona è di per sé già essere interculturale, portatore di discontinuità, di viaggi fatti o sognati, portatore di storie, di progetti e pezzi di vita; ognuno ha una sua propria lingua che attraversa tutte le sue lingue, ognuno sceglie appartenenze, riferimenti, ed in questa ricchezza e complessità ogni incontro ha la possibilità di essere o diventare un ricco scambio di esperienze e di punti di vista, un momento ispiratore di relazioni e di curiosità.
In quest’ottica diviene centrale anche il lavoro sul punto di vista, sul contatto con le emozioni e con le dinamiche del gruppo, sul conflitto. Una cultura della responsabilità e la gestione costruttiva e nonviolenta dei conflitti suppongono tappe primarie: la valorizzazione di sé e degli altri, la fiducia la ricerca del contatto, la comunicazione e la cooperazione: giocare -e fare - con e non necessariamente contro, riconoscendo il contesto ed attuando un approccio aperto e legato, ancora una volta, alla scelta.
È importante mettersi in gioco, non scendendo a compromessi ma assumendo che esistono altre possibilità oltre a quella (o quelle) proposte dal singolo, che pur riveste un ruolo importante e sul quale vengono spesso riversate aspettative e speranze -al limite della delega - dalle famiglie e dai ragazzi stessi. La scuola deve tornare ad essere – o imparare ad essere- palestra di attività sociali, luogo di educazione, non soltanto luogo deputato ad una pur necessaria attività didattica.
Un punto importante diviene così l’offerta di strumenti che permettano il decentramento, attraverso il riconoscimento dei diversi punti di vista, comportamenti, giudizi e idee, e la successiva decostruzione di aspettative sugli altri che nascono spesso nascoste ma che indirizzano le modalità relazionali e di ascolto, restituendo significato a fatti ed atteggiamenti, e differenziando il comportamento dalla persona. Il decentrarsi stimola criticità, interesse, spinge a mettere in relazione fatti, tempi, luoghi che troppo spesso appaiono non collegati. La scuola veicola interpretazioni assimilate con imprinting duraturi e spesso definitivi, molte affermazioni si radicano in convinzioni non sottoposte a verifica successiva, per esempio che i poemi omerici siano i più antichi, che Marco Polo sia il più grande viaggiatore del Medioevo... Il decentramento permette di prendere coscienza del modo in cui tendenze etnocentriche influenzano il nostro modo di “narrare”, stimola l’analisi critica, fa affiorare stereotipi radicati e meno avvertiti, evidenzia l’attitudine a saldare le “fratture” e le “crepe” interpretative del sistema, preziose opportunità di accesso ad altre chiavi di lettura, ad altre costruzioni di senso (Antonella Fucecchi, Strategie di decentramento).
Si deve stimolare la ricerca, riportarla (o portarla) ad essere l’elemento principe delle relazioni, ridimensionando così le aspettative sul risultato, sulla soluzione: ogni legame, ogni collegamento messo in atto costituisce la vera ricchezza dell’individuo; l’osservazione di questa ricchezza è difficilmente percepibile ad uno sguardo veloce e poco attento, ad uno sguardo che non ha riflettuto sul continuo ricorrere a schemi precostituiti e cornici, gestalt.
Il primo passaggio in chiave interculturale consiste nel lavorare per la creazione di uno spazio e di un tempo dove ogni aspetto della persona, legato al momento specifico, intra ed inter-relazionale, di contesto e di scelta abbia la possibilità di mostrarsi o meno, e possa essere riconosciuto come principalmente riconducibile ad un processo di opzione personale, legata ai fattori che in quel momento la stessa persona decide di porre come i motivatori avanzati e prioritari della propria decisione. In questo spazio ed in questo tempo affiora potente la necessità di uno sguardo plurale, del riconoscimento della presenza di un pluriverso, formato esso stesso da pluriversi. Affiora la necessità di affrontare un cambio di paradigmi, esplicitando e portando in superficie quello che giace un po’ (o un bel po’) a fondo. Il primo passo decostruttivo rispetto agli impliciti, ai presupporti, agli stereotipi è individuarli, portarne la presenza a conoscenza di se stesso.
Il ricorso a metodologie ecologiche, decostruttive prima e successivamente costruttive plurali, il sostegno di un approccio umoristico che si concentri sull’ascolto e sulla relazione in un’ottica cooperativa e non competitiva ci chiama, si rende necessario. Così come dovremo imparare ad analizzare l’ovvio, il sicuro, il certo per aiutarci a scoprire schematizzazioni, categorizzazioni, rigidità cognitive e anche emozionali. Dovremo imparare a interrogarci sulle parole usate, sulle cornici invisibili che contengono (e concorrono alle scelte) ogni azione portata in essere, abbandonare le dicotomie scontate (il giusto e lo sbagliato, ad esempio), domandarci come mai abbiamo già la risposta, chiederci da dove arriva, perché abbiamo proprio quella risposta. Ascoltare le parole dette da me stesso, ricercare il motivo della scelta di una parola rispetto ad altre: le mie parole hanno detto quello che volevo dire? Ho detto davvero solamente quello che ho detto?
Dovremo ragionare sull’apprendimento, su come si apprende, su cosa avviene e cosa concorre a farlo avvenire. L’apprendimento porta al suo interno i legami tra ambiti cognitivi e relazionali: e senza la supremazia di alcuno, ma in costante definizione e ridefinizione di legame. L’apprendimento è un processo costantemente presente, attivo anche in quei momenti apparentemente distanti dall’oggetto stesso dell’apprendimento. Il campo primario di indagine per cambiamenti ampi deve necessariamente essere me stesso, la mia persona, in relazione alle varie relazionalità che mi fanno essere. Devo iniziare a cercare, muovermi dallo stato precedente al sapere di non sapere. I pesci non sanno dell’acqua nella quale nuotano. Ma quei pesci non sanno, al tempo stesso, di non sapere dell’acqua nella quale nuotano. Ecco: la mia situazione decostruttiva di partenza dovrà essere Non sapere di non sapere. È questo è il passo che può spingermi a imparare a farmi domande. Il ragionamento (solamente) razionale non mi porta lontano in questo percorso: ecco allora che devo interrogarmi, venire in contatto con le emozioni, con gli imbarazzi, con lo spaesamento. Allora mi apparirà, seppur ancora offuscato e poco delineato, che quello che definisco normale o addirittura naturale non mi sarà molto normale, e di sicuro non si avvicinerà a niente di naturale. La revisione del curricolo e dei saperi in chiave interculturale presuppone questa serie di passaggi e trasformazioni precedenti relativamente alla metodologia, all’approccio relazionale, di osservazione, di invenzione e costruzione della didattica, e siamo sicuri di non aver esaurito la ricerca in tal senso.
La presa di consapevolezza della presenza e dell’attivazione di queste cornici entro cui si inseriscono i saperi curricolari proposti in classe diviene quindi un fattore che discrimina la buona riuscita di ogni intervento interculturale. I saperi proposti – anche a scuola - non sono mai neutri, veicolano messaggi meta, che stanno sopra, che parlano di me insegnante, di me formatore, di me persona. Le scelte, le parole, le successioni, non sono fattori valorialmente neutri, asettici, ma sono portatori di valori, di sensi esistenziali, sono scelte educative. Certo, i saperi, scelti attraverso certi canoni, contribuiscono a costruire le identità personali, ma il cambiamento di saperi, da solo, risulta di difficoltosa attuazione e presenta comunque una efficacia limitata, se non preceduto e supportato da un cambiamento di metodo. Serve un pensiero circolare, di rete, che tenga di conto della relazione, delle relazionalità, delle connessioni, dei collegamenti: dei nessi.
La presente riflessione ha la finalità di proporsi quale stimolo negli insegnanti per una presa di consapevolezza delle cornici entro cui si inseriscono i saperi curricolari che sono soliti proporre in classe, portando allo scoperto le opzioni epistemologiche che le conformano e che non sono mai valorialmente neutre. L’intreccio tra epistemologie/presupposti del pensiero e valori dovrebbe essere analizzato attraverso una serie di attività volte a evidenziare le rigidità cognitive (ed emotive) che fanno parte di impostazioni di pensiero, acquisite spesso in maniera acritica, e che di fatto non corrispondono più al mutato scenario (sociale, scientifico, culturale …).
In questo senso, è importante capire come può essere impostato con modalità riflessiva e partecipativa un percorso di presa in analisi e revisione dei curricola, non tanto quindi intesi come contenuti disciplinari specifici, ma come schemi culturali di riferimento, adottando modalità di lavoro partecipative e cooperative fra gli insegnati.
Rispetto agli insegnanti, condividiamo e supportiamo una immagine della loro funzione come professionisti specializzati, capaci di innovare e sperimentare anche dentro una situazione di grande difficoltà della scuola pubblica, recuperando il senso che, al di là di difficoltà e crisi strutturali o congiunturali, la scuola rappresenta per i bambini e le bambine (e quindi per l'intera società) uno degli agenti più potenti di formazione dei cittadini del futuro. Una scuola quindi che aiuti a crescere con maggiori capacità di vedere e creare connessioni invece che a creare divisioni, separazioni, chiusure potrebbe essere lo scenario da prospettare agli insegnanti, attraverso intanto un ripensamento degli steccati curricolari e di quanto viene di routine collocato entro essi ..
In generale ed a completamento di quanto già detto, mi sento di affermare, che quando vogliamo contribuire a creare nelle nostre classi un clima sociale sereno e di totale accettazione reciproca, il principale lavoro da farsi è quello, per l'insegnante, dell'autoformazione e della consapevolezza delle proprie dinamiche interne. In questo modo si può esercitare l'"insegnamento per contatto" attraverso il quale il docente si mette in gioco per promuovere il cambiamento, utilizzando il proprio comportamento e trasmettendo il proprio "stile relazionale", che deve essere caratterizzato dall'accettazione totale delle peculiarità e/o diversità di ognuno. Questa modalità, associata alle tecniche dell'Ascolto attivo, del Problem solving e del Rinforzo positivo dei comportamenti prosociali, sortisce ottimi effetti nell'attuazione di un progetto educativo orientato verso un armonioso sviluppo della personalità del bambino, sereno anche nella relazione con il diverso da sé. Infatti rientra nel P.O.F l'elaborazione di un Piano di Gestione delle diversità, che ha tra le sue finalità di "garantire la costruzione all'interno delle scuole, di comunità accoglienti, nelle quali sia possibile interagire nel rispetto delle diversità delle persone" .
È quindi nella predisposizione di una didattica orientata al benessere di tutti, che può aver inizio un sano processo integrativo, inteso non tanto nel senso di rendere "uguali" i "diversi", ma di restituire diritto e dignità di "disuguaglianza "a tutti. Così, il diversamente abile non dovrebbe semplicemente stare in classe accanto agli altri, spettatore delle loro attività, ma dovrebbe far parte del progetto educativo da protagonista,in maniera consona alle sue possibilità operative. Il bambino straniero dovrebbe portare in classe le sue tradizioni linguistiche e socio-culturali e spalancare così l'angusto panorama scolastico sulle parti del mondo altrimenti irraggiungibili. Certo, tutto questo richiede programmazione attenta e organizzazione meticolosa, ma i risultati possono essere davvero molto gratificanti,in termini di partecipazione e adattamento. Crescere nella convivenza civile, rispettosa delle peculiarità e diversità altrui, al di là del semplice buonismo che allontana più che avvicinare, è possibile ed auspicabile fin dalla più tenera età. Sin dalla scuola dell'infanzia i bambini possono imparare a superare la naturale diffidenza che spesso è un vero ostacolo nella relazione col diverso, ma è proprio in questa fase che l'insegnante con il suo atteggiamento di base può e deve trasmettere serena accettazione e rispetto profondo e genuino verso tutti.
L'insegnante stesso potrà avvalersi dell'aiuto di quei bambini naturalmente dotati in competenze sociali, che faranno da tramite con quelli meno aperti e disponibili. Anche fenomeni come il bullismo potranno essere efficacemente prevenuti, favorendo in tutti i modi possibili un clima socio-affettivo nel quale trovino uno spazio naturale di condivisione ed accettazione le "diversità" di ognuno.

Bibliografia e Sitografia
Bozzuffi Vanessa, Psicologia dell’integrazione sociale. La vita della persona con disabilità in una società plurale. Milano, Franco Angeli, 2006.
Brugger-Paggi Edith, Demo Heidrun, Garber Franziska, Ianes Dario, Macchia Vanessa, L’Index per l’inclusione nella pratica. Index für Inklusion in der Praxis, Milano, Franco Angeli, 2013. 
Canevaro Andrea, d’Alonzo Luigi, Ianes Dario, Caldin Roberta, L’integrazione scolastica nella percezione degli insegnanti, Trento, Erickson, 2011.
Canevaro Andrea, Mandato Marianna, L’integrazione e la prospettiva inclusiva, Roma, Monolite, 2004.
Cappai Giovanni Michele (a cura di), Percorsi per l’integrazione, Milano, Franco Angeli, 2003.
Ianes Dario, Bisogni Educativi Speciali e inclusione, Trento, Erickson, 2005.
Ianes Dario, Demo Heidrun, Zambotti Francesco, Gli insegnanti e l’integrazione Trento, Erickson, 2010.
Ianes Dario con la collaborazione di Demo Heidrun, Educare all’affettività Trento, Erickson, 2007.
Ianes Dario e Macchia Vanessa, La didattica per i Bisogni Educativi Speciali, Trento, Erickson, 2008.
Mantovani G. - Spagnolli A., Metodi qualitativi in psicologia, Bologna, Il Mulino, 2003. 
UDICOM - Comitato scientifico indicazioni per Piano Gestioni delle Diversità - BOZZA rev.22-09-10.
http://www.volontariato.lazio.it/centrodocumentazione/bibliografieatema/bibliografie_disabilita_e_integrazione.pdf 
http://www.istitutoleonori.gov.it/wordpress/wp-content/uploads/2013/04/Normativa-inclusione_scolastica1.pdf https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/inclusione-sociale-e-aspetti-interculturali 
https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/bisogni-educativi-speciali-e-disabilita 
https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/educazione-all-affettivita 
https://sites.google.com/site/dauriapedagogia/il-docente-e-i-bisogni-educativi-speciali

Il diario come risorsa nell’intervento educativo

Per cominciare è utile riflettere su ciò che potrebbe costituire un diario.
Fisicamente, potrebbe essere un quaderno, un raccoglitore ad anelli pieno di fogli, una raccolta su disco magnetico oppure un nastro audio su cui registrare avvenimenti quotidiani. Ogni persona usa il diario in maniera diversa. Come  sostiene R. Klug: il diario è sì un luogo per registrare avvenimenti quotidiani, ma è anche uno strumento di auto-conoscenza, un aiuto alla concentrazione, uno
specchio per l'anima, un luogo per generare e acquisire idee, una valvola di sicurezza per le emozioni, una palestra per lo scrittore e un buon amico e confidente. Se da una parte il diario è un luogo che 'lascia tutto fuori', dall’altra aiuta a dare un senso a ciò che è fuori. L’esperienza della scrittura  diaristica rappresenta un’area di confine che crea una dialettica tra vita privata e mondo esterno. Ma può la scrittura di un diario assumere il valore di una forma letteraria compiuta? Oppure - per citare il giovane Lukács - che cosa può conferire forma ad un diario? Il diario è un continuo tentativo dello scrivere di sé, è un testo ferito che non aspira a nessuna unità o compattezza ma è continuamente avido di cicatrizzarsi nell'assorbire aspetti del vivere che altrimenti sfuggirebbero. Qual è, dunque, la forma che un diario dovrebbe inizialmente prendere? Secondo T. Rainer a molti piace iniziare il diario con una sorta di libera scrittura: costoro, per un certo periodo, scrivono nel diario ciò che viene loro in mente, lasciando emergere liberamente pensieri ed esperienze, anche “accantonate”. Ad altre
persone piace iniziare un diario scrivendo pagine e pagine che hanno il sapore di una vera e propria autobiografia. (…).
La scrittura diaristica è come un ponte, lo si attraversa e si arriva sempre da qualche parte. E’ un beneficio per le persone sane, in quanto scarica la tensione e consente di “rivisitarsi dentro”, ma anche per le persone disagiate o affette da malattia, in quanto scrivere su un quaderno le proprie ansie, paure, preoccupazioni, certamente dà sollievo e conforto. E’ uno strumento di creazione di uno specchio, in cui ci si può "leggere". Essa consente alla persona di raggiungere le emozioni, anche quelle più difficili o nascoste, ed è l'anello tra l'esperienza di tutti i giorni e la sua rielaborazione. Gli esperti ne consigliano l’uso agli adulti che vogliano riordinare le proprie idee, agli anziani per migliorare la coscienza di sé e prevenire l'Alzheimer, ma anche ai giovani, come una guida alla riflessione. In campo pedagogico, il passaggio progressivo verso un’indispensabile auto-consapevolezza, attraverso la narrazione scritta di sé, consiste nel ri-allacciare rapporti con il proprio Io, scoprendo il piacere di ascoltarsi e di parlarsi, in cui il confronto aperto e autentico con sé stessi implica il coraggio di mettersi in discussione e di promuovere crescita e cambiamento. In questa prospettiva, assume rilevanza il Counseling Diarioterapico rivolto agli adolescenti: si tratta di un ambito di intervento specifico, diverso dal sostegno che si fornisce sia agli adulti che ai bambini. Essendo l’adolescenza una fase di crescita, in cui il cambiamento diventa un elemento centrale per la costruzione della personalità, il supporto offerto da questa forma di relazione di aiuto può essere molto importante per risolvere le tante situazioni di tensione e di stress che sempre più spesso i giovani si trovano a vivere. Atteggiamenti e comportamenti a rischio sono soliti svilupparsi proprio nel periodo adolescenziale, perciò l'attività preventiva deve essere instaurata prima dell'insorgenza di un disagio e dunque il counseling diarioterapico deve essere volto ad analizzare e prevenire anche i problemi legati ai bassi risultati scolastici, considerato che, questi, potrebbero essere predittori di problemi comportamentali in generale. Alla luce di quanto detto fin qui, l’Educatore (insegnante, pedagogista, assistente sociale…) potrà aiutare il giovane a “fare silenzio dentro di sè”, per passeggiare nelle profondità del proprio animo, in mezzo ai ricordi e iniziare a narrarli, anche per elaborarli. Il diario è sì un deposito di emozioni, di sogni, di bisogni, di desideri, ma è anche un luogo di elaborazione dei conflitti fra sé e il mondo, sé stessi e la famiglia, sé stessi e la propria identità in mutazione continua. E’ il tempo dell’incontro con il proprio centro interiore, lo spazio entro cui - anche nell’età adulta - costruire la propria soggettività e la direzione del proprio progetto di vita. Ogni pagina scritta ha un effetto liberatorio, è una strategia maieutica per entrare in relazione con i propri vissuti intensi e profondi, per dare voce ai sogni più segreti, alle paure più nascoste e difficili da comunicare persino a sé stessi. Confidare ad una pagina inquietudine, rabbia, dolore, delusione e paura, serve a lasciarli andare. Significa fare un primo passo verso la loro risoluzione. In questo modo, il giovane sperimenterà il senso dell’auto-efficacia che si trasforma in un’esperienza narrativa-emozionale molto carica e in grado di restituirgli la percezione e la consapevolezza di essere agente attivo nei confronti delle scelte operative richieste dalla realtà di vita.

Il bilancio di competenze. Fondamenti legislativi, finalità, struttura, metodologie e strumenti per la sua costruzione.













All'interno di questo intervento ci occuperemo del bilancio di competenze, un metodo particolarmente utilizzato nell'ambito dell'orientamento e nell'ambito della gestione e sviluppo delle risorse umane. Il metodo abbastanza conosciuto o, per meglio dire, oggetto di richiamo in diversi contesti, non sempre in modo appropriato, è uno strumento di impatto sociale rilevante sotto il profilo strategico. 



E' utile richiamare, per così dire, l'atto di nascita perché nelle origini del bilancio di competenze risiede la spiegazione della propria funzione. La definizione dello strumento bilancio di competenze nasce in Francia intorno alla metà degli anni 80, in un periodo storico e sociale caratterizzato da una forte turbolenza a causa dei processi profondi di ristrutturazione e riconversione industriale all'interno di processi piuttosto consistenti e di mobilità dei lavoratori, di mobilità dall'azienda verso un'altra attività, ad un'altra mobilità dal lavoro, ecc., in questi processi, i tradizionali sistemi di gestione delle risorse umane, i tradizionali sistemi di orientamento professionale si mostrano insufficienti, emerge quindi la necessità di mettere appunto strumenti finalizzati specificamente ad aiutare delle persone ad acquisire consapevolezza del loro patrimonio di esperienze di saperi e di competenze al fine di reinvestire o reinvestire questo patrimonio in un progetto futuro, un progetto lavorativo interno ai nuovi assetti che venivano delineandosi.. ed è proprio per rispondere a questo tipo di esigenze che vengono fatte le prime sperimentazioni del bilancio di competenze; la fase sperimentale si conclude o perlomeno a una tappa importantissima con il varo in Francia di una legge che istituisce i centri per il bilancio di competenze.
Come possiamo definire bilancio di competenze? 
Il bilancio di competenze può essere definito come un metodo di autoanalisi assistita delle proprie conoscenze, delle proprie competenze, delle proprie attitudini e dei propri interessi da parte di un individuo adulto in funzione della messa appunto del progetto di inserimento lavorativo nel caso in cui l'adulto in questione sia un disoccupato, di sviluppo professionale nel caso in cui l'adulto sia situazione di lavoro e abbia l'obiettivo di migliorare la propria condizione, comunque abbia un progetto di sviluppo di carriera, oppure anche un progetto di formazione propedeutico all'occupazione o propedeutico allo sviluppo di carriera. 

Questa definizione è la definizione oggi maggiormente in uso; si è arrivati a questa definizione attraverso un processo circolare che, partendo da una riflessione teorica e da una sistematizzazione scientifica, va verso una serie di verifiche pratiche operative dalle quali poi si torna verso la definizione precisandola sempre, di volta in volta in modo più puntuale, come si può vedere nella definizione, l'accento cade in modo particolare su alcune parole, la prima autoanalisi seguita dall'aggettivo assistita. Autoanalisi per dire che è il soggetto beneficiario del bilancio stesso che conduce l'autoanalisi, appunto, delle proprie conoscenze, competenze, interessi, attitudini, però non compie quest'operazione in splendido isolamento ma in una condizione assistita dove, evidentemente, figure esperte accompagnano la persona. E' questo processo l'altra parola su cui cade con forza l'accento, ed è bene evidenziarlo per capire bene la natura del bilancio di competenze. Il bilancio di competenze è uno strumento che nasce per adulti in situazione di transizione, di transizione lavorativa, personale, esistenziale, ma soprattutto lavorativa. Dalla situazione di transizione si evince che la dimensione su cui cade l'accento, la dimensione del progetto è la dimensione fondativa del bilancio di competenze.
Il bilancio di competenze è uno strumento che lavora in profondità, tocca più sfere della persona e quindi lo potremmo definire uno strumento multidimensionale, tra le varie dimensioni della persona che vengono investite o interessate.  Esso ne mette in conto al meno cinque: la dimensione progettuale, la dimensione proattiva, la dimensione individualizzante, la dimensione ecologica e la dimensione formativa.
La dimensione progettuale dà il senso generale a tutta l'operazione, sia perché il bilancio si conclude con la stesura di un vero e proprio progetto o lavorativo formativo, sia perché il bilancio è esso stesso metodo processuale che tende a sviluppare nella persona la capacità di progettare il bilancio.
E' una condotta progettuale dal momento che in tutti i suoi passaggi, in tutti i suoi aspetti, tende a collegare il passato con il presente, con il futuro. Si articola in più dimensioni, pertanto è uno strumento multidimensionale che abbraccia le sfere progettuale, proattiva, individualizzante, ecologica e formativa. L'asse passato, presente e futuro è un asse progettuale che coinvolge la dimensione attiva e proattiva della persona. Trattandosi appunto di analisi, sia pure assistita, si capisce che il bilancio è un metodo attivo che presuppone l'attivazione della persona che ne beneficia e, quindi, possiamo dire che è il beneficiario stesso a tenere in mano le redini del bilancio, del proprio percorso. Ma il beneficiario si deve anche attivare nella ricerca dei possibili sbocchi occupazionali o nella costruzione di un possibile percorso di sviluppo professionale di carriera. Il bilancio è anche un metodo proattivo, generativo perché all'interno del bilancio si rigenerano nuove iniziative e si genera, si dà vita a nuove prospettive di attività. 

Il bilancio sviluppa anche un'attitudine ad agire in modo razionale rispetto allo scopo cioè a individuare obiettivi realistici realizzabili e a individuare le tappe per il conseguimento di questi obiettivi la dimensione dell'individualizzazione.
Il bilancio è un metodo individualizzato e individualizzante, potendolo definire con una metafora, esso è come un abito sartoriale, che deve essere cucito a misura della persona alla quale è destinato, ferme restando le regole di base che valgono per tutti i bilanci, ogni bilancio ha un suo proprio sviluppo in termini temporali e in termini e di strumentazione specifica utilizzata.
Il bilancio, ovviamente, si sviluppa sul filo dell'autobiografia personale, formativa e professionale e la biografia, un'autobiografia per meglio dire, è unica e irripetibile per definizione. 
Il bilancio, infine, tende ad attribuire significato cioè nuovi significati alle tappe della vita personale, formative, lavorative di un individuo. L'attribuzione di significato di una dimensione di tipo individualizzato (e individualizzante della stessa esperienza) identifica le dinamiche  ed i contenuti, acquista dei significati diversi a seconda della persona che la compie. 
La dimensione ecologica (naturale) di acquisizione della competenza e dello sviluppo umano avviene in termini olistici ed è una prospettiva situata; l'individuo globalmente inteso è situato in un contesto, in un ambiente che tende a modificare e dal quale la persona stessa viene modificata, per questo diciamo che l'individuo del bilancio è un individuo situato. 
La dimensione formativa è molto importante nel bilancio delle competenze, per esempio o non a caso per meglio dire, per la legge francese che istituisce i centri interistituzionali del bilancio delle competenze e all'interno della legge quadro nazionale che la Francia ha dal 1970 (legge quadro nazionale sulla formazione continua) il bilancio di competenze è uno strumento per eccellenza interno alla prospettiva del lifelong learning.
Il bilancio, specificamente, ha una precisa valenza formativa nel senso della Formazione maturativa, per esempio, della formazione per lo sviluppo delle competenze comportamentali, della formazione orientativa, ovvero dell'orientamento formativo ma anche nel senso dello sviluppo di una nuova Vision da parte del beneficiario, cioè di un nuovo orizzonte di senso e di valore dentro cui collocare la propria prospettiva post lavorativa personale e professionale. Attraverso il bilancio si sviluppano degli apprendimenti specifici, ad esempio come si analizza una competenza, sia propria che altrui, come si può sviluppare la propria occupabilità, cioè la propria capacità cercare/trovare lavoro, la propria capacità di mantenere il lavoro una volta che lo si è trovato, e la propria capacità eventualmente di cambiare o migliorare il proprio lavoro. Si apprende anche ad analizzare un'organizzazione nel caso per esempio di bilancio di competenze a persone occupate che si devono situare nell'organizzazione di appartenenza e per poterlo fare devono essere in grado di analizzare l'organizzazione per individuare il punto in cui si collocano, e per individuare eventualmente il punto verso il quale orientarsi. Specificamente, in ultimo ma non per ordine di importanza, è importante capire come si legge il mercato del lavoro, ecc., quindi, noi possiamo dire che il bilancio di competenze si configura come un metodo che si muove all'interno della prospettiva del lifelong learning che è destinato prevalentemente ad una popolazione adulta. Se vogliamo, per i giovani adulti, sicuramente non è uno strumento di orientamento ma si utilizza in modo proficuo nella fascia di età adolescenziale, in primis nella scuola, quindi non potrebbe mai essere concepito come un metodo per l'orientamento scolastico; al massimo si potrebbe ipotizzare per giovani in uscita dalla secondaria superiore.

Le esperienze condotte in materia di orientamento ci dicono che l'efficacia di questo metodo è prevalentemente concentrata su una popolazione di riferimento adulta perché al centro nel bilancio di competenza, appunto, il costrutto stesso di competenza è un mix specifico, per ogni individuo, di conoscenza, di saperi, di saper fare e saper essere, di sapere agire e di volere agire, tutte dimensioni che sono particolarmente sviluppate in un adulto e che sono, invece, dimensioni in via di costruzione un adolescente.

Vediamo come si articola e come si sviluppa un bilancio di competenze: la competenza è un metodo processuale cioè proprio sviluppo e una propria articolazione nel tempo quindi è utile partire dal dall'avvio nel processo di bilancio: il primo aspetto da tenere presente con la massima chiarezza e quello relativo alla ammissibilità e alla deontologia stessa del bilancio di competenze. Il documento di sintesi e il "progetto di vita" sono di proprietà del beneficiario, il quale ne dispone come crede. Il beneficiario è libero, quindi, di far conoscere i risultati del bilancio in tutto o in parte così come è libero un tenerli per sè; il consulente di bilancio, dal canto suo, e il centro erogatore del servizio sono tenuti alla massima riservatezza. Ciò che viene elaborato all'interno di un bilancio non può essere diffuso, fatto conoscere fuori dal bilancio e non può essere fatto conoscere a nessuno che non sia la persona stessa che vi partecipa. 
Abbiamo detto strumento processuale, strumento articolato nel tempo, fondamentalmente un bilancio di competenze e si sviluppa in tre momenti fondamentali denominati anche fasi: 1) fase dell'accoglienza, 2) fase di investigazione meglio sarebbe dire di approfondimento, 3) fase di sintesi e di progettazione.
Vediamo più da vicino ciascuna di queste tre fasi: la fase dell'accoglienza ha quattro obiettivi principali il primo è relativo alla verifica dell'effettiva volontarietà della scelta attraverso il colloquio  si deve verificare se la persona ha deciso, una volta ricevuta l'informazione, di aderire alla proposta di bilancio di competenze liberamente, oppure se lo ha fatto sotto un'imposizione o, comunque, per adeguarsi ad una sollecitazione esterna del datore di lavoro o di altri soggetti non meglio identificati. Il secondo obiettivo è relativo all'analisi della domanda attraverso la quale si deve verificare se il bilancio è effettivamente utile alla persona che lo sta chiedendo, perché il bilancio di competenze non è uno strumento per così dire orientativo erga omnes. E' nato come metodo, come strumento di accompagnamento di persone in situazione di transizione, di transizione lavorativa professionale e anche personale, per gli aspetti di intreccio che esistono sempre tra tensione lavorativa, esistenziale, personale e competenze. Non è uno strumento di autoanalisi fine a se stessa: per esempio, in Francia, vengono scoraggiati fortemente i bilanci di competenze per persone che contemporaneamente stanno seguendo un percorso di analisi o di psicoanalisi, perché il bilancio di competenze non è uno strumento di natura introspettiva finalizzata all'obiettivo di conoscersi meglio o addirittura all'obiettivo di sciogliere nodi esistenziali particolarmente aggrovigliati, il bilancio di competenze lavora sulla dimensione della consapevolezza, lavora sulla dimensione della memoria, lavora anche sulla dimensione del recupero del ricordo e della memoria, ma si tratta sempre di un piano nettamente distinto e diverso dal piano dell'inconscio. Quindi si tratta di vedere nel colloquio di accoglienza se una persona effettivamente ha bisogno di un bilancio di competenze oppure se la persona sta aderendo con un obiettivo diverso. In tal caso si deve chiarire alla persona che compito del bilancio non è appunto quello di perseguire obiettivi che siano diversi da quelli della prospettiva lavorativa e professionale. L'analisi della domanda serve anche alla verbalizzazione, quindi, delle aspettative, all'individuazione del soggetto, dell'esistenza di principi di progettualità, la volontà di  fare il bilancio è la volontà di capire se questa prospettiva professionale o lavorativa, al momento molto incerta, è una prospettiva praticabile.
La fase di accoglienza è anche finalizzata all'obiettivo di informare la persona sull'articolazione  del percorso, sulle specifiche tappe del proprio bilancio, trattandosi di un percorso impegnativo che comporta la disponibilità della persona stessa a mettersi in gioco. E' assolutamente indispensabile che la persona sia informata sull'articolazione del bilancio, quindi nella fase di accoglienza, si stabilisce il calendario di massima degli incontri, si concordano le cadenze temporali dei colloqui individuali, e la fase di accoglienza si conclude con la stipula del contratto di bilancio.
Il contratto di bilancio, per esempio, in Francia ha una rilevanza giuridica perché appunto c'è una legge, per cui il contratto di bilancio viene stipulato tra il soggetto e il centro che eroga il servizio e, nel caso di bilanci a persone che lavorano, il contratto è addirittura tripartito per cui viene firmato dall'azienda tramite un suo rappresentante, viene firmato dal direttore del Centro e viene firmato dal consulente e, ovviamente, dalla persona che ne beneficia.
La seconda fase è di investigazione o di approfondimento ed è la fase centrale del bilancio, quella più impegnativa: sviluppa un'analisi e un approfondimento molto articolato, che si muove in quattro direzioni fondamentali, analisi del percorso formativo precedente, ricostruzione degli studi fatti, della formazione prima dell'inserimento nel mondo del lavoro e della formazione continua, lavorativa, con la ricostruzione delle qualifiche acquisite e la ricostruzione della carriera lavorativa, in fine si fa l'analisi e la messa a fuoco delle competenze possedute.
La seconda direzione è quella dell'analisi delle motivazioni e degli interessi professionali attraverso un approfondimento delle origine delle motivazioni e della solidità delle motivazioni stesse, analisi dell'ancoraggio degli interessi della persona, come sono nati, come si sono strutturati, qual è la forza di questi interessi, che ruolo hanno giocato nello sviluppo della carriera di una persona e nello sviluppo di una prospettiva professionale di una persona.
C'è un terzo livello, che è di natura più squisitamente informativa, relativamente alle professioni, quindi attraverso questa seconda fase  si va verso un ampliamento, un arricchimento e un approfondimento, della conoscenza degli ambiti professionali di riferimento possibili e si va anche ad accedere ai repertori professionali (es. Excelsior, INAIL), che devono essere esplorati, messi nella disposizione del beneficiario o, per meglio dire, il beneficiario deve essere indirizzato verso questi repertori affinché egli stesso, in prima persona, li riconosca, li visiti e li possa analizzare, sempre sotto il profilo dell'informazione sulle professioni, mirando a individuare e stabilire delle correlazioni tra competenze, motivazioni, interessi titoli di studio, qualifiche possedute e ambiti professionali. 
La seconda fase si conclude con l'individuazione e dei punti di forza e delle aree di sviluppo del beneficiario che, ovviamente, sono rappresentativi dell'intero patrimonio personale, delle risorse possedute sui quali il consulente può andare a costruire, eventualmente, il progetto e poi repertorio delle aree di sviluppo del beneficiario.
Nell'ottica delle competenze non ci sono punti forti in se è punti deboli in sè, ciò che per una persona può essere un punto, per meglio dire un aspetto della persona che in se può rappresentare un punto riferito all'ambito professionale, si può trasformare in accezione migliorativa. Per esempio, una persona introversa, una persona con scarse capacità di comunicazione o con scarse capacità relazionali se vuole lavorare nell'ambito della comunicazione o nell'ambito di una qualsiasi professione che si basi sulla comunicazione e sulla relazione è in svantaggio ma, se per esempio, questa persona vuole svolgere una professione data Entry, professione nell'ambito dell'informatica oppure il bibliotecario, la propensione lavorare in solitudine, la scarsa disponibilità ad avere una comunicazione allargata è un punto, una maglia di forza, un empowerment personale, la consapevolezza e il senso di auto-efficacia.
La terza fase è di sintesi e di restituzione. In questa fase viene compiuta un'analisi condivisa perché in realtà si tratta di un autoanalisi, semmai assistita, i cui esiti sono condivisi, ma che non sono fatti dall'esterno dal consulente sulla persona, ma insieme alla persona.
In questa fase fa un inventario di riordino delle competenze, delle risorse riconosciute e delle circostanze, della loro immersione in riepilogo. 
Il bilancio di competenze può essere anche finalizzato alla messa a punto delle competenze formative propedeutiche ad un progetto di natura lavorativa che lavora sulle aree di sviluppo per renderle solide coerenti col progetto lavorativo finale e di riepilogo delle possibilità offerte dal mercato del lavoro per i disoccupati o dall'organizzazione di appartenenza per chi lavora.
Il bilancio di competenze come qualsiasi altro progetto deve essere realistico e realizzabile, riferibile al mercato del lavoro e all'organizzazione di appartenenza.
Nella terza fase si procede alla redazione di una sintesi del percorso fatto all'interno del bilancio e l'elaborazione di un progetto vero e proprio, di un piano di azione anche se l'ideale sarebbe che il bilancio si concludesse con la messa a punto di massimo 2 progetti in subordine per individuare tutti i profili di realizzabilità. Si elabora un "portafoglio" delle competenze che contiene la documentazione ragionata di tutte le competenze che sono emerse nel percorso di bilancio. Il portafoglio delle competenze è un documento aperto di tipo generativo che la persona può arricchire nel tempo. In Francia la legge prevede che un bilancio di competenze possa essere ripetuto solo dopo 5 anni e, in quest'arco di tempo, una persona può autonomamente aggiornare il proprio portafoglio delle competenze, che non è soltanto un contenitore di documenti e delle competenze possedute ma una documentazione ragionata che contiene all'interno indicazioni di senso e chiavi di lettura che la persona utilizza autonomamente nel corso degli anni.
Il bilancio si svolge in un arco temporale che va dai 30 giorni ad un massimo di 45 giorni, ogni colloquio individuale ha una durata che oscilla tra un'ora e le due ore, con un intervallo massimo di 15 giorni e minimo di una settimana tra un colloquio individuale e l'altro.
Il beneficiario viene impegnato per un numero di ore complessive che oscilla da un massimo di 16  e un minimo di 4 ore, poichè il numero complessivo dei colloqui individuali secondo il modello di bilancio certificato a livello europeo non prevede meno di 4 incontri e tendenzialmente non più di 6, salvo rare eccezioni, di adulti maturi con una grossa e lunga esperienza degli strumenti del bilancio di impostazione biografica e/o narratologica, il colloquio, l'ascolto non giudicante, le griglie di analisi e di autoanalisi, che la persona è chiamata a compilare, intervista in profondità,  questionario/inventario di interessi e preferenze, test per l'autoanalisi, per l'analisi delle competenze comportamentali, test per la valutazione delle competenze. 
L'approccio metodologico all'interno del quale si collocano questi strumenti è quello dell'autoanalisi e non quello della direttività, la modalità è di tipo clinico ma non di tipo terapeutico. La modalità di conduzione dei colloqui è di impianto rogersiano piuttosto che incentrato su approcci di tipo standardizzato vedremo la diffusione del bilancio di competenze a livello internazionale soprattutto a livello italiano quanto è diffuso dove è diffuso in quali contesti il bilancio di competenze viene impiegato maggiormente quali sono i riferimenti legislativi nel caso dei riferimenti legislativi anticipo subito che in Italia sono molto pochi senso stretto non esistono esistono altri riferimenti comunque più in generale ci sono dei riferimenti istituzionali per cui guarderemo l'insieme dei riferimenti di cui disponiamo in Italia e a livello europeo. Sviluppato soprattutto e in particolare in Francia e figlio della cultura francese della formazione continua, la Francia è stato uno dei primi paesi in Europa dotarsi di una legislazione sulla formazione continua già a partire dai primi degli anni 70, in Italia la prima legge che introduce la formazione continua è addirittura del 1993,  questo per dire qual è la differenza tra questi due paesi. Soltanto i paesi nord europei si sono dotati di una legislazione sulla formazione continua a partire dagli anni 60. La Francia ha iniziato a dotarsi di questo strumento già a partire dal dagli anni 80 e, fino a oggi, in Francia sono stati realizzati nell'arco di 30 anni e oltre più di più di un milione di bilancio di competenze. La legge definisce il bilancio di competenze come un diritto di tutti i lavoratori occupati o disoccupati: i lavoratori occupati hanno diritto a chiedere un congedo retribuito di 24 ore per partecipare al bilancio. La legge prevede l'istituzione di centri interistituzionali per il bilancio di competenze a livello provinciale. Attualmente operano in Francia circa 80 centri funzionale all'inizio no ma dopo avere toccato una punta ma centinaio di centri le province in Francia se non ricordo male sono circa 120 ma non sono stati mai realizzati i centri tutte le province la legge introduce regole generali di svolgimento di un bilancio di competenze per esempio libera dell'articolazione infancy tempi le regole deontologiche la volontarietà la riservatezza dei documenti eccetera livello internazionale il bilancio di competenze conosciuto è utilizzato in diversi paesi dell'Unione Europea in particolare nell'ambito dell'orientamento degli adulti e dell'accompagnamento al lavoro di lavoratori in mobilità sempre a livello internazionale nel 1200 2005 si è costituita la Federazione Europea dei centri di bilancio di competenze per l'orientamento professionale centri per il bilancio di competenze e per l'orientamento professionale l'acronimo SEO l'obiettivo di questa federazione è quello di promuovere i bilanci di competenze presso i decisori politici di ciascun paese e più in generale a livello internazionale nei confronti per esempio dell'Unione Europea a Venice cono alla Federazione centri del Belgio della Bulgaria della Francia ovviamente della Germania dell'Italia del Portogallo della Repubblica Ceca della Repubblica Slovacca della Spagna dell'Ungheria da segnalare una crescita dei centri bilancio di competenze aderenti alla Federazione dei paesi nei paesi dell'Est aderiscono. Abbiamo visto la Bulgaria La Repubblica Ceca La Repubblica Slovacca è in corso di adesione la Romania quindi per un certo periodo ha fatto parte hanno fatto parte anche dei centri della Polonia poi c'è stata una ristrutturazione per cui in questo momento non ci sono centri alle 20:00 in Italia manca una normativa nazionale di riferimento ci sono o ci sono stati nel tempo mi richiami al bilancio di competenze documenti di indirizzo di alcuni ministeri per esempio c'è una circolare ancora in vigore della direttiva della funzione pubblica del 1999 dove ap. si segnala il bilancio di competenze come un servizio da da offrire in un ottica di avere guidance ai dipendenti della pubblica della pubblica amministrazione oppure del Ministero del Lavoro la legge istitutiva dei Centri per l'Impiego tra le varie attività che vengono assegnate. Bilancio di competenze Centri per l'Impiego in Italia che sappiano fare il bilancio di competenze e che lo facciano sono molto pochi il Ministero dell'Istruzione verso la fine degli anni 90 emanò una circolare per sperimentare bilanci di competenze negli istituti professionali di Stato per gli alunni degli ultimi anni si tratta di una esperienza circoscritta durata uni anni dagli esiti assai diversi e comunque per la modalità con cui era stato pensato e ha dato dei grandi risultati e proviamo dei riferimenti dei documenti della Conferenza Stato Regioni in questo quadro chi ha giocato il ruolo più importante più significativo e Lissone come noto li scolo e l'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori fa capo al Ministero del Lavoro si è occupato con una certa sistematicità e con una certa continuità soprattutto negli anni passati delle di bilancio di competenze infatti di suolo adesso. Bilancio di competenze ad uso dei Centri per l'Impiego diciamo che gli unici Centri per l'Impiego che hanno utilizzato il bilancio di competenze sono quelli che hanno aderito a questa sperimentazione del Isfol e quindi che lo hanno fatto però non solo per il periodo della durata della sperimentazione e lo strumento si chiama vivi in conto un percorso le competenze poi in bibliografia troverete tutti i riferimenti completi ma soprattutto Lisbona istituito un tavolo due anni al termine di questi due anni è stato varato un documento tecnico sul bilancio delle competenze un documento molto articolato molto approfondito che contiene le linee guida per realizzare bilancio di competenza di qualità presso i Centri per l'Impiego presso i Centri per l'orientamento all'interno della formazione professionale oppure per l'alta formazione quindi anche all'interno dell'Università il documento tecnico sul bilancio di competenze è reperibile nel sito del Lidl ma non è di facilissima reperibilità la versione cartacea reperibile nel apparsa nella rivista professionalità dei numeri 108 e 109 del 2010 la rivista. Le pubblicazioni ed è un vero peccato perché era tutto sommato una delle poche riviste che si occupava di queste tematiche con impegno e serietà in documento però il documento in soli pur essendo un documento di un istituto che fa capo al Ministero del Lavoro è pur sempre un documento che ha un valore scientifico e professionale ma non è certo una norma non possiede una coscienza giuridica come la possiede. Decreto una circolare ministeriale da segnalare un fatto importante ad evidenziare il valore di questo documento ed è che il documento stesso è stato assunto dalla fecbop della federazione europea come base di riferimento per la promozione del bilancio di competenze competenze presso i decisori politici sia sul piano nazionale che sul piano internazionale resta il documento più importante dal. di vi l'impianto metodologico di cui oggi noi disponiamo in Italia come linea guida per fare dei buoni bilancio di competenze montagna dove è stato usato il bilancio di competenze e quali tipologie di bilancio sono state utilizzate questo elenco che sto per fare c'è tutta una serie di sono sono elencate esperienze di bilancio di competenze di una certa consistenza di una certa rilevanza di una certa importanza ho tralasciato ovviamente tutte quelle esperienze che si richiamano al bilancio di chiamarlo sì al bilancio di competenze che in realtà non hanno mai fatto bilancio di competenze hanno fatto altre cose dove si erogano in Italia bilancio di competenze di bilancio che operano presso organismi di formazione professionale università bilanci all'interno delle procedure per il riconoscimento e la convalida degli apprendimenti acquisiti in contesti non formali e informali come crediti formativi universitari ma su questo torneremo fra un attimo un po' più approfonditamente. Secondo la logica del vai cioè secondo la logica della validazione esperienza è un modello francese anche questo ne so. Hai gli anni 2000 dopo aver sperimentato per circa una decina d'anni un modello simile più centrato sulle professioni si chiamava W validacion de secchi professionale è uno strumento che e mirato al riconoscimento e alla validazione delle competenze acquisite sviluppate maturate in contesti non formali e informali al fine del recupero di questi apprendimenti e di queste competenze all'interno di processi formativi attraverso lava e sarebbe più corretto dire validazione femminile attraverso la vai in Francia si arriva persino a conferire una laurea senza che le persone si siano iscritte all'università se nonna. Quindi senza passare attraverso un percorso di studi è articolato in esami eccetera sono casi abbastanza rari mentre molto più diffuso l'utilizzo della vai come ai fini del riconoscimento di crediti formativi per esempio lavare molto utilizzato per il rientro l'entrata informazione all'università particolari professioni per esempio professioni artistiche musicali eccetera persone che si iscrivono all'università e che vedono riconosciuta la loro esperienza professionale e come parte del curriculum elitario e quindi come credito formativo che a breve ha il percorso universitario stesso un esempio particolarmente significativo dell'utilizzo del bilancio di competenze nell'ottica della vai e quello relativo alla Università di Roma Tre il bilancio di competenze è stato impiegato nel corso di laurea in formazione e sviluppo delle risorse umane ap. per il riconoscimento dell'esperienza professionale e di studenti adulti ap. iscritti al corso di laurea si tratta di un corso di laurea con una massiccia presenza di adulti gli adulti che si iscrivono all'università in età non Canonical cioè dopo per esempio i 26 anni piuttosto consistente in tutta l'università italiana ed è anche tendenzialmente crescente però nel caso specifico di questo corso di laurea la presenza degli adulti e soprattutto nei primi anni dell'istituzione del corso di laurea è stata veramente massiccio delle 2004-2005 il 62 degli iscritti a questo corso di laurea si erano iscritti in un'età superiore 26 anni all'interno di questo suo 62% c'è una componente del 4% di persone che si era iscritta all'università in età superiore a 48 anni quindi stiamo parlando di persona con un patrimonio di esperienze veramente consistente quindi il bilancio di competenze è stato utilizzato come modulo intermedio del dispositivo più ampio nel suo. Riconoscimento e la convalida dell'esperienza come credito formativo universitario per cui in passato quando la normativa lo consentiva si è arrivati anche a riconoscere tre quattro esami o comunque fino a 12:00 formativi universitari attraverso il riconoscimento dell'esperienza professionale come equivalente ai contenuti di quegli esami stessi adesso la normativa in vigore non consente di riconoscere più di 12 crediti quindi l'attività di riconoscimento continuo circoscritta 12 crediti e poco più un esame o comunque un esame un laboratorio dici che sono stati realizzati all'interno di questa sperimentazione sono stati realizzati secondo il modello certificato dalla facbook dell'Università di Roma Tre operai scrisse Centro di Ricerche se mi dici centro di ricerca servizio bilancio di competenze è un centro certificato è l'obiettivo del bilancio è stato quello è stato duplice da un lato ricostruire in modo puntuale eventi esperienziali equivalenti a quelli attesi nell'ambito degli insegnamenti del curriculum del corso di laurea secondo obiettivo ricollocare il tutto il nuovo in un nuovo contesto di senso e all'interno di una progettualità coerente sull'asse degli studi scelti prospettive professionali e personali e riconoscimento delle competenze delle conoscenze acquisite per via esperienziale che vanno a integrarsi nel curriculum e dare consistenza al progetto più complessi e di laurea qual è la logica del vai all'università o del bilancio di competenze per meglio dire all'interno dei percorsi di riconosce tende a conferire al bilancio di competenze in questo caso una curvatura specifica e quindi conferire al bilancio una particolare valenza orientativa a sfruttare la valenza e le potenzialità riflessive insite nel bilancio di competenze quindi una valenza è una caratteristica volta a rafforzare le empowerment del soggetto e quindi a rafforzarne la progettualità quindi a mettere in coerenza diciamo la progettualità generale della della persona con il progetto formativo e quindi come corso di studi scelti e quindi con il passato e il presente della della persona quindi favorendo la messa in parole per così dire da parte del beneficiario del proprio sapere per costruirlo e ricostruirlo utilizzando il bilancio come strumento riflessivo sull'accaduto sul vissuto e sulla relazione tra accaduto e vissuto e quindi con l'obiettivo di rendere questi saperi esperienziali trasparenti al fine di trasforma apprendimenti formali convalidati in un'ottica che è l'ottica del lifelong learning si tratta di una esperienza piuttosto circoscritta nei termini in cui l'ho descritta però altre università adottano il bilancio di competenze come servizio il modo per il riconoscimento e l'emersione dei saperi esperienziali si segnala Università di Padova in particolare Università di Foggia dove però è proprio un servizio di orientamento in quel caso altre università hanno fatto del bilancio oggetto di studio altre università per esempio la Federico II a Napoli e lo utilizza il bilancio di competenze come strumento di orientamento universitario quindi offerto agli studenti in ingresso all'università per meglio costruire il loro percorso universitario quindi bilancio di competenze è abbastanza presente nell'università e ovunque presente in modi piuttosto approfonditi rigorosi e quindi scientificamente oltre che professionalmente correttamente impostati.
Servizi dello Studio:
colloquio di orientamento https://www.facebook.com/pg/dauriaconsulenza/services/?service_id=1133989373339026
orientamento formativo https://www.facebook.com/pg/dauriaconsulenza/services/?service_id=1225151497506749
orientamento professionale https://www.facebook.com/pg/dauriaconsulenza/services/?service_id=1002637679852574
Riferimenti Bibliografici:
Alberici A.-­‐Serreri P., Competenze e formazione in età adulta. Il Bilancio di competenze: dalla
teoria alla pratica, Roma, Monolite Editrice, 2009.

“CURARE” LA DEMOTIVAZIONE nella scuola.

Le strategie per prevenire l’insuccesso scolastico  riguarderanno:
1. Curare la motivazione evocando convinzioni ed aspettative di successo,
2. Puntare sull’investimento affettivo nell’apprendimento recuperando le esperienze e le conoscenze di ciascuno e radicandole sul terreno dell’interesse.
Solo un approccio complesso al fenomeno consente di affrontarlo in modo adeguato, un approccio che tenga conto degli aspetti cognitivi (a partire dalla considerazione che si apprende in modo diverso, che ci sono diversi tipi di intelligenza, diverse memorie , diverse strategie e diversi tempi di apprendimento) e di quelli emotivo-affettivi (motivazione, concetto di sé, stile di attribuzione). Negli anni della scuola media, i ragazzi si trovano in un particolare momento della loro crescita perché impegnati in una complessa e lunga operazione di passaggio da un’identità ancora infantile a un’identità adulta e sociale. Questo processo implica la necessità di separarsi da oggetti, affetti e comportamenti precedenti, di acquisire autonomia, di abbandonare privilegi e sicurezze antiche, di trovare nuove definizioni di sé, delle proprie capacità e delle proprie relazioni. La scuola diventa il terreno dove sperimentare e realizzare la richiesta di ogni studente di diventare un altro. Perciò il modo in cui la vicenda scolastica si intreccia con la vicenda di vita, le interferenze tra processo di crescita personale e apprendimento scolastico, il senso e il valore attribuito alla scuola come potenziale palestra dove mettere a punto e allenare la propria nuova forma sono i nodi cruciali della riflessione sulle cause affettive dell’insuccesso scolastico.
DIMENSIONI AFFETTIVE DELL’INSUCCESSO SCOLASTICO
Tra i fattori “affettivi” ricoprono una grande importanza la motivazione,la volontà e il processo di volizione, il controllo delle emozioni - cioè la capacità di recuperare sentimenti positivi -, una buona autostima (per far fronte a stress, paure, incertezze e frustrazioni), le attese ossia lo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti dei propri esiti, lo stile di attribuzione ossia l’ascrivere i risultati conseguiti in un processo di apprendimento a cause esterne o interne. Questi concetti saranno trattati nei prossimi paragrafi. E’ stata privilegiata questa dimensione considerando,che la riflessione sulle
ragioni degli affetti, permetta di far emergere chiaramente parecchi dei motivi della difficile relazione tra studenti e apprendimento scolastico.
Possiamo considerare la motivazione come il processo che parte dalla spinta originata da un bisogno e conduce alla sua soddisfazione. E’un fattore naturale del comportamento umano che in qualche modo contribuisce ad attivare l’organismo verso una meta. La motivazione ad apprendere nasce spontaneamente dal bisogno di conoscenza della realtà, dalla necessità di arricchire la propria esperienza, di elaborare il proprio progetto esistenziale, di potenziare la propria mente. La motivazione può essere attivata dall’interno(percezione dei propri bisogni di conoscenza) oppure dall’esterno. Gli studenti motivati dall’esterno rischiano di focalizzarsi solo sul voto e su ciò che è trovano più facile,evitando le situazioni difficili e impegnative.
La motivazione è il processo attraverso il quale si giunge ad agire in un certo modo, dunque è legata all'apprendimento, perché l'apprendimento è un processo che richiede un’attività consapevole e determinata. Alcuni teorici interpretano la motivazione come un tratto stabile, qualcosa che l'individuo possiede, tanto o poco, e modificabile quindi solo in misura modesta.
Altri interpretano la motivazione come un insieme di convinzioni e valori consci, influenzati da recenti esperienze in situazioni in cui era richiesto un risultato e da variabili presenti in contesti immediati. Da questo punto di vista, un individuo, può avere la forte motivazione in geografia, ma non in algebra, a causa di recenti esperienze avute durante lo studio di quella materia.
Questa seconda prospettiva, implica il fatto che gli insegnanti hanno importanti opportunità e responsabilità per ottenere dagli studenti il massimo della motivazione possibile: nelle pagine seguenti la riflessione si articolerà proprio a partire da questo presupposto.
Alcuni teorici pensano che la motivazione al risultato possa essere attivata dall'esterno mediante l'uso di rinforzi: (premi, punizioni) oppure dall'interno: essi affermano che gli esseri umani sono naturalmente disposti a sviluppare le abilità ed a impegnarsi in attività inerenti l'apprendimento; il rinforzo esterno non sarebbe necessario, perché l'apprendimento è in sé rinforzante. Va da sé che il momento formativo dovrebbe riuscire a prendere in considerazione entrambe le prospettive riferendosi sia alla situazione (A) inerente la motivazione estrinseca dell’utente, sia alla situazione (B), inerente la motivazione intrinseca.
Non a caso, infatti, il destinatario della formazione si presenta non solo con una serie di bisogni e desideri intrinseci, che il docente potrà prendere in considerazione per il miglioramento dell’autostima del soggetto, per l’aumento della stessa motivazione; ma anche con una serie di dubbi e perplessità sulle quali il formatore dovrà soffermarsi per capire meglio la situazione e cercare di sgomberare il campo da eventuali ansie e paure dell’individuo. Per questo motivo il processo motivazionale prevede sia l’analisi dei bisogni intrinseci dell’uomo, che il chiarimento degli obiettivi formativi : da una parte quindi diventa fondamentale concentrarsi su ciò che spontaneamente l’utente dimostra di apprezzare (preferenza di alcune materie scolastiche rispetto ad altre), mentre dall'altra occorre precisare la presenza di attività che di primo acchito potrebbero non interessare, ma che sono comunque parte del processo formativo e vanno quindi affrontate dagli operatori del settore cercando di renderle appetibili, proponibili ed affrontabili dagli studenti. Col tempo la rigida divisione è andata affievolendosi, per giungere a modelli interazionistici che considerano entrambi i fattori. La ricerca ha dimostrato che l'effetto dei premi mina l'interesse estrinseco solo nella misura in cui questi sono percepiti come controllo, mentre sono utili se comunicano competenza. Occorre però notare, che non possono da soli, bastare ad invogliare un ragazzo a studiare.
OLTRE LA MOTIVAZIONE: IL PROCESSO DI VOLIZIONE.
Per arrivare a decidere di studiare, oltre alla motivazione, si deve aggiungere ancora qualcosa: l'intenzione volitiva. In un processo formativo quello che si insegna è solo nominalmente uguale a quello che si apprende. In un solo caso l’input coincide con l’output: nella memorizzazione.
La sequenza formativa fornita dall’insegnante, corrisponde ad un contenuto, una capacità, una conoscenza, un’operatività che, per assestarsi nel piano dell’apprendimento, deve entrare nell’attrezzatura cognitiva di chi apprende, costruirsi modello mentale, farsi spazio tra i modelli mentali preesistenti, riorganizzare la struttura del sapere. Dunque, lo studio che si richiede è una rielaborazione di ciò che è stato insegnato,non è un fatto automatico che deriva dall’insegnamento,
dall’attenzione in classe, dallo studio. Tutti questi elementi sono importanti, ma non sufficienti. E’ necessaria una compartecipazione dello studente nella costruzione del modello cognitivo.
Allora il problema è “ come si fa ad ottenere che gli studenti studino? “. La decisione di studiare può essere presa solo dal discente, il compito della scuola deve essere, infatti, quello di incoraggiare ogni studente ad essere attivo, favorire il naturale bisogno di apprendimento, valorizzare le differenze, permettere il dialogo e il confronto delle idee, far nascere il rispetto di sé e degli altri.
Nella fase motivazionale, l’allievo può essere ancora in un momento in cui si scontrano desideri contrastanti tali da poter rendere alterna o ritardare, anche a lungo, la decisione: la motivazione deve ancora coniugarsi al processo di volizione. La motivazione è il processo attraverso il quale si arriva a decidere di agire in un certo modo, la volizione è il processo in base al quale le nostre intenzioni si attuano. Avere voglia di studiare significa allora, oltre ad avere una motivazione per farlo saper attribuire un significato: - allo sforzo: è la capacità di guidare e canalizzare l'attenzione in direzione di uno scopo; - alla perseveranza: è la trasformazione di un desiderio in un progetto, è la conservazione della motivazione finché non è stato raggiunto l'obiettivo; - alla resistenza: si manifesta di fronte agli ostacoli, agli imprevisti, agli insuccessi. L’esperienza ci aiuta a comprendere che stiamo parlando di fatti concreti: quanti studenti stanno effettivamente sui libri aperti senza apprendere nulla? Per potenziare la “volontà” di studiare occorre l’esplicito riconoscimento dei risultati ottenuti, occorre, lo ribadiamo ancora una volta, partire dalla considerazione degli aspetti affettivi. 
MOTIVARE A PARTIRE DALL'INTERESSE.
"Perché devo studiare questa materia? E' UNA COSA INUTILE, ASSURDA, NOIOSA, DIFFICILE. Anche se studio, non capisco niente, non mi rimane niente e poi a cosa serve?".
Queste frasi le abbiamo sentite più volte. E' una pressante domanda di senso e valore alla quale occorre rispondere. Non è possibile fare finta di niente. Si può intavolare con gli studenti una riflessione basata su un tema come: " Come ti servirà fra 10 anni quello che stai apprendendo oggi?"
Aiutarli a riflettere su : "Come posso rielaborarlo in modo che mi sia utile per sempre?".
E' impossibile riattivare negli studenti la motivazione ad apprendere senza presentare loro una nuova concezione della scuola: - si va a scuola per prendersi cura della propria formazione, che è importante tanto quanto la propria salute! - la scuola è il luogo dove ognuno impara a conoscere le proprie potenzialità e a svilupparle, è un luogo "protetto" in cui sperimentare mettere alla prova se stessi,
- la scuola è un'opportunità ricca per fare nuove esperienze cognitive e sociali.
Vi è una naturale tendenza al sapere, ad apprendere tutto quello che serve per risolvere i problemi di adattamento creativo all'ambiente: si impara ciò che è utile per vivere e ciò che dà senso e valore alla propria vita. La mera imposizione "devi studiare punto e basta", finisce per spegnere l'entusiasmo, la passione. Un ragazzo non riuscendo a dare SIGNIFICATO a quello che sta studiando, non può soddisfare il suo bisogno di conoscere. Il vero problema è quello di dare senso, valore, significato allo studio. L'insegnante ha il compito educativo di aiutare ogni studente a prendersi cura della propria formazione, a scoprire le potenzialità di ciascuno perché si sviluppino in modo creativo. Per questo è opportuno invitare lo studente di qualsiasi età ad attribuire un significato alla propria esperienza di studio. - Quando si presenta un’attività si può dire agli studenti: "Vi propongo questi cinque temi o cinque esercizi. Scegliete quello che vi interessa maggiormente". - Quando si presenta un nuovo argomento è necessario connetterlo alle strategie già acquisite e riattivare le risorse disponibili: "Cosa vi interessa conoscere? Come volete studiarlo? Cosa vi serve per apprenderlo efficacemente? Come potete utilizzare ciò che già sapete nell'acquisizione di questo nuovo argomento?"
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